Selezione di notizie, informazioni, documenti, strumenti per la promozione della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro e di vita. Diario Prevenzione è online dal 1996. Progetto e realizzazione a cura di Gino Rubini
Parmi les éléments pathogènes figurent la porosité des temps de travail, l’isolement, la concurrence entre les collègues et les exigences d’une rentabilité à court terme. Des formes d’organisation du travail plus stressantes occasionnent de la surcharge et une augmentation des rythmes de travail.
Cela appelle à repenser les modes de gestion pour mieux protéger en amont la santé mentale des employés, par une démarche participative impliquant tous les acteurs du milieu de travail. Elle se pose en porte-à-faux avec la tendance visant à individualiser la prévention et le traitement de ces atteintes.
Dans le sillage de ces réflexions, nous avons développé une démarche de recherche-intervention qui s’aligne sur la réforme du régime québécois de santé et de sécurité au travail de 2021. Respectivement professeure à l’École de relations industrielles de l’Université de Montréal et professeur au département de relations industrielles de l’Université du Québec en Outaouais (UQO), nous nous intéressons à l’effectivité du droit de la santé et de la sécurité du travail sur la santé mentale.
I lavoratori che soffrono di problemi di salute mentale solitamente vogliono continuare a lavorare. Questo rapporto offre ai luoghi di lavoro informazioni pratiche sulle misure che possono essere adottate per supportare questi lavoratori a lavorare o a tornare al lavoro dopo un’assenza per malattia.
Una raccomandazione primaria è che i problemi di salute mentale dovrebbero essere trattati allo stesso modo dei problemi di salute fisica. Altrettanto importante è prevenire i rischi correlati al lavoro che potrebbero avere un impatto sulla salute mentale e sul benessere dei lavoratori. Il rapporto fornisce esempi pratici di sistemazioni economiche e semplici che possono aiutarli a supportare e trattenere i lavoratori.
Nel centenario della nascita di Franco Basaglia in commissione Affari sociali del Senato sono all’esame due provvedimenti targati Lega e Fratelli d’Italia e che sollevano critiche dalle associazioni del settore, oltre che dalle forze di opposizione in Parlamento perché “stravolgerebbero peggiorandola la legge 180”, quella che ha determinato la chiusura dei manicomi.
Carla Ferrari Aggradi, psichiatra e presidente del Forum salute mentale, ci spiega i motivi delle contrarietà alle due proposte che anche la sua associazione ha rilevato, illustrando anche parte del contenuto dei due progetti di legge. “Ci sono due concetti di fondo che si ripetono in modo diverso – afferma –: nel disegno di legge di Fratelli d’Italia traspare l’idea che il servizio psichiatrico debba essere finalizzato alla difesa di operatori, familiari e pazienti dalla violenza e dall’aggressività, e che quindi debba essere pensato con criteri securitari e difensivi. Non vengono invece date le risposte che la vita di un paziente e il suo vissuto di dolore richiedono. Se si è troppo occupati nella difesa, non si può dare aiuto”.
“Nell’altro provvedimento, quello targato Lega – prosegue – l’idea di fondo è quella di un’impostazione non di collaborazione col privato, ma di grande presenza del privato stesso di tutti i tipi e generi nel servizio sanitario, compreso quello psichiatrico. Noi siamo per un servizio sanitario psichiatrico pubblico universalistico per tutti, anche se poi sicuramente ci può essere la collaborazione col privato sociale, una collaborazione però all’interno delle linee che il sistema sanitario nazionale prevede, con la prevalenza del pubblico sul privato. Invece nel pensiero alla base della legge della Lega prevale il passaggio al privato”.
