Selezione di notizie, informazioni, documenti, strumenti per la promozione della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro e di vita. Diario Prevenzione è online dal 1996. Progetto e realizzazione a cura di Gino Rubini
Un documentario ben fatto che offre una rappresentazione accurata del fenomeno delle nuove povertà in Europa. Sono coinvolti nelle situazioni di povertà milioni di lavoratori poveri che con un solo lavoro non ce la fanno più.
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Scheda di Arte.tv
In Europa un terzo dei lavoratori è in pieno declino socio-economico; pur avendo un impiego, per certe categorie arrivare alla fine del mese è un’impresa e su questioni come casa, cibo e riscaldamento si è costretti a fare gli equilibristi. Queste formano una nuova classe sociale detta “precariato”, neologismo nato dalla crasi tra “precarietà” e “proletariato”. L’aumento dei prezzi di generi alimentari ed energia ha amplificato l’insicurezza economica di ampi settori della società, un tempo appartenenti ad un’estesa classe media. Di questa, laddove gli strati superiori si sono arricchiti nonostante la crisi, quelli inferiori sono rimasti indietro. E le donne, che solitamente assolvono gli impieghi più precari, risultano le più colpite. Inchiesta su un fenomeno di massa.
In molti paesi le persone con disturbi mentali continuano a risiedere in grandi manicomi o in istituti di assistenza sociale con condizioni di vita precarie, con assistenza clinica inadeguata e frequenti violazioni dei diritti umani.
A vent’anni dal World Health Report 2001, Mental Health: New Understanding, New Hope (1), il primo storico riferimento per l’azione in salute mentale che segnò l’inizio di una nuova fase nella storia della salute mentale globale, l’OMS ha ritenuto fosse giunto il momento di produrre un nuovo Rapporto Mondiale dedicato alla salute mentale (2). Senza dubbio l’OMS deve essere sinceramente congratulata per questo fondamentale documento che sarà un riferimento per i prossimi decenni. Non tanto perché la visione e le raccomandazioni del Rapporto 2001 avessero perso validità ma perché, negli ultimi 20 anni, molti aspetti delle nostre società sono cambiati: mutamenti nella scienza e nella tecnologia ma soprattutto nel riconoscimento della salute mentale come componente essenziale della salute e sanità pubbliche (3).
« Je suis accro au travail, mais je me soigne ! » : la pleine conscience au secours des « workaholics »
[ in coda abbiamo postato una traduzione in italiano per facilitare la lettura dell’articolo . Traduzione effettuata con google translator: il testo di riferimento resta l’articolo in lingua francese ]
Connaissez-vous la « boulomanie » ? Il s’agit de l’addiction au travail, un terme issu de l’anglicisme « workaholism » pour décrire le besoin incontrôlable de travailler sans cesse, inventé par le psychologue et éducateur religieux américain Wayne Oates en 1971. Ce phénomène addictif n’est pas lié à la consommation de substance comme l’alcool ou la drogue, mais décrit une addiction comportementale, au même titre que l’addiction aux jeux d’argent et de hasard par exemple.
Les accrocs au travail sont des personnes qui ressentent un besoin de travailler si fort qu’ils n’hésitent pas à mettre en danger leur santé physique et mentale, ainsi que leurs relations interpersonnelles. Une étude récente indique que 37 % des actifs utilisent des outils numériques professionnels hors temps de travail. Sur le plan légal, l’addiction au travail a été ajoutée à la liste des risques psychosociaux.
L’addiction au travail ne qualifie pas l’augmentation ponctuelle du temps de travail, liée à un gros dossier à traiter par exemple. Pour parler d’addiction au travail, il faut que ce comportement devienne compulsif et qu’il perdure pendant plusieurs semaines. Comme pour d’autres addictions, cette dépendance s’installe petit à petit, souvent à l’insu de ses victimes. Le besoin compulsif de travailler s’installe sournoisement. Il empiète toujours un peu plus sur la vie de famille, les loisirs ou les vacances, au point de devenir source de conflit, voire de rupture.
“Rischiamo di passare da un paese in cui le persone almeno non devono preoccuparsi delle spese mediche, a uno in cui potrebbero dover scegliere tra riscaldare la propria casa o vivere con un ginocchio malsano per un anno.”
Poco prima che scoppiasse la pandemia COVID-19, nel dicembre 2019, The Guardian così denunciava la crisi del Servizio sanitario nazionale (National Health Service – NHS): “I tempi di attesa per accedere ai Pronto soccorso, alla chirurgia di elezione, e alle cure oncologiche sono così peggiorati negli ultimi anni al punto da mettere a rischio di rottura la rete di protezione del NHS. I ritardi sono i peggiori da quando sono iniziate le registrazioni dei dati. I milioni di persone colpite da tempi di attesa sempre più lunghi stanno diventando probabilmente il problema più grosso per Boris Johnson, sul versante della sanità”.
Dopo quasi tre anni, con in mezzo una pandemia per lungo tempo fuori controllo, la crisi del sistema sanitario inglese è ancora più profonda come certifica un rapporto della British Medical Association (BMA) del 19 luglio 2022 (NHS backlog data analysis) dedicato all’analisi dei tempi di attesa o, come dice il titolo, del “lavoro arretrato” del NHS. Il numero di persone in attesa di una cura o di un intervento chirurgico di elezione all’aprile 2022 era di 6,5 milioni (contro i 4,5 milioni del febbraio 2020 e i 3,2 milioni del settembre 2015). Di queste 6,5 milioni di persone, 2,4 milioni sono in attesa da oltre 18 settimane, mentre la media generale dei tempi di attesa è 12,7 settimane. La situazione è particolarmente critica in campo oncologico dove solo il 65% di pazienti riceve il primo trattamento entro due mesi dalla segnalazione urgente del proprio medico curante. Le cose non vanno meglio nei reparti di Pronto soccorso (Accident&Emergency – A&E) dove nel giugno 2022 più di 22 mila persone hanno atteso più di 12 ore prima di essere ricoverate (3 mila in più rispetto al mese precedente).
La pandemia ha aggravato a dismisura la situazione di sofferenza del NHS, che però preesisteva a causa delle politiche del governo conservatore che da anni ha ridotto al minimo gli investimenti sul settore pubblico, privilegiando quello privato spingendo i pazienti a rivolgersi alle cliniche private, anche tramite assicurazioni private. Il dato più impressionante della crisi è il progressivo impoverimento della manodopera (workforce) pubblica, sanitaria e sociale, che sta alla base dell’insopportabile dilatazione dei tempi di attesa. Così insopportabile da richiedere l’istituzione di una commissione d’inchiesta della Camera dei Comuni (House of Commons), che lo scorso luglio ha reso pubblico un Rapporto dal titolo “Workforce: recruitment, training and retention in health and social care” (vedi Risorse) che si apre con questa categorica affermazione: “The National Health Service and the social care sector are facing the greatest workforce crisis in their history” (“Il NHS e il settore dell’assistenza sociale stanno affrontando la più grave crisi del personale della loro storia”).
Nel Rapporto si legge che al settembre 2021 erano vacanti 99.460 posti nel NHS e 105.000 nel settore sociale (gestito dalle amministrazioni comunali): in particolare nella sanità mancavano all’appello 12 mila medici ospedalieri, 6 mila medici di famiglia e 50 mila tra infermieri e ostetriche. La Commissione, per metà composta da membri conservatori, non esita ad accusare il Governo (conservatore) di negligenza e di reticenza nel rispondere alle domande. Si scopre, ad esempio, che nel 2017 il Governo decise di bloccare l’erogazione delle borse di studio per gli studenti di Infermieristica. Un provvedimento, adottato nell’ottica di tagliare la spesa sanitaria, che provocò una drastica riduzione delle iscrizioni al corso (da 51.840 nel 2016 ai 40.060 nel 2017). Le borse di studio furono reintrodotte nel 2020 (all’inizio della pandemia), ma il danno era stato fatto provocando la carenza di decine di migliaia di infermieri nel momento di maggiore bisogno.
E poi ci sono gli effetti deleteri della Brexit che ha innalzato barriere spesso insormontabili per l’accesso nel Regno Unito di personale sanitario e sociale straniero. Il Regno Unito ha da sempre fatto affidamento sugli stranieri per ricoprire posti vacanti di medici, soprattutto medici di famiglia, infermieri e operatori sociali, ma ora le procedure per stranieri che cercano di ottenere il visto per lavorare in UK sono, per ammissione della commissione parlamentare, “lengthy and opaque, complex, difficult and expensive with potential inconsistencies, and in need of regulatory reform to make it proportionate and streamlined to assist in ethical overseas recruitment”. Insomma, un disastro. Il massimo dell’incongruenza (inconsistency) si registra nell’arruolamento del personale sociale: qui per ottenere il visto è necessario essere in possesso di un contratto di lavoro con un reddito annuale non inferiore a 20.840 sterline, quando il reddito medio nazionale di questi operatori è di molto inferiore, 17.900 sterline.
