Fonte Sbilanciamoci
Autore : Mario Agostinelli
Ogni minuto 20 persone nel mondo abbandonano le proprie case. Ormai tutti sanno che la Terra è malata, ma la pretesa irrinunciabilità di certi stili di vita votati al neoliberismo spinge al “si salvi chi può”, all’accettazione delle diseguaglianze, al razzismo, al rifugio in una realtà virtuale e solipsistica.
XXI SECOLO: CHI CI SALVA DAL NEGAZIONISMO?
I dati sulle migrazioni sono impressionanti: il Pianeta è sempre più privo di spazi per abitare e sopravvivere decentemente. Nel 2015 in totale, il numero di persone che ha richiesto l’intervento dell’Unhcr ammontava a almeno 35.833.400. Ma, soprattutto per quanto riguarda le stime degli internally displaced o degli apolidi, si deve tenere in considerazione che non tutti gli Stati mettono a disposizione le proprie statistiche. L’esplosione è in atto: a metà 2018 stiamo assistendo ai più elevati livelli di migrazione mai registrati: 65.6 milioni di persone in tutto il mondo, un numero senza precedenti, sono state costrette a fuggire dal proprio Paese. Di queste, circa 22.5 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Ci sono inoltre 10 milioni di persone apolidi cui sono stati negati una nazionalità e l’accesso a diritti fondamentali quali istruzione, salute, lavoro e libertà di movimento. Un mondo in cui circa 20 persone sono costrette ad abbandonare le proprie case ogni minuto a causa di conflitti o persecuzioni e a mutamenti ambientali che rendono progressivamente inospitali i luoghi prima abitati, in cui si attuano respingimenti, vengono permanentemente gestite guerre asimmetriche di totale devastazione, applicata la tortura e attuate omissioni di soccorso, tollera senza scandalo l’esistenza di una complicità criminale.
Una civiltà incapace di risolvere i problemi posti dal suo funzionamento prevede la guerra e la decadenza proprio in quanto considera un problema l’essere umano e quel che lo circonda. Siamo ridotti ad un quadro desolante in cui le emergenze non sono nominate per quel che sono, mentre la grancassa strepita all’insegna della “fine della crisi” con un inattendibile aumento del potere di acquisto, la riduzione del rapporto /feticcio tra debito e PIL e – a conforto – l’immancabile, odioso e – a dire degli insofferenti “padroni a casa mia – inoppugnabile abbandono dei profughi che minaccerebbero le coste, le plaghe e financo la smarrita integrità di quelle civiltà “sovrane”, che nel tempo passato non si sono mai sognate di chieder il permesso di varcare confini altrui.
Nessuno tra i grandi e piccoli mezzi di comunicazione di massa, TV, giornali, siti web, cerca di riprendere in testa i fili di un ragionamento incentrato sul reale, sulla drammaticità della condizione generale: sociale, ambientale ed economica, che declina sempre più in peggio riguardo la giustizia sociale e si preclude un’inversione di tendenza per la rigenerazione del mondo naturale. La paura della paura viene amplificata a bella posta, suscitando tra i cittadini una rimozione più che una vera impressione di protezione rispetto agli spettri evocati, anche perché l’interesse personale immediato, i desideri quotidiani inconfessati, la brama di carriera e potere si manifestano sotto l’aspetto di una mentalità servile che domina i potenti, che si chiude su se stessa, simulando con volgarità un interesse sociale e motivi umanitari a difesa del proprio gruppo. La profondità del presente così artefatto si contrappone all’eterno presente di cui molti parlano e che non è altro che una versione della “falsa infinità” come celiava Hegel. Ossia, la situazione in cui a qualcosa si aggiunge continuamente qualcos’altro di nuovo il quale, sul momento, sembra delineare un mutamento, offrire nuove opportunità, nuove vie da percorrere, ma che in realtà non fa che ricalcare, anzi, scavare più in profondità il solco irreversibile in cui l’umanità si è incanalata e che, così come ci indica oggi innanzitutto la climatologia, potrebbe condurci a disastri immani.
Tutto sta accadendo molto rapidamente e i primi decenni del XXI secolo, inscritti nel nome del neoliberismo, appaiono molto diversi dalle analisi e dalle previsioni compiute verso il termine del millennio scorso. Ovunque si procede alla riduzione dello stato sociale, delle tasse e della relativa fornitura di beni pubblici, attraverso la deregolamentazione di molti aspetti della produzione capitalistica e dei mercati. E avanza la resa di fronte ai privati di risorse non commerciabili. La minaccia di un tale ininterrotto successo di un capitalismo in trasformazione, insieme ad una serie di cambiamenti tecnologici e demografici, ha frammentato e indebolito il movimento dei lavoratori, rendendolo meno capace di resistere e di realizzare una mobilitazione politica all’altezza dell’attacco sferrato.
Forse una delle cause del declino della lotta all’ingiustizia all’interno della democrazia sociale è proprio il decadimento della militanza del lavoro nella resistenza al capitalismo. E questo è particolarmente avvenuto in Europa, anche se non è stata altrettanto arrendevole la reazione negli altri continenti. E questo spiega in parte la novità espressa da un pontefice venuto dalla periferia del globo, ben informato di pratiche alternative ancorate ai movimenti sociali che continuano a sostenere anche dopo i Forum Mondiali oggi in ritirata che “un altro mondo è possibile”: come quelle dell’economia sociale e solidale, come quelle del movimento contadino dei Sem Terra in Brasile, dell’occupazione di terre non utilizzate (fino al sequestro delle nostre piaghe mafiose), della costruzione di forme alternative di strutture economiche, di conservazione dei beni comuni e, soprattutto, della percezione diffusa della fragilità della natura e della invalicabile e limitatissima finestra energetica in cui si può riprodurre la vita nella biosfera terrestre.
Il fatto è che il neoliberalismo è un’ideologia, sostenuta da potenti forze politiche, da mezzi finanziari, dal lavoro di think tank e università, piuttosto che una analisi scientificamente accurata dei limiti effettivi che affrontiamo per rendere il mondo un posto migliore. E si avvale di un formidabile sistema di propaganda, convinzione, attrazione e, contemporaneamente, come vedremo, del più irriducibile negazionismo rispetto al rapporto distorto tra natura e produzione e consumo del genere umano. Al successo di questa azione di pressante proselitismo concorre la torsione evidente in favore della concentrazione di potere nelle sedi occulte dei gruppi multinazionali e delle espressioni dei loro centri di potere, che decidono direttamente ormai la politica a dimensione sovranazionale. L’elezione di Trump, assai più di Parigi 2015, val bene una messa…
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