Tso, posti letto e comunità
Ferrari Aggradi poi, nel concreto, porta alcuni esempi delle norme in questione. Per quanto riguarda il provvedimento di Fratelli d’Italia intanto si aumentano i giorni di trattamento sanitario obbligatorio che può essere fatto all’interno di un reparto di psichiatria e anche nelle carceri, con l’istituzione negli istituti di pena di sezioni sanitarie specialistiche. Addirittura, c’è un articolo sulle misure di sicurezza che manda in capo gli interventi al ministero dell’Interno e al ministero della Giustizia, d’intesa con il ministero della Sanità. Queste sono cose che ci riportano la legge del 1904, che si reggeva praticamente sugli ospedali psichiatrici e sul ricovero coatto.
Quello della Lega propone il dirottamento delle risorse dal pubblico al privato. “Io vivo in Lombardia – ci dice la presidente del Forum – dove il terzo settore non è che collabora con pubblico, ma praticamente fornisce tutti i servizi. Questo significa che tutto il flusso economico che dovrebbe andare verso i servizi territoriali (questo sarebbe il concetto fondamentale che non compare in nessuno dei due disegni di legge) va a finire verso il terzo settore, che ovviamente fornisce posti letto e comunità. Nelle norme depositate non c’è nessuna critica a questo sistema.
La pandemia di COVID-19 ha avuto un forte impatto sul mondo del lavoro. La relazione presenta i risultati di un’analisi delle indagini europee in tema di salute mentale sul lavoro prima, durante e dopo la pandemia.
Le principali conclusioni riguardano il diverso impatto su determinati settori, il tipo di lavoro, i sottogruppi di lavoratori e il genere, la digitalizzazione e l’importanza che le organizzazioni attuino in modo proattivo misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Inoltre, la gestione dei rischi psicosociali legati al lavoro deve far parte delle misure di protezione dei lavoratori, sia ora che in caso di futuri eventi critici.
Il termine hikikomori riguarda un fenomeno, allarmante, di cui ho scritto e parlato in diverse occasioni, che vede i giovani che hanno un’età compresa tra i 14 e i 30 anni isolarsi dal mondo reale. I hikikomori non hanno contatti con il mondo esterno e preferiscono trascorrere le loro giornate online. Proprio durante la pandemia ho condotto una ricerca che ha confermato lo status di isolamento di molti adolescenti.
La fotografia che è emersa dalle risposte fornite dai 1858 ragazze e ragazzi che hanno partecipato alla Survey ha dimostrato come la rivoluzione tecnologica sia ormai compiuta e che gli adolescenti rappresentino a tutti gli effetti la prima generazione digitale. La tecnologia è parte integrante delle loro vite, praticamente il 100 per cento (99,6 per cento) degli intervistati ha dichiarato di possedere uno smartphone e oltre l’80 per cento (88,8 per cento) ha affermato di avere un computer. I ragazzi hikikomori non vogliono incontrare altre persone e desiderano restare da soli, chiusi nelle loro camere, sfruttando solo la rete per comunicare con gli altri.
L’indagine nazionale statunitense “Climate Change in the American Mind: Beliefs and Attitudes“, i cui risultati sono stati pubblicati sottoforma di Report a febbraio 2023 (https://climatecommunication.yale.edu/publications/climate-change-in-the-american-mind-beliefs-attitudes-december-2022/), ha rilevato che il 64% della popolazione dichiarava di sentirsi “alquanto preoccupato” rispetto al surriscaldamento globale, e il 27% di dichiarava “molto preoccupato”. Inoltre, 1 americano su 10 asseriva di aver avuto sintomi ansiosi e/o depressivi collegati al cambiamento climatico, che li aveva spinti a cercare aiuto dal punto di vista emozionale e supporto sociale.
Insonnia, ansia, depressione, apatia, attacchi di panico e disturbi dell’alimentazione curati con una preoccupante tendenza alle cure “fai da te”: oltre il 60% degli italiani convive da anni con uno o più disturbi della sfera psicologica e ne soffrono di più le donne (65%) e i giovani della Generazione Z (75%,con punte dell’81% nel caso delle ragazze).
