Psychologie : le « coping », ou comment nous faisons face aux stress intenses

Cyril Tarquinio, Université de Lorraine

La guerre trace, dans la vie des individus qui y sont confrontés, une frontière nette entre l’« avant » et l’« après ». Cette épreuve singulière ne signe pas, comme on le croit souvent, une impossibilité de vivre, mais oblige généralement à vivre de façon très différente. L’ébranlement du processus vital qui résulte de cette situation engendre des bouleversements auxquels chaque individu fait face en mobilisant ses capacités d’adaptation. Mais tout le monde ne réagit pas de la même façon.

Pour décrire les mécanismes à l’œuvre, les psychologues de la santé ont forgé le concept de « coping », souvent traduit dans la littérature spécialisée par le terme français « ajustement ». Intimement lié à la notion d’adaptation, le coping désigne notre façon de « faire face » à ce qui nous arrive. Or, selon que notre réaction s’oriente vers les actions à entreprendre pour agir sur la situation, ou qu’elle se centre sur la gestion des états émotionnels qui en résultent, les conséquences ne sont pas les mêmes.

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Ucraina, sei mesi dopo: l’impatto della guerra sulla salute

Fonte : Scienza in rete che ringraziamo 

 

Qual è l’impatto complessivo della guerra in Ucraina a sei mesi dal suo inizio? Sul Lancet, lo storico Ed Holt descrive uno scenario che va al di là delle persone morte e ferite e un sistema sanitario sottoposto a uno stress pesantissimo, sebbene in molti casi gli operatori sanitari siano riusciti a mantenere attivi i servizi, mentre l’Oms ha avvertito del rischio di focolai di malattie infettive.

Crediti immagine: Daniele Franchi/Unsplash

Dall’inizio dell’invasione russa il sistema sanitario ucraino, già fragile, è stato sottoposto a pesanti attacchi e stress e la salute delle persone minacciata. Le conseguenze si manterranno a lungo anche dopo la fine della guerra.

«A sei mesi dall’invasione russa del Paese, il 24 febbraio, il sistema sanitario ucraino sta lottando per continuare a fornire servizi a una popolazione sempre più traumatizzata dalla guerra in corso. Secondo le Nazioni Unite al 15 agosto erano 5.514 i civili uccisi e 7.698 i feriti confermati, ma le stesse Nazioni Unite affermano che la cifra reale potrebbe essere molto più alta». Lo scrive lo storico Ed Holt su Lancet nella rubrica World Report del 27 agosto.

Lo scenario complessivo dell’impatto della guerra, tuttavia, va ben al di là del numero delle persone uccise o ferite dal conflitto: bisogna infatti considerare i 7 milioni di sfollati all’interno dell’Ucraina (circa un terzo della popolazione è stata costretta a lasciare la propria casa), i quasi 6 milioni di profughi accolti in Europa (in Italia circa 150.000), ma anche i 13 milioni di persone che, al contrario, sono rimaste bloccate nelle aree colpite. «I danni alle infrastrutture si calcolano in circa 110 miliardi di dollari, comprese le strutture sanitarie deliberatamente prese di mira dalle truppe degli invasori: l’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato 445 attacchi alle strutture sanitarie a partire dall’11 agosto, attacchi che hanno causato 86 morti e 105 feriti», continua Holt. Il giovane storico inglese, autore di diversi rapporti sulla situazione dell’Ucraina a partire dall’invasione russa, descrive come i combattimenti hanno devastato l’offerta sanitaria: paesi e città sono rimasti senza ospedali o strutture di assistenza primaria, i medici sono pochi e sovraccarichi di lavoro, c’è carenza di medicinali, molte farmacie sono chiuse in modo permanente e servizi di pronto intervento lottano per raggiungere i pazienti attraverso strade e ponti bombardati.

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Salute mentale: ecco cosa succede al cervello durante una guerra

Credit immagine: “Bafflement of Depression” di Manan Oberoi, Wikimedia Commons

di Camilla OrlandiniStefano Cisternino

Poco più di un mese dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, già emergono gli effetti della guerra sulla salute mentale dei civili: “ferite invisibili” che non lasciano tracce evidenti sul corpo ma segnano la vita delle persone nel breve e nel lungo termine. L’attualità del conflitto rende impossibile definire e prevedere con precisione l’entità del danno ma la ricerca studia da tempo gli effetti del trauma della guerra sulla psiche e il cervello dell’essere umano.

