Un senso precipite d’abisso di Marino Badiale

 

 

Pollution concept. Garbage pile in trash dump or landfill.

By Marino Badiale …che ringraziamo

Fonte: Badiale & Tringali – 30.03.2024

In questo intervento, Marino Badiale afferma che alla radice della crisi ambientale, messa in luce dalla recente letteratura ecomarxista, ci sia ciò che lui chiama “illimitatezza” e propone la seguente ipotesi: il rifiuto di ogni limite è stato assorbito e fatto proprio dall’umanità contemporanea. Questo aspetto è in contrasto con ogni forma di cultura umana precedente il capitalismo ed è legato alla natura del rapporto sociale capitalistico.


Il messaggero giunse trafelato/ disse che ormai correva/ solo per abitudine/ il rotolo
non aveva più sigilli/ anzi non c’era rotolo, messaggio,/ non più portare decrittare
leggere/ scomparse le parole/ l’unica notizia essendo/ visibile nell’aria/ scritta su
pietre pubbliche/ in acqua palese ad alghe e pesci./ Tutto apparve concorde con un
giro/ centripeto di vortice/ un senso precipite d’abisso.

B. Cattafi, La notizia

1. Introduzione: un mondo condannato

L’attuale civiltà planetaria si sta avviando all’autodistruzione, a un collasso generalizzato che porterà violenze e orrori. Una organizzazione economica e sociale che ha come essenza della propria logica di azione il superamento di ogni limite è ormai arrivata a scontrarsi con i limiti fisici ed ecologici del pianeta. Non potendo arrestarsi, essa devasterà l’intero assetto ecologico del pianeta prima di collassare. Il fatto che questo sia il percorso sul quale è avviata la società globalizzata contemporanea emerge con chiarezza da molte ricerche, interessanti in sé e anche perché svolte da studiosi di formazione scientifica (nel senso delle scienze “dure”) e lontani da impostazioni teoriche legate al marxismo o in generale all’anticapitalismo. Uno dei centri di ricerca di questo tipo è lo Stockholm Resilience Center dell’Università di Stoccolma. [1] Al suo interno viene sviluppata da anni la ricerca relativa ai “limiti planetari” che la società umana non deve superare per non rischiare la devastazione degli ecosistemi planetari e quindi, in ultima analisi, l’autodistruzione. Gli studiosi del Resilience Center hanno individuato nove di questi limiti (fra i quali, ad esempio, la perdita di biodiversità, il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani). Nelle prime versioni di tali studi [2] questi limiti non erano tutti quantificati in termini di un parametro oggettivo, mentre recentemente questo obbiettivo è stato raggiunto. [3] La buona notizia è allora che oggi è possibile misurare tali parametri e avere un’indicazione oggettiva sul superamento dei limiti planetari individuati dagli studiosi. La cattiva notizia è che sei su nove di questi limiti sono stati superati, vale a dire che la società umana contemporanea si sta muovendo in una zona altamente pericolosa.

Ulteriori interessanti considerazioni si possono trovare in un recente libro di Vaclav Smil. [4] L’autore mostra con molta chiarezza come le basi concrete, materiali, della nostra attuale civiltà consistano in una massiccia produzione di alcuni materiali fondamentali: acciaio, cemento, ammoniaca (per i fertilizzanti), plastica. Senza questa produzione massiccia, che richiede enormi quantità di energia, non è pensabile poter fornire cibo, riparo, indumenti agli otto miliardi di esseri umani attualmente viventi (e in procinto di diventare nove o dieci); non è possibile, possiamo aggiungere, se intendiamo mantenere l’attuale organizzazione economica e sociale. Ma questa produzione massiccia e crescente è esattamente l’origine materiale di quel superamento dei limiti planetari del quale si è sopra parlato, e quindi dell’attuale crisi generalizzata degli ecosistemi terrestri. Ulrike Herrmann [5] e Andrea Fantini, [6] d’altra parte, mostrano come non ci si possa aspettare una miracolosa soluzione tecnologica che ci permetta di continuare il “business as usual”, magari con qualche piccola correzione, come l’uso dell’auto elettrica al posto di quella tradizionale. Ad esempio, nota Herrmann, le fonti di energia rinnovabile (eolico, solare) hanno problemi di intermittenza, ben noti, che al momento non sappiamo come superare, e che rendono impossibile pensare che l’attuale struttura economica e sociale possa basarsi sul loro uso esclusivo. Un’altro problema significativo sta nel fatto che l’energia solare arriva sulla Terra con una intensità molto bassa. Per farne la base dell’attuale struttura industriale ed economica “avremmo bisogno di trasformare completamente i nostri attuali sistemi di cattura e stoccaggio dell’energia, creando una massiccia infrastruttura (di pannelli solari, turbine eoliche, impianti bioenergetici, turbine mareomotrici e, soprattutto, tecnologie per immagazzinare quell’energia, come le batterie) basata su risorse materiali che, a differenza della luce solare, non sono rinnovabili. Un’economia basata sul solare può contare solo sui materiali esistenti e dunque, a lungo termine, la sua crescita sarà limitata”. [7]