È quanto emerge da un’indagine effettuata dall’INC Non Profit Lab, il laboratorio dedicato al Terzo Settore di INC – PR Agency Content First, attraverso la ricerca“L’era del Disagio”, realizzata in collaborazione con AstraRicerche, tra gli italiani e le Organizzazioni NonmProfit con il patrocinio di Rai per la Sostenibilità – ESG.
Chi in qualche modo si è occupato di sicurezza sul lavoro, o ha ricevuto la relativa formazione, si sarà imbattuto, specialmente se diciamo non più giovanissimo, in una elencazione dei possibili rischi lavorativi (diretti, o presenti nell’ambiente di lavoro anche se non toccanti tutti i lavoratori, cosiddetti rischi ambientali) quale quella seguente:
rischi fisici (es. da contatto con la corrente elettrica, rumori, temperature troppo alte o molto basse)
chimici (es. contatto con acidi, vapori, gas tossici)
biologici (virus, batteri, altri agenti morbigeni)
infortunistici (es. inciampare/scivolare sul pavimento, martellarsi un dito, tagliarsi con la motosega, essere investiti da un muletto)
da organizzazione del lavoro (ad esempio, turni, orari, modalità di svolgimento della prestazione, tempi di esecuzione e pause, rapporti con il pubblico)
Superata o meno che sia la suddetta elencazione, l’evoluzione tecnologica degli strumenti produttivi, e, parallelamente, quella organizzativa della produzione, hanno condotto ad una domanda di accrescimento qualitativo della prestazione lavorativa, cui sempre più richiede partecipazione, iniziativa, problem solving, esattezza, autodiagnosi e correzione degli errori, relazione con colleghe/i e/o clienti/utenti. Si può ben dire che aziende ed organizzazioni sempre più richiedono a chi lavora una prestazione non tanto fisica, ma sempre più psichica: se un tempo lavoratrici e lavoratori vendevano forza fisica in cambio della retribuzione, oggi sempre più vendono la loro intelligenza e le proprie capacità mentali, e le proprie capacità e competenze. Come conseguenza, l’attenzione al rischio da organizzazione del lavoro è cresciuta; peraltro, sia il D. Lgs. 626/1994, sia il vigente Testo Unico TU 81/2008, (articoli 17, 28 e 29) pongono esplicitamente in capo al datore di lavoro quello di valutare “tutti i rischi”.
Pandémie de Covid-19, guerre en Ukraine, guerre entre Israël et le Hamas, attentats terroristes, assassinats d’enseignants, crise climatique, intensification du rythme scolaire et de travail – la santé mentale des jeunes, exposés à ces évènements violents, semble au plus bas et a rarement autant été un objet de débat public.
Que sait-on réellement des difficultés psychologiques des adolescents et jeunes adultes en France ? Quels sont les groupes les plus à risque ? Quelles peuvent être les raisons de cette dégradation ? Que faire pour que les choses s’améliorent ?
Avant même le Covid, un risque de dépression élevé chez les collégiens et lycéens français
Grâce à un appareil statistique robuste, la santé mentale des collégiens et des lycéens en France est documentée depuis plus de 20 ans. Mais la plupart de ces données restent méconnues du grand public.
L’étude Enclass, qui fait partie du dispositif d’enquête européen Health and Behavior in School-Aged Children (HBSC) et qui a interrogé environ 11 000 jeunes a montré qu’en 2018, 32 % des élèves de 4e et 3e étaient à risque de dépression, en particulier les filles (41 % vs. 23 % des garçons). Respectivement 13 % et 5 % des filles et des garçons avaient des symptômes nécessitent des soins.
When BBC journalist Rory Carson sought online consultations for a potential mental health issue, three private clinics diagnosed him with attention deficit hyperactivity disorder (ADHD). They charged between £685 and £1,095 for these consultations, which lasted between 45 and 100 minutes, and all prescribed him medication.