Fino a un mese fa la gran parte degli ucraini viveva una vita normale; oggi, più di 3,5 milioni hanno lasciato il paese, spesso separandosi dalla propria famiglia, e tra i rimasti, circa 6,5 milioni sono sfollati, senza una casa ma ancora all’interno di un paese in guerra. Molti civili sono diventati combattenti, centinaia di migliaia sono sotto assedio nelle città. Manca l’acqua, il cibo, l’elettricità, il riscaldamento, i mezzi per comunicare.

Tra le innumerevoli conseguenze di questa guerra – come per tutte le guerre – le condizioni traumatiche di paura e privazione che gli ucraini stanno vivendo avranno un profondo impatto sulla loro salute mentale, soprattutto in termini di depressione, ansia e disturbi da stress post traumatico, in parte già rilevabili: «Circa mezzo milione di rifugiati ucraini che hanno raggiunto la Polonia ha bisogno di supporto per disturbi di salute mentale e 30.000 di loro soffrono di una forma patologica severa» afferma Paloma Cuchi, rappresentante dell’OMS in Polonia. Lo psicologo ed epidemiologo Manuel Carballo, direttore esecutivo dell’International Center of Migration, Health and Development di Ginevra e consulente dell’OMS e del Centro europeo per il controllo delle malattie, sottolinea: «Vediamo le ferite, le bende e le ambulanze. Ma gli aspetti di salute mentale del diventare un combattente o un rifugiato sono meno visibili e forse più preoccupanti»…..

L’articolo prosegue alla fonte su Scienzainrete che ringraziamo 

Conspiracy theories: why are they thriving in the pandemic?

Rod Dacombe, King’s College London

We’ve all seen them. Those posts shared by friends of friends on Facebook, that jaw-dropping tweet you can scarcely believe was not immediately deleted. Alongside social distancing and Zoom meetings, it seems that one inescapable symptom of the pandemic is the proliferation of conspiracy theories on social media.

Conspiracy theories are distinct from other forms of misinformation and falsehood. They are particular ways in which we make sense of the complex and sometimes disturbing world around us. They have also long been seen as a particularly political phenomenon. The American historian Richard Hofstadter famously referred to such ideas as underpinning a “paranoid style” of political thinking, replete with “heated exaggeration, suspiciousness, and conspiratorial fantasy”.

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Tra emergenze, disinganni, nuovi e antichi insegnamenti. Riflessioni sulla pandemia Coronavirus

 

Foto graffiti in Berlin – gierre 

Autore : Gino Rubini

– Le misure di distanziamento e lockdown
– Gli errori di politica sanitaria e preventiva da evitare per il futuro
– Da dove deriva la sottovalutazione del rischio biologico in grado di produrre una pandemia
– Dal lockdown alle riaperture, i profili di rischio dei lavori e le misure adottate
– La pandemia in Europa e nel mondo
– Riflessioni su ciò che non si dovrà più fare e su ciò che occorre fare per non essere impreparati.
– Il vincolo al cambiamento che deriva dall’esperienza della pandemia
– Conoscenza e comunicazione

Questo articolo è già pubblicato sul numero 208 della Rivista Inchiesta

L’ARTICOLO

 

Spagna. CCOO.Presentazione dello studio Condizioni di lavoro, insicurezza e salute nel contesto del Covid-19

 

 

Alla presenza di Unai Sordo e di una parte degli autori di questo studio, sono stati presentati in conferenza stampa i risultati dell’indagine Condizioni di lavoro, precarietà e salute dei lavoratori residenti in Spagna nell’ambito del COVID-19 .

Era un sondaggio online, progettato congiuntamente dall’Università Autonoma di Barcellona (UAB) e dall’Istituto sindacale per l’ambiente e la salute del lavoro (ISTAS), essendo il dottor Albert Navarro (Facoltà di medicina UAB), il dottor Salvador Moncada (ISTAS), il Dr. Sergio Salas (POWAH-UAB) e la sociologa Clara Llorens (ISTAS e Faculty of CCPP e Sociology UAB) il team responsabile.

L’indagine ha cercato di conoscere l’impatto della pandemia tra i lavoratori che avevano un lavoro al 14 marzo 2020 , sia tra coloro che stavano ancora lavorando al momento della risposta, sia tra quelli colpiti da un ERTE o che erano stati licenziati.

Con oltre 20.000 partecipanti, il sondaggio mostra che le principali preoccupazioni dei lavoratori sono legate alla precarietà del lavoro, il 75,6% è preoccupato per trovare un lavoro, mentre il 69,7% è preoccupato che il proprio stipendio diminuisca , essendo più alto tra coloro il cui stipendio non copre i bisogni di base.