Questi sono solo alcuni esempi dei problemi che sorgono se si vuole pensare una crescita economica indefinita nel rispetto dei vincoli posti dalla necessità di preservare gli ecosistemi terrestri. Ma questo vuol dire semplicemente che l’ecosistema planetario, che è l’ambiente nel quale la civiltà umana può esistere, non è in grado di reggere la crescita economica tipica del capitalismo, crescita che non può ammettere limiti. Di conseguenza, l’ecosistema planetario è sul punto di crollare, e le misure necessarie non possono essere ulteriormente dilazionate. Per fare l’esempio del cambiamento climatico (che è solo uno degli aspetti dell’incipiente crollo ecosistemico), alcuni obiettivi di riduzione delle emissioni dovrebbero essere raggiunti già entro il 2030, e al momento gli impegni assunti dai vari paesi non sono sufficienti. Come ricorda il rapporto UNEP 2022 dedicato a questi problemi (che si intitola significativamente “The closing window”) “si calcola che le politiche attualmente in essere, senza azioni ulteriori, porteranno ad un riscaldamento globale di 2,8 gradi nel ventunesimo secolo”. [8]

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The Anthropocene already exists in our heads, even if it’s now officially not a geological epoch

Per leggere l’articolo tradotto in italiano clicca l’icona blu (la quarta da sinistra in fondo all’articolo)  google translate . Per un uso professionale e/o di studio raccomandiamo  di fare riferimento al testo originale.

 

Kevin Collins, The Open University

An international subcommittee of geologists recently voted to reject a proposal to make the Anthropocene an official new geological epoch, defined by humanity’s enormous impact on the planet. Assuming some protests do not overturn the ruling, it will now take another decade for the decision to be reviewed.

That may seem a long time given climate change concerns, but it is of course far less than a blink in planetary terms. The Earth can certainly wait, even if we can’t.

But sometimes big ideas like the Anthropocene take time to find meaning in our lives and perhaps their answer. How do I know? Let me tell you a story.

Nine years ago, I was in Munich visiting friends. We went on a family outing to the Deutsche Museum, a world class celebration of technology and engineering in a vast building on an islet of the River Isar. The entrance was framed on either side by very tall vertical banners, fluttering in the breeze.

Each blue-green banner had an image of the Earth with a thumbprint overlay. And in bold white lettering, variously: “Welcome to the Anthropocene / Willkommen in Anthropozän”. The subtitle read: “The Earth in Our Hands”.

Banner saying 'Welcome to the Anthropocene'
Willkommen.
Kevin Collins

I had to forgo the exhibition because my family wanted to see just about everything else. But even as I stood on the steps at the entrance, with my young son clutching my hand, it struck me as a curious title.

Why would anyone welcome anyone to the Anthropocene? Who would really want to go to that party? The invitation was, well, distinctly uninviting.

Why ‘welcome’?

I have thought about this troubling invitation on and off in the intervening years. Was “welcome” being ironic or even cynical perhaps – an invitation of despair and inevitability? But that contradicted the ethos of the museum and the academic Rachel Carson Centre which co-hosted the exhibition, where insight, learning and practical science are celebrated. So my question has remained: why “welcome”?

I finally realised an answer during a recent conversation with my PhD student Houda Khayame who is building on work between myself and colleague Ray Ison to explore how systems thinking and acting in the Anthropocene might improve governance of our environment. We were talking about how geologists have been searching for a “golden spike” in the mud or soil or Earth’s geological record as evidence of the Anthropocene ever since the term was popularised in 2000.