While Carson’s Panorama investigation into its treatment attracted plenty of criticism, the fact that this disorder could apparently be diagnosed quite casually online is concerning. When he subsequently had a more rigorous (but free) three-hour, in-person consultation with an NHS psychiatrist, he was told that he did not, in fact, have ADHD.
Across the world, we’re seeing unprecedented levels of mental illness at all ages, from children to the very old – with huge costs to families, communities and economies. In this series, we investigate what’s causing this crisis, and report on the latest research to improve people’s mental health at all stages of life.
But there is another reason for this rapid growth in private mental healthcare. In England alone, the NHS spends around £2 billion per year on private hospital care for mental health patients – equating to 13.5% of its total mental health spend. Due to the reduction in NHS bed provision, nine out of ten privately-run mental health beds are now filled by NHS patients.
While the UK government says it is committed to spending more money on mental health, private investment companies are reportedly queuing up to “seize the opportunities offered up to them by the NHS crisis”. Private providers say they can do more to help avert a mental health emergency exacerbated by the COVID pandemic, yet a dozen of the 80-odd privately-run mental health hospitals in England were rated as “inadequate” in the Care Quality Commission’s latest report, which has warned of possible closures.
Il 7 giugno 2023, la Commissione europea ha presentato la sua strategia per affrontare i crescenti problemi di salute mentale nell’UE, compresi quelli causati dal lavoro.
Annunciata per la prima volta durante il discorso sullo stato dell’Unione della presidente von der Leyen nel settembre 2022 , l’iniziativa ha fatto seguito all’identificazione della salute mentale come una delle principali preoccupazioni dei cittadini europei durante la conferenza sul futuro dell’Europa. Descrive 20 iniziative faro finanziate con 1,23 miliardi di euro rispetto all’attuale bilancio pluriennale, volte a sostenere gli Stati membri dell’UE nel “mettere al primo posto le persone e la loro salute mentale”.
Le azioni dell’UE in materia di salute mentale si concentreranno su tre principi guida: prevenzione adeguata ed efficace, accesso a cure e cure mentali di alta qualità e a prezzi accessibili e reinserimento nella società dopo il recupero. È inquadrato come un approccio globale che riconosce i molteplici fattori di rischio della cattiva salute mentale. “Garantire una buona salute mentale sul posto di lavoro” è elencato tra i settori d’azione, attraverso “campagne di sensibilizzazione a livello dell’UE e una possibile futura iniziativa dell’UE sui rischi psicosociali sul lavoro”.
Gli ultimi 50 anni coincidono con un processo di trasformazione radicale della società: da orizzonte di promozione della universalità dei diritti individuali e collettivi a sistema che vede gli umani come variabile dipendente dai “diritti proprietari”. Una storia narrata dal Tribunale Permanente dei Popoli.
Cosa può dire, a proposito di una salute-sanità la cui situazione di crisi non ha bisogno di ulteriori sforzi diagnostici, la esperienza del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), una organizzazione con radici certamente non sanitarie, pensata ed istituita negli stessi anni del sistema sanitario nazionale (1976-1979) e con valori molto simili? L’ ipotesi che guida la risposta alla domanda è molto semplice: I quasi cinquanta anni trascorsi coincidono con un processo di trasformazione radicale della società: da orizzonte di promozione della universalità dei diritti individuali e collettivi a sistema che vede gli umani come variabile dipendente dai “diritti proprietari”.