Infine, la stoccata conclusiva: “Il rifiuto del governo di rendere pubblici i dati sulla workforce significa che la domanda che ogni operatore sanitario e sociale si pone: stiamo formando personale sufficiente per soddisfare i bisogni dei pazienti? è destinata a rimanere senza risposta”.
La pubblicazione del Rapporto ha suscitato un’ondata di indignazione e di proteste, anche perché avvenuta all’indomani delle dimissioni da Primo ministro di Boris Johnson, travolto da una marea di scandali, oltre ad essere ritenuto responsabile del collasso del NHS. Non l’unico, s’intende. Perché la crisi del NHS parte da lontano e vede nel partito conservatore – e nei vari Primi ministri che si sono succeduti, da M. Thatcher, D. Cameron, T. May fino a B. Johnson – il soggetto politico più ostile nei confronti del servizio sanitario pubblico, e così riluttante a finanziarlo, come dimostra la Figura 1, tratta da un servizio della BBC.
Figura 1. Incremento annuale della spesa sanitaria in %, a seconda del Governo in carica (dal 1955 al 2015).
“Quando il NHS è stato fondato nel 1948 da Aneurin Bevan – si legge in un editoriale del The Guardian del 31 luglio scorso – , aveva alla base tre principi fondamentali: a) che avrebbe soddisfatto i bisogni di tutti, b) che sarebbe stato gratuito al momento dell’erogazione delle prestazioni e c) che sarebbe stato basato sul bisogno clinico, non sulla capacità di pagare. Coloro che sono preoccupati per le minacce all’esistenza del NHS di solito si concentrano sul rischio che venga smantellato il principio della gratuità nel punto di utilizzo. Ma la minaccia politica di gran lunga più significativa, come stiamo vedendo in questo momento, è la progressiva erosione della garanzia che riesca a soddisfare i bisogni di tutti, a causa del persistente sottofinanziamento e della mancata formazione del personale di cui ha bisogno”.
Articolo già pubblicato da Antropocene che ringraziamo
Fonte: Climate&Capitalism – 03.07.2022
La ricchezza miliardaria è aumentata a dismisura durante la pandemia da Covid-19, grazie alle aziende del settore alimentare, farmaceutico, energetico e tecnologico. Nel frattempo, milioni di persone in tutto il mondo stanno affrontando una crisi del costo della vita a causa dei continui effetti della pandemia e del rapido aumento dei costi dei beni di prima necessità, tra cui cibo ed energia.
Estratti da PROFITING FROM PAIN, un documento informativo pubblicato nel maggio 2022 da Oxfam International.
La ricchezza miliardaria e i profitti aziendali sono saliti a livelli record durante la pandemia da COVID-19, mentre oltre un quarto di miliardo di persone in più potrebbero precipitare verso livelli estremi di povertà nel 2022 a causa del coronavirus, della crescente disuguaglianza globale e dello shock dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari sovralimentato dalla guerra in Ucraina. La ricerca di Oxfam ha rilevato che:
I miliardari hanno visto le loro fortune aumentare in 24 mesi tanto quanto in 23 anni.
I miliardari del settore alimentare ed energetico hanno visto le loro fortune aumentare di un miliardo di dollari ogni due giorni. I prezzi del cibo e dell’energia sono aumentati ai livelli più alti degli ultimi decenni. Sono stati creati 62 nuovi miliardari del settore alimentare.
Il ministro della sanità Karl Lauterbach (SPD). Sandro Halank, Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons
Mercoledì il ministro della sanità Lauterbach ha annunciato il contenuto della nuova legge con cui la Germania si prepara a contrastare il deficit record delle Assicurazioni Sanitarie, stimato in termini di 17 miliardi, secondo l’Handelsblatt. Non era esattamente un secreto e contributi più alti a partire dal 2023 erano già stati annunciati, anche da noi, ma finalmente si conosce l’entità dell’aumento: si parla di contributi pari al 16.2% del salario lordo.
Oltre a far arrivare la soglia dei contributi al 16.2%, Lauterbach intende attingere anche dalle riserve delle stesse Casse Malattia e dal Fondo per la salute, a cui tuttavia garantisce sovvenzioni e prestiti da parte del governo, e di praticare un prelievo supplementare dall’industria farmaceutica. Lauterbach sostiene che questa combinazione di misure abbia lo scopo di far rientrare la crisi, senza però attuare tagli alle prestazioni sanitarie erogate.
Assicurazioni Sanitarie Obbligatorie: i contributi salgono al 16.2%
Il deficit delle Assicurazioni Sanitarie Obbligatorie è una bella patata bollente per il governo di Scholz e in particolare per il ministro della sanità, Karl Lauterbach. L’esponente dell’SPD, principale responsabile delle politiche tedesche sulla salute, ha annunciato mercoledì il contenuto della proposta di legge a cui ha lavorato nel corso delle ultime settimane e che è stata approvata dal governo.
Per far fronte al disastro, in un momento in cui incombono anche l’inflazione e l’aumento dei costi dell’energia, il ministro ha deciso di alzare il contributo aggiuntivo da versare alle Casse Malattia di 0,3 punti, che uniti all’aumento dell’1,6% già predisposto, portano l’aliquota generale dal 14,6% al 16,2% dei salari lordi. Il provvedimento, che entrerà in vigore dal 2023, riguarderà circa 57 milioni di iscritti. Il totale dei contributi sociali salirà inoltre e conseguentemente al 40,45%, superando, per la prima volta dal 2012, la soglia del 40%.
Prelievi anche dalle riserve delle Assicurazioni. Lauterbach: “Puntiamo a non tagliare le prestazioni sanitarie”
Per far fronte alla crisi, tuttavia, il governo preleverà anche le risorse delle stesse Casse Malattia e del Fondo sanitario, con una pressione pari a 6,4 miliardi di euro. Le Casse dovranno fornire un contributo di solidarietà di quattro miliardi di euro dalle loro riserve, mentre dal Fondo sanitario saranno prelevati 2,4 miliardi. Il governo aumenterà inoltre di 2 miliardi l’attuale sussidio federale per l’Assicurazione Sanitaria Obbligatoria e concederà alle Casse e al Fondo sanitario un prestito di un miliardo a zero interessi. Gli sconti che le aziende farmaceutiche hanno l’obbligo di concedere alle Casse per i farmaci protetti da brevetto, infine, verranno aumentati dal 7 al 12% per cento per un anno. Provvedimento che ovviamente scontenta anche l’industria del farmaco. Lauterbach ha specificato che questa combinazione di misure punta a contenere i costi senza tagliare le prestazioni agli assicurati e senza gravare su di loro in modo sensibile.
Protesta a gran voce il presidente dell’AOK del Baden-Württemberg, Johannes Bauernfeind, infastidito dal fatto che Latuerbach abbia dichiarato che gli assicurati non saranno gravati da oneri significativi. “Questo è un tentativo deliberato di nascondere gli oneri reali” ha commentato Bauernfeind, che sostiene che anche un aumento di pochi punti comporterà un problema per molti, inclusi i datori di lavoro, specie in questa congiuntura di crisi generale. Bauernfeind è inoltre chiaramente irritato dal fatto che le stesse Assicurazioni subiranno prelievi. Ha ribadito che le Case Malattia si sostengono grazie ai pagamenti degli assicurati o dei loro datori di lavoro e ha dichiarato che attingere dalle riserve delle assicurazioni, senza attuare riforme strutturali del sistema sanitario, non potrà che ricadere sui contribuenti.
– Tra Pandemia e guerra/e dove va a finire la “transizione ecologica ” ?
– Seminario CIIP – Violenze contro operatori sanitari e socio-sanitari –
– Decostruzione dei linguaggi “bellici” e violenti, come fare ?
– Come governare le paure di questa epoca…. riflessioni per percorsi di ragionevolezza …
– Lettera degli scienziati e dei giornalisti scientifici russi contro la guerra in Ucraina
The World Health Organization has announced a historic move: it has recommended the widespread use of the first ever malaria vaccine. The recommendation is based on the results of an ongoing pilot programme in Malawi, Ghana and Kenya. Malaria is a huge global health challenge, around 409,000 people died of malaria in 2019 alone. The WHO African region carries significant proportion of the malaria burden – 94% of all malaria cases and deaths occurred in the region. Children younger than five are the most vulnerable. Ina Skosana asked Eunice Anyango Owino to explain the development, and its significance.
It has taken 30 years. Why so long?
The most significant reason is that the malaria parasite is very complex. It has different stages; some in the mosquito and some in the human. Thus, scientists had to pursue a diversity of approaches.
For example, in the human there are two stages. These are the:
Pre-erythrocytic stages (sporozoite, or spore-like, stage). This is the period when the parasite’s sporozoite from a mosquito bite enters the blood stream and heads for the liver to mature and multiply after which they are then released.