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What the Anthropocene’s critics overlook – and why it really should be a new geological epoch

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Simon Turner, UCL; Colin Waters, University of Leicester; Jan Zalasiewicz, University of Leicester, and Martin J. Head, Brock University

Geologists on an international subcommission recently voted down a proposal to formally recognise that we have entered the Anthropocene, a new geological epoch representing the time when massive, unrelenting human impacts began to overwhelm the Earth’s regulatory systems.

A new epoch needs a start date. The geologists were therefore asked to vote on a proposal to mark the beginning of the Anthropocene using a sharp increase in plutonium traces found in sediment at the bottom of an unusually undisturbed lake in Canada, which aligned with many other markers of human impacts.

The entire process was controversial and the two us who are on the subcommission (chair Jan Zalasiewicz and vice-chair Martin Head) even refused to cast a vote as we did not want to legitimise it. In any case, the proposal ran into opposition from longstanding members.

Why this opposition? Many geologists, used to working with millions of years, find it hard to accept an epoch just seven decades long – that’s just one human lifetime. Yet the evidence suggests that the Anthropocene is very real.

Environmental scientist Erle Ellis was one critic who welcomed the decision, stating in The Conversation: “If there is one main reason why geologists rejected this proposal, it is because its recent date and shallow depth are too narrow to encompass the deeper evidence of human-caused planetary change.”

It’s an oft-repeated argument. But it completely misses the point. When Paul Crutzen first proposed the term Anthropocene in a moment of insight at a scientific meeting in 2000, it was not from realisation that humans have been altering the functioning and geological record of the Earth, or to capture all their impacts under one umbrella term. He and his colleagues were perfectly aware that humans had been doing that for millennia. That’s nothing new.

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Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato

FONTE : ANTROPOCENE.ORG
che ringraziamo

Fonte: Climate&Capitalism – 09.01.2024

Il Copernicus Climate Change Service (C3S) della Commissione europea afferma che il 2023 è stato il primo anno in cui tutti i giorni sono stati più caldi di 1°C rispetto al periodo preindustriale.

Le temperature globali senza precedenti registrate a partire da giugno hanno fatto sì che il 2023 diventasse l’anno più caldo mai registrato, superando di gran lunga il 2016, il precedente anno più caldo. Il rapporto 2023 Global Climate Highlights presenta una sintesi generale degli estremi climatici più rilevanti del 2023 e dei principali fattori che li determinano.

Il direttore del C3S Carlo Buontempo commenta:

«Gli estremi che abbiamo osservato negli ultimi mesi testimoniano in modo drammatico quanto siamo lontani dal clima in cui si è sviluppata la nostra civiltà. Questo ha profonde conseguenze per l’Accordo di Parigi e per tutti gli sforzi umani. Se vogliamo gestire con successo il nostro portafoglio di rischi climatici, dobbiamo urgentemente decarbonizzare la nostra economia, utilizzando al contempo i dati e le conoscenze sul clima per prepararci al futuro».

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Recensione a:  WOLFGANG SACHS, “ECONOMIA DELLA SUFFICIENZA”

 

 

di Mario Agostinelli,

ed. CASTELVECCHI

Fonte Inchiestaonline che ringraziamo 

In attesa del saggio di Wolfgang Sachs che commento qui di seguito – “Economia della sufficienza. Appunti per resistere all’Antropocene”, ed. Castelvecchi – rileggevo un testo di Jim Baggot, acuto divulgatore scientifico, con l’intento di aggiornarmi sulle più recenti interpretazioni della storia dell’Universo. E’ mia convinzione che dovessi mettermi nella migliore predisposizione per mettere a frutto le indicazioni del testo da recensire: uno stimolo dal contenuto originale, come da sempre emana da un autore con una profonda cultura interdisciplinare, che da sempre coniuga sentimenti e intuizioni ad un rigoroso riferimento scientifico, che sa trattare con una impareggiabile leggerezza.

Condivido così con maggior consapevolezza che esistiamo solo per interazione con il resto del mondo, la cui realtà è stata percepita sotto sembianze e narrazioni diverse nei millenni trascorsi, ma che ora ci si mostra come un insieme di collegamenti che provengono da continue ricombinazioni e cosmogenesi, ad iniziare dal Big Bang di 14 miliardi di anni fa. Anche per una così aggiornata interpretazione, non più esclusivamente a matrice religiosa, l’Enciclica Laudato Si’ ha messo le ali all’ecologia integrale per credenti e no, a fronte del più brusco, repentino e drammatico cambiamento climatico a memoria d’uomo. La breve raccolta di testi che provo ora ad annotare, sta in questo solco rivolto all’intero genere umano e, attraverso i suoi comportamenti, all’intero vivente.