Gli anni ‘70 concludono il “trentennio glorioso” che sembrava aver preso sul serio la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Pur con tanti limiti, si chiudeva il periodo coloniale; la vittoria del Vietnam sugli Stati Uniti sembrava confermare il realismo dei sogni del ‘68; l’OMS, titolare della traduzione in realtà quotidiane del bene comune, salute e sanità, estende nel 1977 le sue competenze all’ambito critico dell’economia con il rapporto sui farmaci essenziali; la dichiarazione solenne ad Alma Ata mette le comunità e non le tecnologie come condizione imprescindibile di una sanità coerente con la definizione della salute come indicatore di una vita nella dignità. L’ Italia era divenuta nel frattempo esemplare anche a livello internazionale con le sue lotte-leggi sui diritti del lavoro, della famiglia, dell’autonomia della donna, e la legge 180 cambiava la storia, non solo italiana, della psichiatria: è in questo contesto che nasce la Legge 833 che nel dicembre 1978 sanciva la istituzione del SSN.
Si stima che il 15% degli adulti in età lavorativa soffra di un disturbo mentale in qualsiasi momento. Si stima che la depressione e l’ansia costino all’economia globale 1 trilione di dollari all’anno, principalmente a causa della perdita di produttività. Le persone che vivono con gravi condizioni di salute mentale sono in gran parte escluse dal lavoro nonostante la partecipazione ad attività economiche sia importante per il recupero.Le linee guida dell’OMS sulla salute mentale sul lavoro forniscono raccomandazioni basate sull’evidenza per promuovere la salute mentale, prevenire le condizioni di salute mentale e consentire alle persone che vivono con condizioni di salute mentale di partecipare e prosperare nel lavoro. Le raccomandazioni riguardano gli interventi organizzativi, la formazione dei dirigenti e dei lavoratori, gli interventi individuali, il ritorno al lavoro e l’acquisizione di un impiego. Le linee guida sulla salute mentale sul lavoro mirano a migliorare l’attuazione di interventi basati sull’evidenza per la salute mentale sul lavoro.
Le violenze di Foggia, all’interno dell’istituzione Don Uva, non rappresentano il caso isolato. Le violazioni dei diritti sono molto diffuse non solo a danno dei pazienti dei servizi psichiatrici ma anche, e forse soprattutto, a danno di tutte quelle persone che, per disabilità e vulnerabilità, sono ospiti in strutture residenziali di varia natura.
Nella notte del 23 di gennaio i carabinieri e i NAS di Foggia hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di trenta operatori sanitari (infermieri e ausiliari) della istituzione Don Uva di Foggia. L’operazione ha coinvolto otto dipendenti della struttura, sedici operatori sociosanitari della società Universo Salute, tre operatori sociosanitari dipendenti della società Etjca spa, due educatrici professionali dipendenti della società Universo Salute e un addetto alle pulizie della La Pulisan srl. Alcuni di questi operatori sono stati messi in carcere, altri sono ai domiciliari e i restanti sono indagati senza misure coercitive. I reati contestati sono quelli di maltrattamenti aggravati, sequestro di persona e violenza sessuale ai danni di venticinque donne degenti.
La guerre trace, dans la vie des individus qui y sont confrontés, une frontière nette entre l’« avant » et l’« après ». Cette épreuve singulière ne signe pas, comme on le croit souvent, une impossibilité de vivre, mais oblige généralement à vivre de façon très différente. L’ébranlement du processus vital qui résulte de cette situation engendre des bouleversements auxquels chaque individu fait face en mobilisant ses capacités d’adaptation. Mais tout le monde ne réagit pas de la même façon.
Pour décrire les mécanismes à l’œuvre, les psychologues de la santé ont forgé le concept de « coping », souvent traduit dans la littérature spécialisée par le terme français « ajustement ». Intimement lié à la notion d’adaptation, le coping désigne notre façon de « faire face » à ce qui nous arrive. Or, selon que notre réaction s’oriente vers les actions à entreprendre pour agir sur la situation, ou qu’elle se centre sur la gestion des états émotionnels qui en résultent, les conséquences ne sont pas les mêmes.
In molti paesi le persone con disturbi mentali continuano a risiedere in grandi manicomi o in istituti di assistenza sociale con condizioni di vita precarie, con assistenza clinica inadeguata e frequenti violazioni dei diritti umani.