Alla conferenza stampa hanno preso parte anche il rettore dell’Università Autonoma di Barcellona, ​​Margarita Arboix, ei responsabili dei due gruppi di ricerca: Albert Navarro, del gruppo POWAH, composto da ricercatori delle Facoltà di Medicina e Scienze Politiche e Sociologia dell’Università Autonoma di Barcellona (UAB) e Salvador Moncada, dell’Istituto sindacale per l’ambiente e la salute del lavoro (ISTAS-CCOO).

Accesso allo studio Condizioni di lavoro, precarietà e salute nell’ambito del Covid 19

Le priorità di ricerca per mitigare/contrastare gli effetti della pandemia sulla salute mentale della popolazione: il Position Paper britannico

a cura di Rita Longo, Dors  che ringraziamo 

 

Introduzione

Il documento proposto è un POSITION PAPER, che individua le priorità per promuovere e proteggere la salute mentale della popolazione, in particolare dei gruppi più fragili, nel post covid19.

Le priorità strategiche derivano da ricerche documentali su studi empirici e revisioni sistematiche, da due survey sulla popolazione realizzate nelle prime settimane della pandemia in Gran Bretagna (marzo 2020), e dalle elaborazioni/analisi di un panel di esperti nazionale (provenienti dall’Accademia delle Scienze Mediche della Gran Bretagna e dell’ente di ricerca sulla salute mentale MQ – Tansforming Mental Health).

Viene proposta una tipologia di ricerca che sia caratterizzata da:

  • standard di elevata qualità
  • collaborazione internazionale e prospettiva globale
  • focus specifico sull’individuazione delle modalità di contrasto dell’impatto che la pandemia ha sulla salute mentale dei gruppi vulnerabili

L’auspicio degli autori è che la strategia delineata dal Position Paper possa essere adottata da ricercatori di vari Paesi, oltre alla stessa Gran Bretagna.

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Il Coronavirus ha incentivato le corse clandestine a Berlino: in città a 150 all’ora

 

FONTE ILMITTE.COM

Corse clandestine a Berlino: in passato ce n’eravamo già occupati, in particolare riportando un caso verificatosi nel 2016 a Wedding, sulla Müllerstraße, e conclusosi con un duplice arresto. Questo tipo di episodio purtroppo non era il primo e non sarebbe stato l’unico, essendo quella delle gare d’auto all’interno della cerchia urbana una brutta abitudine più volte registrata a Berlino.

Non pensavamo, tuttavia, che in questo momento di crisi il fenomeno continuasse. Al contrario, le restrizioni dovute alla crisi del coronavirus e il parziale decremento del traffico automobilistico sembrano aver incoraggiato chi si dedica a questo discutibile e pericolosissimo “hobby”.

Da aprile, infatti, il numero di indagini sulle corse automobilistiche clandestine è aumentato in modo significativo. Lo comunica il Dipartimento di Giustizia del Senato di Berlino, precisando anche che gli imputati sono per lo più di sesso maschile e di età compresa tra i 20 e i 30 anni.

“Dobbiamo far sentire a queste  persone tutta la pressione giudiziaria del caso” ha rilanciato il senatore della giustizia Dirk Behrendt (Verdi), sottolineando come le forze dell’ordine abbiano il dovere di garantire anche la sicurezza stradale.

“Un concetto deve essere chiaro” ha dichiarato Behrendt, “Mettersi a correre in città a 150 chilometri all’ora è come mettersi a sparare con un fucile. In entrambi i casi, si mettono a rischio la vita e la salute di altre persone”.

Emanuela Ceva, Andrea Fracasso. Una questione di etica pubblica Giustificare il distanziamento sociale

Fonte:   Il Mulino  che ringraziamo

 

La gestione della pandemia di Covid-19 ha implicato la messa in atto di misure restrittive di lunga durata per conseguire un efficace distanziamento sociale. L’imposizione di queste misure solleva evidenti questioni di tutela dei diritti di libertà di movimento e di associazione degli individui. Non è quindi scontato se e fino a che punto queste misure siano pienamente giustificate e quali siano le ragioni affinché le persone vi si adeguino nel tempo. Le determinanti del grado di adeguamento a prescrizioni di distanziamento sociale sono infatti molteplici. Le modalità con cui le autorità comunicano le ragioni delle decisioni, in particolare, possono incidere sul grado e sulla durata del rispetto delle stesse.

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PdE Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente. Anno 14, numero 50 Ottobre 2018

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PdE
Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente. Anno 14, numero 50 Ottobre 2018

In questo numero

– Comportamenti prosociali: come attivarli in emergenza
di Antonio Zuliani

– Il rischio, la sua percezione e la sua accettabilità
di Wilma Dalsaso e Elisabeth Gesualdi

– Odori e Culture
di Martina Zuliani e Antonio Zuliani

LA RIVISTA