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La Terre à l’époque de l’Anthropocène : comment en est-on arrivé là ? Peut-on en limiter les dégâts ?

Dans un monde aux ressources finies, les effets des activités humaines sur l’environnement hypothèquent gravement le futur des générations à venir.
Unsplash

Victor Court, Université Paris Cité

En 2000, deux scientifiques proposèrent pour la première fois l’hypothèse que l’époque de l’Holocène, amorcée il y a 11 700 ans, était révolue.

L’emprise de l’humanité sur le système terrestre serait devenue si profonde qu’elle rivaliserait avec certaines des grandes forces de la nature, au point d’avoir fait bifurquer la trajectoire géologique et écologique de la Terre.

Il faudrait désormais utiliser le terme d’« Anthropocène » pour désigner avec plus de justesse l’époque géologique actuelle. Cette annonce a ouvert des débats considérables.

La machine à vapeur comme marqueur clé

Parmi les nombreuses polémiques soulevées par ce nouveau concept, la plus évidente porte encore aujourd’hui sur la date du début de l’Anthropocène.

La proposition initiale portait symboliquement sur 1784, l’année du dépôt du brevet de James Watt pour sa machine à vapeur, véritable emblème de l’amorce de la révolution industrielle. Ce choix coïncide en effet avec l’augmentation significative des concentrations atmosphériques de plusieurs gaz à effet de serre, comme en témoignent les données extraites des carottes de glace.

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L’Antropocene neoliberista e le metamorfosi della Terra

Postiamo questa traduzione dell’intervista al filosofo Federico Luisetti effettuata con google translator per facilitarne la lettura. Per un uso professionale e approfondito dell’articolo raccomandiamo di fare riferimento alla versione in lingua francese dell’articolo alla fonte pubblicato dalla Rivista Terrestres che ringraziamo . editor

Fonte Terrestres 

Il neoliberismo sarà sepolto dalla devastazione ecologica? Lungi dal vederla come una necessità, il filosofo Federico Luisetti analizza come il capitalismo si rinnovi di fronte agli sconvolgimenti del mondo, adattando le sue tecniche di governo della vita e delle condizioni di vita sulla Terra. Rimane il potere delle stesse forze della terra, forse in grado di sopraffarlo.

Tempo di lettura: 17 minuti

Intervista condotta da Sophie Gosselin e Pierre de Jouvancourt.


Terrestrials : Il tuo lavoro si concentra sulla critica del neoliberismo e su come integra le questioni ecologiche per trasformare le attuali forme di governo. Da questo punto di vista, critichi la nozione di Antropocene, affermando che l’avvertimento che trasmette rafforza il cambiamento nelle politiche neoliberiste, piuttosto che contraddirle. Puoi approfondire la tua critica all’Antropocene e il legame che crei con il neoliberismo?

Federico Luisetti : Dopo una prima luna di miele con la nozione di Antropocene 1 , i teorici critici e gli attivisti ambientali stanno iniziando a rendersi conto dei presupposti problematici della narrazione che veicola. Sono stati il ​​chimico Paul Crutzen e il biologo Eugene F. Stoermer a coniare nel 2000 il termine Antropocene, dalla contrazione tra Anthropos (Uomo) e kainos (nuovo), per designare il nuovo periodo geologico che sarebbe succeduto all’Olocene.

La popolarità della tesi dell’Antropocene coincide con la crescente evidenza scientifica convincente che le concentrazioni di anidride carbonica superano le 400 parti per milione (ppm), quasi il doppio della quantità che ha caratterizzato il periodo interglaciale di equilibrio climatico dell’Olocene. Una nicchia ecologica di 12.000 anni, che ha permesso all’uomo di diventare il protagonista della storia naturale, è giunta al termine, la biosfera è entrata in un nuovo pericoloso regime climatico.

Gli scienziati del sistema terrestre hanno risposto a questa crisi ambientale globale ponendo l’ Anthropos al centro delle relazioni planetarie e trattando l’umanità come un essere definito dal suo status di specie , un soggetto biosociale precario invischiato in circuiti di feedback comuni e in via di estinzione. Ma le voci degli studi decoloniali e indigeni, della storia ambientale, dell’ecologia politica, delle discipline umanistiche ambientali e dell’ecofemminismo hanno contribuito a mettere in prospettiva questa storia ea cambiare i termini del dibattito.

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