A vent’anni dal World Health Report 2001, Mental Health: New Understanding, New Hope (1), il primo storico riferimento per l’azione in salute mentale che segnò l’inizio di una nuova fase nella storia della salute mentale globale, l’OMS ha ritenuto fosse giunto il momento di produrre un nuovo Rapporto Mondiale dedicato alla salute mentale (2). Senza dubbio l’OMS deve essere sinceramente congratulata per questo fondamentale documento che sarà un riferimento per i prossimi decenni. Non tanto perché la visione e le raccomandazioni del Rapporto 2001 avessero perso validità ma perché, negli ultimi 20 anni, molti aspetti delle nostre società sono cambiati: mutamenti nella scienza e nella tecnologia ma soprattutto nel riconoscimento della salute mentale come componente essenziale della salute e sanità pubbliche (3).
Questi due documenti sono molto importanti e utili per ricalibrare le troppo spesso scontate valutazioni del ” rischio stress lavoro correlato” vissute da molti operatori e consulenti come un adempimento burocratico.
a cura di Rita Longo, Elena Barbera – Dors che ringraziamo
Il cambiamento climatico è responsabile di rischi gravi quali uragani, alluvioni e incendi, e di minacce a insorgenza lenta quali ad esempio le alterazioni dell’ecosistema, l’insicurezza alimentare e idrica, la perdita dello spazio abitativo e dei riferimenti culturali.
I numerosi studi sull’impatto dei cambiamenti climatici su individui e comunità hanno riguardato in gran parte la salute fisica, ma è ormai dimostrato che l’aggravamento clima-correlato dei molti fattori di rischio socio-ambientali influenza pesantemente – in maniera diretta e indiretta – la salute mentale e psicosociale, e ciò provoca stress e peggiora le condizioni di salute soprattutto per le persone più vulnerabili, tra cui persone con pregressi problemi mentali. Si tratta perciò di una emergenza in aumento, alla quale bisogna rispondere con azioni concrete, in particolare interventi di sostegno psicosociale e di protezione della salute mentale.
Il recentissimo Policy Brief dell’Organizzazione Mondiale della Sanità fa il punto sulle conoscenze attuali e invita all’azione suggerendo strategie precise, in particolare interventi di salute mentale e supporto psicosociale (MHPSS) dei quali è stata indagata l’efficacia nel contesto generale delle situazioni di emergenza.
DoRS ha deciso di presentare l’interessante documento attraverso una sintesi, corredata da alcune delle incisive immagini originali.
Heatwaves have a huge impact on our physical and mental health. Doctors usually dread them, as emergency rooms quickly fill up with patients suffering from dehydration, delirium and fainting. Recent studies suggest at least a 10% rise in hospital emergency room visits on days when temperatures reach or exceed the top 5% of the normal temperature range for a given location.
Soaring temperatures can also make symptoms worse in those with mental health conditions. Heatwaves – as well as other weather events such as floods and fires – have been linked to a rise in depressive symptoms in people with depression, and a rise in anxiety symptoms in those with generalised anxiety disorder – a disorder where people feel anxious most of the time.
La prova di una diffusa depressione clinica tra insegnanti e presidi è stata scoperta dal sindacato didattico NASUWT. Quasi 12.000 insegnanti hanno preso parte all’indagine sul benessere del sindacato. L’analisi ha rilevato un punteggio di benessere medio tra gli insegnanti di 38,7 sulla scala del benessere mentale di Warwick-Edimburgo. Un punteggio inferiore a 41 indica il rischio di una probabile depressione clinica. Il 91% degli insegnanti che hanno risposto al sondaggio NASUWT ha riferito che il proprio lavoro ha influito negativamente sulla propria salute mentale nell’ultimo anno. Il dottor Patrick Roach, segretario generale della NASUWT, ha dichiarato: “Ricordiamo ai datori di lavoro e all’Health and Safety Executive che hanno il dovere legale di agire in risposta a questa crisi e di intraprendere azioni positive per proteggere e salvaguardare la salute mentale e il benessere di insegnanti e presidi”. Comunicato stampa NASUWT .