The blood stage (Merozoite stage). This is when the parasite’s merozoites are released from the liver, and multiply in the red blood cells.
So an effective vaccine against the first stage (pre-erythroctic stage) would be one that elicits an immune response that would either prevent infection of the liver cells or lead to destruction of the infected liver cells.
Prendiamo dal sito Salute Internazionale questo articolo di Gavino Maciocco : condividiamo appieno l’analisi sullo stato dell’arte e sulle prospettive del SSN. Ringraziamo Gavino Maciocco e Salute Internazionale per l’eccellente lavoro svolto . Editor
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È in atto – aggravato dalla pandemia – un processo di privatizzazione, e insieme di impoverimento, del SSN. Un processo silenzioso e per questo ancora più insidioso perché sottratto al pubblico dibattito, nel disinteresse (apparente) della politica e nel silenzio assordante del Ministro della salute.
“Il Servizio sanitario nazionale è arrivato impreparato all’appuntamento con Covid-19, penalizzato da anni di de-finanziamento, di tagli dei posti letto e del personale e da politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi territoriali e di prevenzione. Ha mostrato le sue debolezze e fragilità.
Rapidamente si è sviluppato un generale consenso politico sulla necessità di rafforzare il servizio sanitario nazionale. Ma passata la fase acuta della pandemia, la sanità è ben presto tornata a occupare la parte bassa della classifica delle priorità̀ del paese.
La conferma che non fosse in vista alcun rafforzamento del SSN è arrivata già lo scorso aprile quando il Governo ha reso note le previsioni di andamento della spesa sanitaria pubblica. Se dal 2017 al 2020 questa percentuale era rimasta ferma al 6,6% del PIL (tra le più basse in Europa), impennandosi al 7,3% nel 2021 a causa delle spese Covid, la tendenza programmata negli anni successivi mira decisamente al ribasso: 6,7% nel 2022; 6,6% nel 2023 e addirittura 6,3% nel 2024.
” I servizi sanitari nei paesi a basso e medio reddito devono ancora adattarsi al loro crescente carico di malattie non trasmissibili (NCD) e continuano a dare priorità alle malattie infettive, secondo un nuovo rapporto lanciato giovedì dalla NCD Alliance. Secondo il rapporto, i “silos” di trattamento per l’HIV e la tubercolosi devono essere trasformati in servizi sanitari universali integrati per servire meglio le persone in LMIC, molte delle quali convivono sia con malattie infettive che con malattie non trasmissibili.
“Il COVID-19 ha portato a un maggiore riconoscimento del fatto che le distinzioni di lunga data tra malattie infettive e non trasmissibili non sono così nette come si pensava una volta: quelli con condizioni croniche hanno un rischio significativamente più elevato di ricovero o morte per virus”, secondo l’alleanza NCD. La stragrande maggioranza delle persone che si sono ammalate gravemente o sono morte a causa del COVID-19 aveva una condizione di base, in particolare ipertensione, malattie cardiovascolari e diabete, osserva.”
Supply is not the main reason some countries are able to vaccinate their populations while others experience severe disease outbreaks – distribution is.
Many rich countries pursued a strategy of overbuying COVID-19 vaccine doses in advance. My analyses demonstrate that the U.S., for example, has procured 1.2 billion COVID-19 vaccine doses, or 3.7 doses per person. Canada has ordered 381 million doses; every Canadian could be vaccinated five times over with the two doses needed.
Overall, countries representing just one-seventh of the world’s population had reserved more than half of all vaccines available by June 2021. That has made it very difficult for the remaining countries to procure doses, either directly or through COVAX, the global initiative created to enable low- to middle-income countries equitable access to COVID-19 vaccines.
Benin, for example, has obtained about 203,000 doses of China’s Sinovac vaccine – enough to fully vaccinate 1% of its population. Honduras, relying mainly on AstraZeneca, has procured approximately 1.4 million doses. That will fully vaccinate 7% of its population. In these “vaccine deserts,” even front-line health workers aren’t yet inoculated.
Last year, researchers at Northeastern University modeled two vaccine rollout strategies. Their numerical simulations found that 61% of deaths worldwide would have been averted if countries cooperated to implement an equitable global vaccine distribution plan, compared with only 33% if high-income countries got the vaccines first.
The result, for now, is two separate and unequal societies in which only the wealthy are protected from a devastating disease that continues to ravage those who are not able to access the vaccine.
Concerned about undercutting their markets in high-income countries, the pharmaceutical companies that produced antiretrovirals, such as Burroughs Wellcome, adopted internationally consistent prices. Azidothymidine, the first drug to fight HIV, cost about US$8,000 a year – over $19,000 in today’s dollars.
The crisis over inequitable access to AIDS treatment began dominating international news headlines, and the rich world’s obligation to respond became too great to ignore.
“History will surely judge us harshly if we do not respond with all the energy and resources that we can bring to bear in the fight against HIV/AIDS,” said South African President Nelson Mandela in 2004.
Pressured by grassroots activism, the United States and other high-income countries also spent billions of dollars to research, develop and distribute affordable HIV treatments worldwide.
A dose of global cooperation
It took over a decade after the development of antiretrovirals, and millions of unnecessary deaths, for rich countries to make those lifesaving medicines universally available.
Fifteen months into the current pandemic, wealthy, highly vaccinated countries are starting to assume some responsibility for boosting global vaccination rates.
It is not yet clear how their plan to “vaccinate the world” by the end of 2022 will be implemented and whether recipient countries will receive enough doses to fully vaccinate enough people to control viral spread. And the late 2022 goal will not save people in the developing world who are dying of COVID-19 in record numbers now, from Brazil to India.
The HIV/AIDS epidemic shows that ending the coronavirus pandemic will require, first, prioritizing access to COVID-19 vaccines on the global political agenda. Then wealthy nations will need to work with other countries to build their vaccine manufacturing infrastructure, scaling up production worldwide.
Finally, poorer countries need more money to fund their public health systems and purchase vaccines. Wealthy countries and groups like the G-7 can provide that funding.
These actions benefit rich countries, too. As long as the world has unvaccinated populations, COVID-19 will continue to spread and mutate. Additional variants will emerge.
As a May 2021 UNICEF statement put it: “In our interdependent world no one is safe until everyone is safe.”
L’immunità di gregge globale rimane fuori portata a causa della distribuzione iniqua del vaccino: il 99% delle persone nei paesi poveri non è vaccinato
L’offerta non è il motivo principale per cui alcuni paesi sono in grado di vaccinare le loro popolazioni mentre altri sperimentano gravi epidemie di malattie: lo è la distribuzione .
Molti paesi ricchi hanno perseguito una strategia di acquisto eccessivo di dosi di vaccino contro il COVID-19 in anticipo . Le mie analisi dimostrano che gli Stati Uniti, ad esempio, si sono procurati 1,2 miliardi di dosi di vaccino contro il COVID-19, o 3,7 dosi a persona. Il Canada ha ordinato 381 milioni di dosi; ogni canadese potrebbe essere vaccinato cinque volte con le due dosi necessarie.
Nel complesso, i paesi che rappresentano solo un settimo della popolazione mondiale avevano riservato più della metà di tutti i vaccini disponibili entro giugno 2021. Ciò ha reso molto difficile per i restanti paesi procurarsi le dosi, direttamente o tramite COVAX , l’iniziativa globale creata per consentire ai paesi a reddito medio-basso un accesso equo ai vaccini COVID-19.
Il Benin, ad esempio, ha ottenuto circa 203.000 dosi del vaccino cinese Sinovac, sufficienti per vaccinare completamente l’1% della sua popolazione. L’Honduras, facendo affidamento principalmente su AstraZeneca, ha procurato circa 1,4 milioni di dosi. Ciò vacinerà completamente il 7% della sua popolazione. In questi “deserti vaccinali”, anche gli operatori sanitari in prima linea non sono ancora stati vaccinati .
Haiti ha ricevuto circa 461.500 dosi di vaccino contro il COVID-19 tramite donazioni ed è alle prese con un grave focolaio .
L’anno scorso, i ricercatori della Northeastern University hanno modellato due strategie di lancio del vaccino . Le loro simulazioni numeriche hanno scoperto che il 61% dei decessi in tutto il mondo sarebbe stato evitato se i paesi avessero cooperato per attuare un equo piano di distribuzione globale dei vaccini, rispetto al solo 33% se i paesi ad alto reddito avessero ottenuto i vaccini per primi.
Il risultato, per ora, sono due società separate e diseguali in cui solo i ricchi sono protetti da una malattia devastante che continua a devastare chi non può accedere al vaccino.
Preoccupate per la sottoquotazione dei loro mercati nei paesi ad alto reddito, le aziende farmaceutiche che hanno prodotto antiretrovirali, come Burroughs Wellcome, hanno adottato prezzi coerenti a livello internazionale. L’azidotimidina, il primo farmaco per combattere l’HIV, costava circa 8.000 dollari l’anno , più di 19.000 dollari di oggi.
