Fonte Salute Internazionale
Gavino Maciocco
“Rischiamo di passare da un paese in cui le persone almeno non devono preoccuparsi delle spese mediche, a uno in cui potrebbero dover scegliere tra riscaldare la propria casa o vivere con un ginocchio malsano per un anno.”
Poco prima che scoppiasse la pandemia COVID-19, nel dicembre 2019, The Guardian così denunciava la crisi del Servizio sanitario nazionale (National Health Service – NHS): “I tempi di attesa per accedere ai Pronto soccorso, alla chirurgia di elezione, e alle cure oncologiche sono così peggiorati negli ultimi anni al punto da mettere a rischio di rottura la rete di protezione del NHS. I ritardi sono i peggiori da quando sono iniziate le registrazioni dei dati. I milioni di persone colpite da tempi di attesa sempre più lunghi stanno diventando probabilmente il problema più grosso per Boris Johnson, sul versante della sanità”.
Dopo quasi tre anni, con in mezzo una pandemia per lungo tempo fuori controllo, la crisi del sistema sanitario inglese è ancora più profonda come certifica un rapporto della British Medical Association (BMA) del 19 luglio 2022 (NHS backlog data analysis) dedicato all’analisi dei tempi di attesa o, come dice il titolo, del “lavoro arretrato” del NHS. Il numero di persone in attesa di una cura o di un intervento chirurgico di elezione all’aprile 2022 era di 6,5 milioni (contro i 4,5 milioni del febbraio 2020 e i 3,2 milioni del settembre 2015). Di queste 6,5 milioni di persone, 2,4 milioni sono in attesa da oltre 18 settimane, mentre la media generale dei tempi di attesa è 12,7 settimane. La situazione è particolarmente critica in campo oncologico dove solo il 65% di pazienti riceve il primo trattamento entro due mesi dalla segnalazione urgente del proprio medico curante. Le cose non vanno meglio nei reparti di Pronto soccorso (Accident&Emergency – A&E) dove nel giugno 2022 più di 22 mila persone hanno atteso più di 12 ore prima di essere ricoverate (3 mila in più rispetto al mese precedente).
La pandemia ha aggravato a dismisura la situazione di sofferenza del NHS, che però preesisteva a causa delle politiche del governo conservatore che da anni ha ridotto al minimo gli investimenti sul settore pubblico, privilegiando quello privato spingendo i pazienti a rivolgersi alle cliniche private, anche tramite assicurazioni private. Il dato più impressionante della crisi è il progressivo impoverimento della manodopera (workforce) pubblica, sanitaria e sociale, che sta alla base dell’insopportabile dilatazione dei tempi di attesa. Così insopportabile da richiedere l’istituzione di una commissione d’inchiesta della Camera dei Comuni (House of Commons), che lo scorso luglio ha reso pubblico un Rapporto dal titolo “Workforce: recruitment, training and retention in health and social care” (vedi Risorse) che si apre con questa categorica affermazione: “The National Health Service and the social care sector are facing the greatest workforce crisis in their history” (“Il NHS e il settore dell’assistenza sociale stanno affrontando la più grave crisi del personale della loro storia”).
Nel Rapporto si legge che al settembre 2021 erano vacanti 99.460 posti nel NHS e 105.000 nel settore sociale (gestito dalle amministrazioni comunali): in particolare nella sanità mancavano all’appello 12 mila medici ospedalieri, 6 mila medici di famiglia e 50 mila tra infermieri e ostetriche. La Commissione, per metà composta da membri conservatori, non esita ad accusare il Governo (conservatore) di negligenza e di reticenza nel rispondere alle domande. Si scopre, ad esempio, che nel 2017 il Governo decise di bloccare l’erogazione delle borse di studio per gli studenti di Infermieristica. Un provvedimento, adottato nell’ottica di tagliare la spesa sanitaria, che provocò una drastica riduzione delle iscrizioni al corso (da 51.840 nel 2016 ai 40.060 nel 2017). Le borse di studio furono reintrodotte nel 2020 (all’inizio della pandemia), ma il danno era stato fatto provocando la carenza di decine di migliaia di infermieri nel momento di maggiore bisogno.
E poi ci sono gli effetti deleteri della Brexit che ha innalzato barriere spesso insormontabili per l’accesso nel Regno Unito di personale sanitario e sociale straniero. Il Regno Unito ha da sempre fatto affidamento sugli stranieri per ricoprire posti vacanti di medici, soprattutto medici di famiglia, infermieri e operatori sociali, ma ora le procedure per stranieri che cercano di ottenere il visto per lavorare in UK sono, per ammissione della commissione parlamentare, “lengthy and opaque, complex, difficult and expensive with potential inconsistencies, and in need of regulatory reform to make it proportionate and streamlined to assist in ethical overseas recruitment”. Insomma, un disastro. Il massimo dell’incongruenza (inconsistency) si registra nell’arruolamento del personale sociale: qui per ottenere il visto è necessario essere in possesso di un contratto di lavoro con un reddito annuale non inferiore a 20.840 sterline, quando il reddito medio nazionale di questi operatori è di molto inferiore, 17.900 sterline.
Infine, la stoccata conclusiva: “Il rifiuto del governo di rendere pubblici i dati sulla workforce significa che la domanda che ogni operatore sanitario e sociale si pone: stiamo formando personale sufficiente per soddisfare i bisogni dei pazienti? è destinata a rimanere senza risposta”.
La pubblicazione del Rapporto ha suscitato un’ondata di indignazione e di proteste, anche perché avvenuta all’indomani delle dimissioni da Primo ministro di Boris Johnson, travolto da una marea di scandali, oltre ad essere ritenuto responsabile del collasso del NHS. Non l’unico, s’intende. Perché la crisi del NHS parte da lontano e vede nel partito conservatore – e nei vari Primi ministri che si sono succeduti, da M. Thatcher, D. Cameron, T. May fino a B. Johnson – il soggetto politico più ostile nei confronti del servizio sanitario pubblico, e così riluttante a finanziarlo, come dimostra la Figura 1, tratta da un servizio della BBC.
Figura 1. Incremento annuale della spesa sanitaria in %, a seconda del Governo in carica (dal 1955 al 2015).
“Quando il NHS è stato fondato nel 1948 da Aneurin Bevan – si legge in un editoriale del The Guardian del 31 luglio scorso – , aveva alla base tre principi fondamentali: a) che avrebbe soddisfatto i bisogni di tutti, b) che sarebbe stato gratuito al momento dell’erogazione delle prestazioni e c) che sarebbe stato basato sul bisogno clinico, non sulla capacità di pagare. Coloro che sono preoccupati per le minacce all’esistenza del NHS di solito si concentrano sul rischio che venga smantellato il principio della gratuità nel punto di utilizzo. Ma la minaccia politica di gran lunga più significativa, come stiamo vedendo in questo momento, è la progressiva erosione della garanzia che riesca a soddisfare i bisogni di tutti, a causa del persistente sottofinanziamento e della mancata formazione del personale di cui ha bisogno”.
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