C’è un copione che si ripete uguale, pur con infinite varianti, nella vita di tante persone. Non arrivo a sostenere che rappresenti una maggioranza ma di certo è molto diffuso. Protagonista è una persona per lo più giovane, ma comunque più spesso sotto che sopra i 40, colta in un momento in cui si trova libera da legami sentimentali, spesso, ma non sempre, interrotti per propria volontà nei mesi precedenti.
Nel proprio privato la persona vive sentimenti di mancanza, di ricerca della ricostruzione o della nuova costruzione di un legame di attaccamento di natura affettiva e sessuale, talvolta scendendo verso stati di tristezza, nostalgia, solitudine e vuoto. Questa persona però non chiama tali vissuti con questo nome, ma tende semmai a etichettarli come debolezze, emozioni negative contro le quali lottare al fine di metterle a tacere, rappresentanti abusive di parti del sé rifiutate, o delle quali ci si imbarazza o ci si vergogna.
Questa lotta, già di per sé assai ardua, contro la natura relazionale e protesa al legame di attaccamento della nostra specie, assai presto appare impossibile da vincere da soli. Allora la persona si rivolge alla propria rete di amicizie con le quali condivide per lo più attività di svago, chiacchiere leggere, che volutamente e strumentalmente sono assai lontane dal nucleo di vuoto contro il quale si sta combattendo. Aperitivi, vacanze e sbornie sono in questo caso non più uno spazio di socialità che fa da humus alla nascita di legami ma una zona franca dove fingere di dimenticarsi di essi.
Sono 728.338 le persone con problemi di salute mentale assistite dai servizi specialistici nel corso del 2020. I pazienti di sesso femminile sono il 53,6%.
La composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (69,0%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 45-54 anni e 55-64 anni (46,8% in entrambi i sessi); le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe > 75 anni (6,7% nei maschi e 10,7% nelle femmine).
Nel 2020 i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno con i Dipartimenti di Salute Mentale sono 253.164, di cui il 91,8% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita.
Questi alcuni dati contenuti nel Rapporto sulla salute mentale 2020, rilevazione, istituita dal decreto del Ministro della salute 15 ottobre 2010, e che costituisce, a livello nazionale, la più ricca fonte di informazioni sugli interventi sanitari e socio-sanitari dell’assistenza alle persone adulte con problemi di salute mentale e alle loro famiglie.
Il Rapporto sulla salute mentale offre al lettore una panoramica delle evidenze emerse dalle varie fonti informative disponibili. I dati sono rilevati attraverso il SISM (Sistema Informativo Salute Mentale) che rappresenta lo strumento cardine per programmare a livello dell’erogazione dell’assistenza, regionale e locale, nonché per disegnare strategie di livello nazionale, modulate su tempi medio-lunghi, in considerazione dei trend della prevalenza dei principali disturbi mentali, a cui sono associati diversi gradi di disabilità, sofferenze individuali e della rete familiare, nonché pesanti costi economici e sociali.
I dati che vengono presentati nel Rapporto, riferiti all’anno 2020, riguardano i servizi per gli adulti, le caratteristiche degli utenti e le patologie, le attività dei servizi di salute mentale, le risorse di personale, l’attività psichiatrica ospedaliera, il consumo di farmaci e i costi dell’assistenza psichiatrica.
La pubblicazione contiene anche schede regionali con la rappresentazione grafica di un gruppo selezionato di indicatori, che descrivono le risorse a disposizione, l’utenza trattata, l’attività ospedaliera e territoriale di ogni regione.