La crisi per l’accesso iniquo alle cure per l’AIDS ha iniziato a dominare i titoli delle notizie internazionali e l’obbligo del mondo ricco di rispondere è diventato troppo grande per essere ignorato.
“La storia ci giudicherà sicuramente duramente se non risponderemo con tutte le energie e le risorse che possiamo mettere in campo nella lotta contro l’HIV/AIDS”, ha affermato il presidente sudafricano Nelson Mandela nel 2004 .
Ci sono voluti oltre un decennio dopo lo sviluppo degli antiretrovirali e milioni di morti inutili, perché i paesi ricchi rendessero questi farmaci salvavita universalmente disponibili.
A quindici mesi dall’inizio dell’attuale pandemia, i paesi ricchi e altamente vaccinati stanno iniziando ad assumersi la responsabilità di aumentare i tassi di vaccinazione globali.
Non è ancora chiaro come verrà attuato il loro piano per “vaccinare il mondo” entro la fine del 2022 e se i paesi destinatari riceveranno dosi sufficienti per vaccinare completamente abbastanza persone per controllare la diffusione virale. E l’obiettivo della fine del 2022 non salverà le persone nei paesi in via di sviluppo che stanno morendo di COVID-19 in numeri record ora, dal Brasile all’India.
L’epidemia di HIV/AIDS mostra che porre fine alla pandemia di coronavirus richiederà, in primo luogo, la priorità dell’accesso ai vaccini COVID-19 nell’agenda politica globale. Quindi le nazioni ricche dovranno lavorare con altri paesi per costruire la loro infrastruttura di produzione di vaccini, aumentando la produzione in tutto il mondo.
Infine, i paesi più poveri hanno bisogno di più soldi per finanziare i propri sistemi sanitari pubblici e acquistare vaccini. Paesi ricchi e gruppi come il G-7 possono fornire tali finanziamenti.
Queste azioni avvantaggiano anche i paesi ricchi. Finché il mondo avrà popolazioni non vaccinate, il COVID-19 continuerà a diffondersi e a mutare. Emergeranno ulteriori varianti.
“Fattori che favoriscono l’insorgere di malattie: l’indigenza, la solitudine, la marginalità sociale e la precarietà lavorativa, l’insufficiente scolarità…evitabili l’80% delle malattie”: è quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel lontano 2006. Da allora poco o nulla è cambiato, ma, in compenso, fra le nostre popolazioni circola indisturbata l’idea che i processi patologici individuali e di comunità possano essere domati da farmaci e tecnologie sofisticate e robotizzate.
Risale a pochi giorni (l’8 giugno scorso) la notizia, riassunta in vistosi titoli, su grandi giornali e mezzi d’informazione pubblici e privati, di un “intervento chirurgico record…una prima mondiale senza precedenti…un team di urologi e cardiochirurghi ha rimosso un tumore al rene, esteso fino al cuore e lungo oltre 20 centimetri, su una paziente di 83 anni, cardiopatica, attraverso una chirurgia senza cicatrici, cioè senza aprire addome e torace…il tutto grazie all’uso combinato di un robot e di una cannula aspira-tumore inserita da una vena del collo… si tratta della prima volta al Mondo che si tenta un intervento del genere, come ha precisato la stessa azienda ospedaliera in un comunicato diffuso online (https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2021/06/08/intervento-record-tumore-rened).
a cura di Gino Rubini. In questa puntata parliamo di
– Salute sicurezza nel lavoro ai tempi del Recovery Plan. Rimozione dei dispositivi di sicurezza: le analogie tra la tragica morte di Luana e il disastro della funivia, l’informalità maligna della elusione delle regole di sicurezza uccide…; la tenuta dei pilastri che dovrebbero sostenere salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
– CIIP invia nota al Governo sul tema della sicurezza sul lavoro
– La ripresa economica basata sugli appalti al massimo ribasso: una deriva verso un’economia nella quale i lavoratori vengono considerati come “vuoti a perdere”…
– Molte altre notizie >>> sul sito Diario Prevenzione
Come ciclicamente avvenuto per situazioni catastrofiche dentro le quali l’umanità intera è precipitata, l’attuale pandemia virale rende centrali e decisive le Istituzioni e la Politica favorendo la composizione di un trinomio dai fatti reso inscindibile: Pandemia-Politica-Istituzioni. L’emergenza sanitaria, socio-sanitaria e sociale, piombata a ciel sereno sulla cittadinanza incredula, inerme e provata dalla preesistente irrisolta crisi economica, interroga pressantemente le rappresentanze elettive per ottenere risposte concrete orientate su nuove linee di progresso e sviluppo.
E’ disponibile online il numero di maggio 2021 della Rivista Lavoro e Salute con molti articoli sullo stato dell’arte del SSN, sui rischi di privatizzazione delle strutture del SSN che potrebbero derivare dalle strategie striscianti di Autonomia regionale differenziata. La Rivista Lavoro e Salute – Maggio 2021
Nonostante le reiterate raccomandazioni igienico-comportamentali, individuali e comunitarie, e l’interposizione di alcune limitazioni di tipo organizzativo, la decisione del Governo di riaprire le attività commerciali e culturali in quasi tutto il Paese suscita una serie di precipue preoccupazioni di tipo socio-sanitario:
I° – sebbene alcuni parametri epidemiologici stiano registrando minute flessioni della curva epidemica italiana, è necessario osservare che dette variazioni non posseggono una reale significatività sul piano statistico per il carattere casuale, non sistematico, della raccolta-dati basata quasi esclusivamente sul numero dei tamponi effettuati quotidianamente e in assenza di un meccanismo di tracciamento del diffondersi dell’infezione. Sarebbero state opportune verifiche e solide conferme sull’effettivo andamento temporale e qualitativo dei dati, peraltro a fronte di livelli di vaccinazione che ancora si attestano su circa il 20% della popolazione che ha ricevuto soltanto una prima dose;
Uno studio dell’Università di Berna attesta la diseguaglianza sociale di fronte alla pandemia
di Francesco Bonsaver
Nel (quasi) deserto svizzero di studi scientifici sull’impatto del Covid a livello socio-economico o nel mondo del lavoro, un’analisi dell’Università di Berna di recente pubblicazione dimostra quanto i poveri e diverse tipologie di lavoratori abbiano dei rischi nettamente maggiori di contrarre la malattia e di morirne. Uno studio importante, poiché per quanto si potesse supporne la correlazione, una conferma scientifica sbarazza il campo dalle narrazioni ideologiche.
” La comunicazione pubblica in questi mesi ha dato la parola ai professionisti della salute, dell’assistenza sociale e degli altri servizi essenziali che sono impegnati in prima linea nell’affrontare la pandemia. Moltissime persone nel mondo già prima del dilagare del COVID-19 vivevano in condizioni di fragilità e sono state fortemente segnate dalle disuguaglianze: essi sono “l’altra linea del fronte” COVID-19.
Il Covid-19 Other Front Line Global Alliance (OFL) mira a dare voce a questi milioni di persone che sopportano l’impatto delle disuguaglianze ulteriormente aggravate dalla pandemia.”
La pandemia COVID-19 ha messo a dura prova i nostri sistemi sociali, sanitari ed economici, colpendo duramente coloro che erano già fragili. Cosa è capitato durante il lockdown quando si doveva rimanere a casa, a chi una casa non ce l’aveva?
Come ha fatto a sopravvivere in quei tre mesi chi ha perso il lavoro, seppur già precario? Quali difficoltà hanno avuto le badanti? Chi è stato vicino ai più bisognosi e come?
Condividiamo dal sito della SNOP questa nota di commento al Documento “Atto di indirizzo perl’individuazione delle priorità politiche per l’anno 2021” proprio per sottolineare l’importanza della necessaria ripresa di un confronto sulle politiche di prevenzione.Riteniamo molto equilibrati e condivisibili sia gli apprezzamenti sia gli aspetti critici espressi nella nota al Documento. editor
“Atto di indirizzo perl’individuazione delle priorità politiche per l’anno 2021”
Il documento ripete e aggiorna quelli che in recenti anni i Ministri della Salute hanno emanato in merito alle attività strategiche del Ministero (per il 2018 la Ministra Lorenzin e per il 2019 la Ministra Grillo). Non è noto un corrispondente Atto per il 2020, quando l’emergenza pandemica ha evidentemente imposto altre priorità…
È comunque una buona notizia che in questa drammatica fase venga emanato un atto di indirizzo governativo in una materia politicamente molto rilevante e rispetto alla quale proprio l’emergenza pandemica ha evidenziato forti criticità.
Ma non è la sola notizia buona perché l’atto:
– intende riportare al centro la salute, a causa della pandemia, ma anche oltre quella;
– si occupa con attenzione del Sistema Sanitario, recependo il forte bisogno di prenderne in mano numerosi aspetti – travolti o perlomeno scompaginati dalla pandemia – e la necessità di ridare una strategia per il suo sviluppo;
– sposa buona parte dei più avanzati obiettivi di salute globale e intende adottarne strumenti e metodi, citando One Health, di salute in tutte le politiche e via dicendo;
– esprime un forte impegno per affrontare tutti i nodi della salute e della sanità, con la consapevolezza di quali siano le sfide fondamentali, attuali e future;
– pone in grande rilievo la prevenzione e la promozione della salute, sovvertendo decenni di politica ospedalo-centrica e prestazionale;
– esplicita un approccio che deve garantire una forte integrazione tra i diversi livelli istituzionali, tra i settori, le discipline, le professioni sanitarie;
– inserisce, in maniera non disgiunta dalla pandemia, la lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento tra i “pilastri della tutela della salute”;
– indica alcune linee di sviluppo della sanità pubblica, che impongono un ripensamento sostanziale (ancorché poco esplicitato) delle risorse, dell’organizzazione, delle priorità.
È vero che su gran parte degli obiettivi si rimanda a iniziative, commissioni, sistemi, piani, tavoli ecc. che sono già in essere o che devono essere solo aggiornati, rinforzati o riavviati, ma la lista degli impegni che il Ministro enuncia appare decisamente estesa: contiamo davvero che si concretizzino e siamo pronti – pur non chiamati – a garantire il nostro contributo.
Alcuni cambiamenti importanti si possono cogliere in questo Atto rispetto ai documenti precedenti e non solo per effetto della pandemia, anche se i principali sono ovviamente dovuti proprio a questa.
Ad una prima lettura, rileviamo un’attenzione maggiore e più convinta verso alcuni determinanti di salute pubblica (gli agenti biologici, quelli chimici, l’inquinamento, la salute urbana, la salute e la sicurezza sul lavoro, la transizione demografica dovuta all’invecchiamento, le malattie croniche non trasmissibili ecc.) e di salute globale (i cambiamenti climatici, le migrazioni, le pandemie, …) che emergono ormai come centrali in qualsiasi ragionamento.
Non possiamo però nascondere diverse delusioni, piccole e grandi, su alcuni temi e approcci.
La Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio Draghi e ai ministri competenti. Con questa lettera la Consulta intende presentare alcune considerazioni per la stesura e l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR – nella pubblicistica noto come Recovery Plan) e per un sostegno al Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025.
Nella lettera viene fatto rilevare l’esiguità dello 0,5 % della spesa sanitaria complessiva dedicato alle attività di prevenzione a fronte di una media UE del 2,9%. Questa mancanza di investimenti ha nei fatti ridotto alla paralisi molti Servizi di prevenzione del SSN. Nella lettera vengono indicate una serie proposte elaborate dalle 13 Associazioni professionali che compongono la CIIP.
Il sito Health Policy Watch pubblica un articolo su di un piano del Pakistan di vendere vaccini Covid sul mercato privato. Il piano prevedeva l’importazione di Sputnik V da vendere alle strutture ospedaliere private del paese. Il piano si è arenato in ragione di un conflitto tra la società importatrice e lo stato pakistano sul prezzo del vaccino che sarebbe triplicato rispetto al prezzo corrente di vendita del vaccino ai compratori istituzionali su scala internazionale.
Questo articolo è stato pubblicato dal sito diseguaglianzedisalute.it. Lo riproduciamo per facilitarne la massima diffusione possibile, ringraziamo l’Autore e il sito.
TOOLDIS è una cassetta degli attrezzi per comprendere meglio il complesso fenomeno delle disuguaglianze di salute nelle regioni italiane, per capire quali fattori di rischio comportamentale hanno un peso maggiore, quali di essi sono più influenzati dalle differenze socio-economiche, quali sono le azioni di promozione e prevenzione della salute caratterizzate da un’esplicita attenzione al contrasto delle disuguaglianze.
Anche in Italia le persone più povere di risorse e competenze si ammalano di più, guariscono di meno e muoiono prima. A questo si aggiungono le disuguaglianze geografiche a svantaggio delle Regioni del Sud e delle Isole, dove più si concentrano povertà e disuguaglianze sociali.
In coda all’articolo originale in lingua inglese di Kaiser Health News abbiamo postato una traduzione automatica di google traslator. Il testo cui fare riferimento è comunque l’originale.
New Single-Payer Bill Intensifies Newsom’s Political Peril
SACRAMENTO — A group of Democratic state lawmakers introduced legislation Friday to create a single-payer health care system to cover all Californians, immediately defining the biggest health policy debate of the year and putting enormous political pressure on Gov. Gavin Newsom.
The Democratic governor faces the increasingly likely prospect of a Republican-driven recall election later this year. The single-payer bill adds to his political peril from the left if he doesn’t express support, and from the right if he does.
Mille super-ricchi recuperano le perdite generate dal Covid in soli 9 mesi, mentre per i miliardi di persone più povere del pianeta la ripresa potrebbe richiedere oltre dieci anni
Ingiustizia, iniquità disuguaglianza, disparità, sperequazione, divario, differenza. Non mancano i termini per descrivere quanto già esisteva nelle nostre società e che è ora esploso prepotentemente con questa pandemia e Oxfam ci fornisce le prove con il suo rapporto, dal quale emerge che “le 1.000 persone più ricche del mondo hanno recuperato il loro livello di ricchezza pre-Covid in soli 9 mesi mentre potrebbero essere necessari oltre 10 anni per le persone più povere per recuperare dall’impatto economico della pandemia”. Continua a leggere “Il virus della disuguaglianza”
On Trump’s Last Full Day, Nation Records 400,000 Covid Deaths
Will Stone
While millions wait for a lifesaving shot, the U.S. death count from covid-19 continues to soar upward with horrifying speed. On Tuesday, the last full day of Donald Trump’s presidency, the death toll reached 400,000 — a once-unthinkable number. More than 100,000 Americans have perished in the pandemic in just the past five weeks.
In the U.S., someone now dies of covid every 26 seconds. And the disease is claiming more American lives each week than any other condition, ahead of heart disease and cancer, according to the Institute for Health Metrics and Evaluation at the University of Washington.
-…… tornerà tutto come prima ?………..
– Come ci sta cambiando il Coronavirus ?
– Le istituzioni mondiali riusciranno a predisporre una mappazione delle zone a rischio spillover e zoonosi per interventi di contenimento delle zoonosi ?
– L’assalto alla diligenza. I draghi: soluzione o parte del problema ?
– frittura mista e Auguri di Buone Feste!
La proposta di PNRR presentata dal Governo riserva agli investimenti per la Salute 9 miliardi: appena il 4,6 % delle enormi risorse messe a disposizione con Next Generation UE (quasi 200 miliardi).
E’ una scelta che ha dell’incredibile. La pandemia ha mostrato quanto fragile, indebolito dai tagli e impreparato fosse il Servizio sanitario italiano e ancor più i servizi sociali. In questi mesi grazie al sacrificio e al senso etico e professionale di chi lavora nel sistema socio sanitario in si è potuto rispondere a quello che sta succedendo. Lo abbiamo visto nel corso della prima micidiale ondata e ancor più ora con la marea della seconda fase.
Avevano detto che la pandemia sarebbe stata l’occasione per ripensare a fondo, e rinnovare, la struttura e l’organizzazione del nostro SSN e avevano detto: MAI PIU’ TAGLI.
Avevano detto che andava rafforzata la prima linea, quella della prevenzione, delle cure primarie, dell’integrazione tra sociale e sanitario: quella linea che si era subito sfaldata nella prima ondata e che non è stata rafforzata in vista della seconda.
Avevano detto che era prioritaria la ricerca finalizzata indipendente, e che la priorità era la risorsa umana, la formazione di una nuova generazione di personale infermieristico e di medici specialisti.
Avevano dichiarato che per fare tutto ciò ci sarebbero stati anche i 37 miliardi del MES. Poi hanno detto che i soldi del MES non servivano, perché c’erano quelli del Recovery Fund. E invece ai progetti per la Salute sono state riservate le briciole.
Ci troviamo di fronte a una scelta politica precisa, uno schiaffo alla sanità pubblica nazionale e ai servizi sociali: la rinuncia a rinnovare e potenziare il nostro SSN, per metterlo in grado di tutelare per davvero la salute della popolazione e ridurre le sempre più profonde diseguaglianze sociali. Una scelta destinata a trasformare un invidiato sistema di sanità pubblica in uno che sempre più favorirà la medicina privata.
La cifra non è definitiva, dicono. E allora ci aspettiamo che il Governo ascolti le richieste del Ministro della Salute al quale chiediamo di fare battaglia per un vero rilancio delle politiche e dei servizi socio sanitari.
L’APPELLO lanciato da una vasta coalizione di associazioni e da Cgil, Cisl, Uil rivendica almeno 30 miliardi per finanziare un Piano nazionale dedicato al potenziamento dell’assistenza sociale e sanitaria territoriale, presentando precise proposte.