Poco più di un mese dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, già emergono gli effetti della guerra sulla salute mentale dei civili: “ferite invisibili” che non lasciano tracce evidenti sul corpo ma segnano la vita delle persone nel breve e nel lungo termine. L’attualità del conflitto rende impossibile definire e prevedere con precisione l’entità del danno ma la ricerca studia da tempo gli effetti del trauma della guerra sulla psiche e il cervello dell’essere umano.
Fino a un mese fa la gran parte degli ucraini viveva una vita normale; oggi, più di 3,5 milioni hanno lasciato il paese, spesso separandosi dalla propria famiglia, e tra i rimasti, circa 6,5 milioni sono sfollati, senza una casa ma ancora all’interno di un paese in guerra. Molti civili sono diventati combattenti, centinaia di migliaia sono sotto assedio nelle città. Manca l’acqua, il cibo, l’elettricità, il riscaldamento, i mezzi per comunicare.
Tra le innumerevoli conseguenze di questa guerra – come per tutte le guerre – le condizioni traumatiche di paura e privazione che gli ucraini stanno vivendo avranno un profondo impatto sulla loro salute mentale, soprattutto in termini di depressione, ansia e disturbi da stress post traumatico, in parte già rilevabili: «Circa mezzo milione di rifugiati ucraini che hanno raggiunto la Polonia ha bisogno di supporto per disturbi di salute mentale e 30.000 di loro soffrono di una forma patologica severa» afferma Paloma Cuchi, rappresentante dell’OMS in Polonia. Lo psicologo ed epidemiologo Manuel Carballo, direttore esecutivo dell’International Center of Migration, Health and Development di Ginevra e consulente dell’OMS e del Centro europeo per il controllo delle malattie, sottolinea: «Vediamo le ferite, le bende e le ambulanze. Ma gli aspetti di salute mentale del diventare un combattente o un rifugiato sono meno visibili e forse più preoccupanti»…..
L’articolo prosegue alla fonte su Scienzainrete che ringraziamo
People far from the conflict may be wondering why their mental health is suffering as a result of the news and images they’re seeing. Part of this can be explained by the fact that our brains are designed to scan for threats to protect us from potential danger. This can lead to an almost unstoppable, constant scouring of the news to help us prepare for the worst – a phenomenon many might know better as “doomscrolling”.
Il Parlamento europeo ha votato con forza a favore di una nuova legge sui rischi psicosociali sul lavoro. In una relazione parlamentare di recente adozione, “Un nuovo quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro dopo il 2020”, il Parlamento europeo ha fatto eco alle richieste dei sindacati per una direttiva sui rischi psicosociali legati al lavoro ( Rischi 1035). Il rapporto, redatto dall’eurodeputata danese Marianne Vind, offre una panoramica dettagliata alla Commissione europea su ciò che deve essere incluso in un quadro proposto per migliorare le condizioni e l’organizzazione dei luoghi di lavoro in tutta Europa. L’ampio rapporto invita “la Commissione a proporre, in consultazione con le parti sociali, una direttiva sui rischi psicosociali e sul benessere sul lavoro finalizzata a un’efficace prevenzione dei rischi psicosociali sul posto di lavoro, come ansia, depressione, burnout e stress , compresi i rischi causati da problemi strutturali come l’organizzazione del lavoro (es. cattiva gestione, cattiva progettazione del lavoro o mancata corrispondenza delle conoscenze e abilità dei lavoratori con i compiti assegnati).” Il presidente di Eurocadres Nayla Glaise, la cui organizzazione ha guidato con la CES la piattaforma sindacale Endstress.eu, ha commentato: “C’è un consenso non solo tra gli eurodeputati, tra i sindacati e tra la società civile, ma in tutta Europa. Abbiamo bisogno di un’azione della Commissione, abbiamo bisogno di una direttiva”. Comunicato stampa Eurocadres . Brief politico dell’ETUI sui rischi psicosociali in Europa . Comunicato stampa di Socialisti e Democratici .