Per questo ci ribelliamo di fronte a questo schiaffo al welfare pubblico e chiamiamo alla mobilitazione (primo appuntamento il 19 dicembre) tutti coloro che hanno a cuore il destino, il rilancio e l’innovazione del nostro sistema sociale e sanitario pilastro fondamentale per la tutela della Salute.
Salute Diritto Fondamentale; SOS Sanità; saluteinternazionale.info; CoPerSaMM (Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia); Lisbon Institute of Global Mental Health
Quando parlando di “pubblico” si va verso un’ulteriore privatizzazione del Sistema Sanitario Regionale della Lombardia
Sono giorni cruciali per il nostro Sistema Sanitario Regionale (SSR) lombardo e indirettamente anche per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano. Arrivano notizie preoccupanti anche sul fronte della prossima riconfigurazione organizzativa. Dico a me stessa: devo esprimere in modo chiaro quello che sto constatando.
Inaspettatamente e all’improvviso, è arrivato il tempo di non porsi più il problema di chi può o non può avere tutti gli elementi per capire. Sono costretta a fare appello alla sana intuizione di chi, pur non padroneggiando tutti i termini, pur non conoscendo tutte le articolate questioni della sanità e le forze che muovono i giochi, sa però – perché lo ha vissuto sulla propria pelle – che cosa significhi non essere al centro, come cittadino, delle attenzioni del SSR lombardo.
Molti hanno finalmente compreso che qualcosa d’altro sta pericolosamente al centro del sistema e ci sottrae davvero molto. Questa è la nuova consapevolezza che siamo stati in grado di raggiungere con le poche informazioni non manipolate a nostra disposizione, prima e durante la pandemia.
Sembra nascere una nuova sindrome? La sindrome secondaria a Sars-2 Covi 19, una miscellanea di singole e molteplici situazioni associate potenzialmente patogenetiche che potrebbero persistere nel tempo, anche dopo la fine della pandemia:
– durante il lockdown della scorsa primavera i tabagisti abituali sono passati dal 23% a circa il 22% della popolazione adulta: 630 mila consumatori in meno mantenendo pressoché intatta la proporzione maschio/femmina. E’ confortante che oltre 200 mila persone tra i 18 e i 34 anni e circa 270 mila tra i 35 e i 54 anni abbiano rinunciato a fumare. Il fenomeno in sé positivo è, però, subito contraddetto dai quasi 4 milioni di persone che, nel medesimo periodo di chiusura, hanno debuttato nel club dei fumatori abituali e dai già fumatori, per così dire incalliti, che hanno incrementato il consumo quotidiano di tabacco. Il consuntivo complessivo, visto che “è la somma che fa il totale”, del consumo giornaliero medio di sigarette nel nostro Paese risulta balzare, in soli quattro mesi, dalle 11 alle quasi 13 sigarette consumate al giorno e, dunque, si è passati dai circa 12 milioni ai quasi 14 milioni di fumatori. Continua a leggere “Se la barca affondasse …”
Autore Articolo : Baba Aye – Funzionario sanitario e servizi sociali
Pfizer e BioNTech hanno annunciato il successo del loro vaccino sperimentale contro Covid-19 in una prima analisi ad interim del loro studio di fase 3 nella seconda settimana di novembre. Il PSI chiede la rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale come proposto all’OMC dai governi del Sud Africa e dell’India.
Lo studio che ha arruolato 43.538 partecipanti, inclusi 94 casi confermati, ha rilevato che il vaccino è efficace per oltre il 90% nella prevenzione del Covid-19.
E i paesi ricchi hanno già iniziato ad accumulare il rivoluzionario vaccino . Le due società hanno già stretto accordi bilaterali con paesi ricchi che possono comodamente pagare, per fornire loro oltre un miliardo di dosi di vaccino. La proiezione dell’offerta totale delle multinazionali è di 50 milioni di dosi nel 2020 e di 1,3 miliardi nel 2021. Ma i paesi ricchi hanno già ordinato più di 1 miliardo di dosi. L’UE e solo cinque paesi rappresentano quasi un miliardo di dosi.
Riprendiamo dal sito di Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile ASVIS questo articolo che analizza l’impatto multidimensionale della pandemia Covid-19 e l’incremento dei divari per quanto riguarda lavoro, reddito, salute e opportunità di crescita sociale e culturale. E’ palese che le stesse politiche e pratiche di prevenzione che saranno ancor più necessarie, al contempo, saranno ancor più difficili da realizzare…. Ringraziamo l’Autore e ASVIS
Editor
di Andrea De Tommasi
La salute e l’occupazione. Le disuguaglianze territoriali e di genere. In che modo gli effetti della crisi hanno acuito le differenze a tutti i livelli. 2/10/20
“Un virus microscopico è ora la minaccia numero uno nel nostro mondo”, ha detto il 24 settembre il segretario generale Antonio Guterres al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Del resto, l’epidemia di Covid-19, oltre agli impatti devastanti sulla salute, ha innescato diversi tipi di disuguaglianza su scala globale. Il primo aspetto riguarda proprio le disuguaglianze nel diritto alla salute. Diversi studi hanno evidenziato che le differenze socioeconomiche nella salute sono ampie e in crescita. È stato dimostrato che coloro che si trovano negli strati economici inferiori sono più propensi a contrarre il virus. Ad esempio, secondo ricerche effettuate nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i gruppi etnici minoritari che partono in svantaggio per quanto riguarda l’accesso alle cure mediche, come i neri e gli ispanici, sono stati colpiti in modo sproporzionato dal Covid-19. Nelle economie avanzate, si assiste a tassi di mortalità più elevati tra i gruppi più emarginati.
D’altra parte, il rischio che la crisi impatti significativamente sulla povertà a livello globale è suffragato dalle previsioni delle Nazioni Unite. Il Sustainable development outlook 2020 calcola che fino a 100 milioni di persone potrebbero cadere in povertà, supponendo che la distribuzione del reddito non cambi. Anche la fame aumenterà, con il numero di persone che affrontano un’insicurezza alimentare acuta che raddoppierà a circa 265 milioni entro la fine del 2020. Nei Paesi più poveri, sono a rischio i progressi conquistati nella salute e nell’istruzione negli ultimi dieci anni. Secondo la Banca mondiale, che quantifica l’Indice del capitale umano come il potenziale di ciascun individuo costituito dalla conoscenza, capacità e dalla salute che potrebbe accumulare nel corso della vita, già prima degli effetti della pandemia un bambino nato in un Paese a basso e medio reddito poteva aspettarsi di raggiungere solo il 56% del proprio potenziale di capitale umano . Ora che il quadro è peggiorato, le proiezioni suggeriscono che la chiusura delle scuole, combinata con le difficoltà familiari, influenzeranno in modo significativo l’accumulo di capitale umano. Parallelamente, si prevede che l’interruzione dei servizi sanitari, le perdite di reddito e il peggioramento dei livelli di nutrizione aumenteranno la mortalità infantile e l’arresto della crescita, con effetti che si faranno sentire nei decenni a venire. Continua a leggere “Il virus e i divari in aumento: l’impatto multidimensionale del Covid-19”
Lo sterminio deliberato di una comunità, un gruppo etnico, un popolo intero, per azione diretta od omissione di determinate azioni che potrebbero impedirlo, non fa più parte di una nefasta ipotesi, di un timore precoce determinato dalle parole proferite in comizi di piazza: lo sterminio genocida è la realtà che respiriamo ogni giorno. E adesso non più solamente attraverso le frasi mille volte usate durante la campagna elettorale come una promessa per risolvere i mali della nazione; ora quelle frasi sono divenute politica di governo, azione di Stato. L’autoritarismo fascistoide della nuova economia imposto da un mercato onnipresente, ci obbliga a leggere le statistiche e i numeri con la tipica indifferenza di chi ormai ha tutto si è abituato.
I mille morti al giorno… (in realtà 1200, 1300, 1400… ogni giorno, dai primi di maggio fino ad oggi) ormai sono una innocua nota a piè di pagina. E quando si fa menzione al termine “genocidio” non è certamente per banalizzare una parola che fa rabbrividire, ma per dire le cose come stanno veramente.
I documenti parlano chiaro: gli organi dello stesso ministero della salute, tre mesi fa avvisavano il nuovo ministro (il terzo dall’inizio della pandemia, un generale dell’esercito), sulla carenza delle sostanze necessarie alla fabbricazione dei medicinali fondamentali per il trattamento del Covid. E non solo: i documenti avvisavano la mancanza cronica di apparecchi e l’assenza di una logistica distributiva nel territorio nazionale di medicinali e materiali. I documenti arrivano alla stampa che incalza il ministro: “i responsabili della organizzazione sanitaria sono i singoli municipi e i singoli stati, non è il governo federale, né tanto meno il ministero della salute”.
Per le vie di Berlino – Photostreet – foto di gierre
di Franco DiGiangirolamo
Non c’è dubbio che i decessi (di o da) Covid sono un argomento che si tratta malvolentieri. Se mi soffermo è perchè le conclusioni della Commissione Regionale Lombarda sul caso Trivulzio, il frasario che ha imperversato sui social e le tesi del capo della AfD,partito di destra con non pochi deputati nel Bundestag, hanno provocato un cortocircuito nei miei pochi neuroni funzionanti, al punto che “se non mi sfogo in qualche modo, scoppio“.
L’affermazione della Commissione secondo la quale il coronavirus avrebbe accelerato per alcuni pazienti processi degenerativi già in stato avanzato, ancorchè basata su una verità incontestabile, la classificherei tra le scoperte inutili che, tuttavia, se vengono strombazzate con la delicatezza di un rinoceronte, alludono ad una deresponsabilizzazione del virus nei confronti di una persona che era già incamminata verso “l’al di là.“. Non so se si voleva manifestare un intento “consolatorio“, ma sono convinto che l’affermazione, oltre che inutile, nella sua ridondanza si è manifestata, purtroppo, anche dannosa.Vorrei
annoverare questo caso, mettendolo da parte, nel quadro del modello comunicativo sulla crisi pandemica che i posteri avranno modo di valutare freddamente e che io trovo (ma guai a dirlo !!) uno dei punti più critici della gestione politica italiana della Pandemia.
3- editoriale No lotta? No lavoro!
4- Un governo di semplice facciata
4- Un operaio vive 5 anni in meno di un dirigente
7- Il virus è di classe. Si allargano le differenze sociali
8- La scuola scialuppa
9- Autonomia differenziata. Il silenzio interessato
SANITA’
10- Ecco la sanità nel Lazio
12- “Era solo vento; non abbiamo portato salvezza al Paese”
13- Gualtieri: con il MES, non un euro in più per la sanità
14- Vaccinazione antinfluenzale. Utile o dannosa?
16- Personale della sanità pubblica sempre più precario
17- Giovani medici contro politica inappropriata
18- Campania: la salute mentale torna in manicomio
19- Come aderire a Medicina Democratica Onlus
20-Lettera da Bergamo. La sanità in Italia
21- Siamo stanchi. Lettera di un’infermiera Continua a leggere “E’ disponibile online Salute e Lavoro – n° 7 luglio 2020”
L’uscita dalla condizione di quarantena, che ha modificato profondamente le abitudini quotidiane di tutti, è l’occasione per vedere nascere una comunità rinnovata e consapevole. L’appello è rivolto alle istituzioni perché predispongano reali organismi di partecipazione e ai cittadini perché esercitino la responsabilità in modo attivo, nella convinzione che al centro della cura c’è la persona e che la salute è un bene comune, fondamentale e garantito dalla Costituzione.
INVESTIRE NEL TERRITORIO
Il sistema sanitario è stato travolto dall’emergenza pandemia che è un evento di portata gravissima. Il rischio di collasso del sistema di cura non dipende solo dalla diminuzione di posti letto in terapia intensiva o dalla mancanza di ulteriori strutture specializzate di ricovero, ma soprattutto dal fatto che in questo Paese c’è un’insufficiente organizzazione dell’assistenza territoriale e domiciliare.
Chiediamo un aumento dei fondi per la sanità pubblica finalizzati ad interventi preventivi, di cura e sociali nel territorio.
Due scene si sono impresse nella mia mente negli ultimi giorni.
Una e’ quella di sanitari che trasportano qualcuno ( uomo. , donna) colpito da corona virus . La scena avviene in Cina , in una immensa città’ che neppure sapevo esistesse ( l’ignoranza non ha limite), ed e’ una scena molto angosciante.
La seconda e’ recentissima. Un’infermiera e una dottoressa vengono intervistate durante uno speciale del Tg1. Siamo , mi sembra, a Cremona . Sono affrante per il lavoro che debbono svolgere. Il lavoro e’ troppo. Non hanno i mezzi necessari. La gente muore. Forse dovranno scegliere fra chi continuare a curare e chi lasciar morire. E alla domanda del giornalista se abbiano paura, si’ urlano disperate. Si’. Sono immagini di guerra, anche se ufficialmente viviamo in pace, e forse , per alcuni, nel migliore dei mondi possibili.
In questo momento è più che mai necessaria l’unità d’intenti per sconfiggere la pandemia Covid-19. Il Servizio Sanitario nazionale italiano è messo a dura prova da questa emergenza. La natura universalistica del SSN italiano ha già segnato positivamente, pure tra difficoltà e contraddizioni, la capacità di risposta della sanità pubblica rispetto alla drammaticità del momento. Vi sono ancora sacrifici e restrizioni prima di pervenire all’uscita dal tunnel della pandemia, ma ne usciremo. E’ più che mai necessario sin d’ora cominciare a pensare e a progettare il dopo pandemia anche dal punto di vista delle politiche sociali, economiche e sanitarie nella loro complessità. Per questi motivi assume rilevanza e significato il Manifesto-Appello sul Diritto alla Salute sottoscritto da decine di professionisti della medicina e da personalità della cultura e della società. Riteniamo per davvero importante la diffusione e la condivisione di questo Manifesto-Appello sia come riferimento in questo momento cruciale sia per il dopo emergenza Covid-19. Editor (Gino Rubini)
MANIFESTO-APPELLO SUL DIRITTO ALLA SALUTE: LA MEDICINA PARLI,LAPOLITICA E LE ISTITUZIONI ASCOLTINO E AGISCANO CON DECISIONE ED URGENZA —> IL DOCUMENTO (pdf)
“Non era mai accaduto che il mondo improvvisamente si fermasse a causa della circolazione di un virus. Il quale ci ha ricordato che il mondo non è così controllabile, come credevamo. Il quale ci ha fatto scoprire molto più fragili e indifesi di quanto pensassimo. Speriamo di uscirne migliori.”
Scarica l’articolo Una sola salute dal sito Saluteinternazionale che ringraziamo
IL DIRITTO ALLA SALUTE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
di Gino Rubini
1) Memoria storica degli scenari in cui il paese ha fronteggiato epidemie, pandemie e quasi pandemie
2) Le differenze con gli episodi epidemici precedenti
3) La salute al tempo della globalizzazione – Servizio sanitario nazionale, modelli organizzativi decisionali a fronte di eventi emergenziali
4) Le vere criticità del SSN rispetto all’epidemia di coronavirus;
5) La discussione sulla “riforma” del SSN regionalizzato. Un tema del dopo emergenza
6) Come contenere gli sconvolgimenti economici e sociali
7) La comunicazione al tempo del Coronavirus
Il primo Rapporto europeo sull’equità nella salute (Health Equity Status Report- HESR), rivela che le disuguaglianze di salute in molti dei 53 paesi d’Europa, sono rimaste le stesse o sono peggiorate nonostante i tentativi da parte di governi di affrontarle. Il Rapporto inoltre identifica 5 fattori chiave che impediscono a molti bambini, giovani, uomini e donne di conseguire un buono stato di salute e di condurre esistenze sicure e dignitose.
“Per la prima volta HESR fornisce ai governi dati e strumenti per fronteggiare le disuguaglianze di salute e ottenere risultati tangibili in periodi di tempo relativamente brevi, anche nell’ambito di una legislatura di 4 anni” sostiene Dr Zsuzsanna Jakab, Direttore regionale di OMS Europa.
Le politiche indicate nel Rapporto stimolano sviluppo sostenibile e crescita economica. Secondo il Rapporto ridurre le disuguaglianze di salute del 50% produrrebbe benefici finanziari ai paesi convolti, che variano dal 0,3% al 4,3 % del prodotto interno lordo.
La progressiva privatizzazione della nostra sanità, in atto negli ultimi due decenni, spiegata nella relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB).
L’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) è una struttura indipendente che svolge una funzione di vigilanza sulla finanza pubblica. È composto da tre persone nominate dai Presidenti della Camera e del Senato su una rosa di dieci personalità approvata a maggioranza dei due terzi dalle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato. Queste brevi informazioni per richiamare la rilevanza e la “terzietà” del documento su: Lo stato della sanità in Italia, un Focus tematico del 2 dicembre di quest’anno (vedi Risorse).
Il documento ha il pregio della chiarezza e della sintesi toccando le principali problematiche del nostro servizio sanitario e offrendone un quadro, o meglio un giudizio, largamente condivisibile. Ne richiamo i punti salienti riassumendo (e riportando in corsivo testualmente) le principali affermazioni. In parentesi quadra le integrazioni del sottoscritto.
Sobrio ed efficace?
Il nostro SSN risulta piuttosto efficiente (poco costoso) e, in base ad alcuni indicatori, anche abbastanza efficace. Si tratta di indicatori “forti” quali la speranza di vita, la mortalità infantile etc., che sono tuttavia largamente influenzati dai determinanti di salute non ascrivibili al sistema sanitaria, ma anche indicatori più influenzati dai sistemi di cura quali la mortalità trattabile e accesso alle cure[1], che testimoniano un livello elevato di efficacia (dato del 2015). Si nota invece una diminuzione, nel 2017 rispetto all’anno precedete, dell’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni, che risulta inferiore rispetto alla media UE sia nelle donne (9,8, vs 10,2) sia negli uomini (9,4 vs 9,8).
Vi segnaliamo il link al Documento provvisorio del Consiglio Europeo ESPCO
OUTCOME OF THE COUNCIL MEETING
3737th Council meeting
Employment, Social Policy, Health and Consumer Affairs
Health
Brussels, 9 December 2019
President Krista Kiuru
Minister of Family Affairs and Social Service
Segnaliamo questo articolo apparso il mese scorso su Salute Internazionale. Che un singolo farmaco arrivi a costare milioni di dollari è una aberrazione da combattere… ….Buona lettura
Il prezzo di Zolgensma (Novartis) è – in un’unica dose – di oltre 2 milioni di dollari. Il problema non è (si fa per dire) il prezzo, ma il modo con cui questo è stato costruito: non per i costi di produzione, ma per il suo “valore intrinseco”. Una tendenza da arginare al più presto.
In un rapporto pubblicato lo scorso maggio, Access to Medicines Foundation tenta di rispondere a una domanda importante: le aziende farmaceutiche hanno fatto qualche progresso in materia di salute globale?[1] Lo studio, il primo del genere con una retrospettiva analitica di dieci anni, fissa lo sguardo su 20 aziende e valuta se, e come, sia cresciuto l’impegno di big pharma sul fronte dell’accesso ai farmaci essenziali. Vari sono i profili di misurazione della performance: la ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, la partecipazione a partenariati pubblico-privati, la adesione a programmi di donazione dei farmaci, le licenze assegnate ai produttori di farmaci equivalenti, etc.
Qualcosa si muove sotto il sole dell’industria farmaceutica, pare dire il rapporto. Dopo decenni di controversie aspre su questo terreno della salute globale, simbolicamente potente per i tratti di ingiustizia strutturale che configura, le aziende oggi sembrano più disposte a considerare l’accesso ai farmaci un tema strategico. Certo, il loro impegno risente di fluttuazioni correlate a ragioni di mercato (acquisizioni e disinvestimenti), e la partita della proprietà intellettuale resta tutto sommato ancora molto critica: solo 4 aziende su 20 si sono adeguate all’attuazione delle flessibilità previste dall’accordo TRIPS dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). [2] Ma decisivi fattori di contesto facilitano oggi il loro impegno, più che in passato. La comunità internazionale ha dedicato grande attenzione al tema e a partire dalle big three (Aids, tubercolosi e malaria) sono nate iniziative per ideare soluzioni, sia per l’accesso ai farmaci già disponibili sul mercato che per la ricerca di nuovi trattamenti più adatti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha avuto un ruolo chiave nel coordinare l’azione internazionale. È aumentato il numero di partnership per l’innovazione e produzione di farmaci contro le (cosiddette) malattie della povertà – da 38 a 90 – e di conseguenza i progetti di ricerca sulle malattie dimenticate. Nuovi incentivi sono in campo per stimolare le aziende a rispondere celermente all’esplosione di focolai epidemici, come quelli di Ebola e Zika.
Parlaci del tuo nuovo libro The Wealth and Poverty of Cities. Quale nuova luce getta su questo argomento?
Mario Polèse: Esiste un vasto corpus di letteratura sulle città dal punto di vista dell’economia e della sociologia urbana. Il mio libro non è particolarmente nuovo in questo senso. Ciò che lo distingue dalle altre pubblicazioni è il suo sottotitolo: Why Nations Matter, che aggiunge una prospettiva diversa.
Generalmente, quando parliamo di città, spieghiamo i loro successi e insuccessi in base al modo in cui sono gestiti e alle loro caratteristiche locali. Ma nel mio libro, prendo una direzione diversa. Se dovessi riassumere, direi che le città rispecchiano le società che le hanno costruite.
Il modo in cui le città sono governate, progettate e organizzate dipende molto dalla legislazione, dalle norme e dai valori nazionali. Se le città francesi e americane sono diverse, non è a causa dei loro sindaci, ma a causa delle leggi e dei valori di ogni nazione.
Questo è il messaggio di base del mio libro. Da New York, Port-au-Prince e Montreal a Toronto, Parigi e Buenos Aires, spiego come ogni città rifletta le istituzioni e le norme nazionali.
Il lettore canadese e americano sarà particolarmente interessato a capire perché le città canadesi (in questo Quebec sono simili al resto del Canada) sono diverse dalle città americane.
Troppi ragazzi non sono preparati adeguatamente dalla scuola, non ricevono valori dalla famiglia, spesso sono bloccati nella povertà. La provocazione di De Bortoli: per loro la classe dirigente non sta facendo abbastanza. 9/5/2019
di Donato Speroni
È bastato un po’ di freddo fuori stagione per indurre certi commentatori a ironizzare sul riscaldamento del Pianeta. Non lo hanno fatto discutendo la correttezza delle valutazioni ormai pressoché unanimi degli scienziati sull’aumento della temperatura, ma se la sono presa con Greta Thunberg, l’adolescente svedese che ha messo in moto la protesta mondiale dei ragazzi impegnati a rivendicare un futuro migliore. Non hanno osato affrontare il tema delle cause antropiche dei mutamenti meteorologici, ma hanno solo mostrato insofferenza verso la protesta, esibendo nuovamente l’orrendo neologismo “gretini”. Sanno bene che il riscaldamento è una media globale innegabile, anche se ci possono essere stagioni più o meno fredde, più o meno piovose, ma ogni scusa è buona per fermare il cambiamento.
Queste reazioni di insofferenza dimostrano che in certi ambienti, a parte le dichiarazioni di convenienza sulla “sostenibilità”, non c’è nessuna voglia di modificare le priorità politiche. Far accettare un modello di sviluppo sostenibile sarà una battaglia che durerà a lungo, anche oltre i tempi dell’Agenda 2030. Una battaglia nella quale i giovani avranno un ruolo determinante. Abbiamo visto dalla mobilitazione di queste settimane che i ragazzi sono pronti a impegnarsi per difendere il loro futuro, ma sappiamo anche che la piazza non basta, che è necessario essere culturalmente attrezzati e nelle migliori condizioni per affrontare le difficili scelte dei prossimi anni. Facciamo abbastanza per prepararli?
Una serie di notizie e di prese di posizione di questi giorni mi stimola a questa riflessione. A cominciare dagli indicatori elaborati dall’Istat in relazione all’Obiettivo 4 degli Sdgs, quello sull’educazione, ripresi dalla stampa. Riportiamo alcuni brani dell’ultimo rapporto.
“Tutti sapevamo che in tanti ospedali c’erano fior di delinquenti che operavano persone che sarebbero guarite con semplici terapie mediche e lo facevano per guadagnare soldi: asportavano tonsille e uteri per mero profitto personale”. Mario Ruffin è un ex primario di quasi 90 anni, uno che ha trascorso una vita nelle corsie ospedaliere. Ha iniziato la carriera nella prima divisione medica all’ospedale di Treviso, come assistente poi come aiuto, sempre in seguito ad un concorso pubblico. Oggi ha deciso di denunciare tutto, per questo ha scritto “La Villa di tonsille. Dalla medicina di mercato alla medicina politica” (Piazza Editore, 2018): un libro-verità che narra le criminali realtà attraversate dalla medicina ospedaliera d’Italia, vissute personalmente da amici medici e da lui stesso.
Paolo Vineis, epidemiologo di fama internazionale attualmente lavora al Centre for Environment and Health School of Public Health Imperial College London.
Abbiamo trovato sulla Rivista Epidemiologia e Prevenzione questo editoriale del 2013 ancora di straordinaria attualità.
Perché bisogna difendere il Servizio pubblico Why Public service is to be safeguarded
Paolo Vineis 1
Centre for Environment and Health, School of Public Health, Imperial College, London
In un mondo globalizzato in costante mutamento, più facile da percorrere ma anche più caotico e difficile da controllare, i concetti di salute e malattia stanno cambiando: non più semplici processi biologici ma fenomeni complessi che investono la sfera ambientale, sociale, economica, politica e culturale. Oggi il cambiamento climatico, i flussi migratori, la crisi economica e l’industrializzazione della produzione alimentare sono fenomeni fondamentali per comprendere lo stato di benessere (o malessere) delle popolazioni. Vineis traccia un quadro completo degli aspetti che compongono la salute globale, e propone una tesi forte sul piano politico: in un panorama così mobile e articolato, la salute a livello mondiale potrebbe andare incontro a un deterioramento simile a quanto sta avvenendo in economia.