12 Giugno 2025

Fonte Punto Sicuro 

Autore: Rolando Dubini

Un approfondimento sui cinque nodi attuali della sicurezza sul lavoro. Focus sul futuro della formazione, sui preposti, sull’intelligenza artificiale, sulla patente a crediti e sui cardini della prevenzione.

1. L’Accordo Stato-Regioni 2025 (ASR2025): una riforma necessaria, ma c’è sempre molto altro da fare

L’ Accordo del 17 aprile 2025 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 maggio 2025 (e dunque pienamente in vigore)  è stato definito, non a torto, un intervento “chirurgico”. Ha preso gli Accordi pregressi, li ha sezionati e li ha ricomposti in un sistema organico e razionale. Il cuore di questa riforma è semplice e rivoluzionario insieme: «la formazione obbligatoria non è più un modulo standard, ma va costruita sulla base della valutazione dei rischi, del settore di appartenenza, se possibile del gruppo omogeneo di lavoratori, delle mansioni e dei rischi reali, per traferire conoscenze e procedure necessarie per individuare, soppesare e gestire i rischi durante il lavoro», in conformità con gli artt. 2, 18, 28, 29, 37  del D.Lgs. 81/2008.

 

L’ASR 2025 ha introdotto una serie di elementi strutturali innovativi:

  • Viene introdotta la formazione obbligatoria per tutti i datori di lavoro di 16 ore e aggiornamento quinquennale di 5 ore.
  • Viene regolamentato l’obbligo già in vigore da tempo della formazione aggiuntiva, stabilita in sei ore, del datore di lavoro e del dirigente dell’impresa affidataria nei cantieri mobili o temporanei di cui al Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008, mentre nel corso preposto dovrà essere trattato l’argomento cantieri se esercita la sua funzione in tale contesto.
  • L’individuazione della durata minima e delle modalità della formazione obbligatoria viene finalmente vincolata alla valutazione dei rischi specifici, al settore di appartenenza, alla particolarità della mansione.
  • La formazione per i preposti è riformata in senso rigoroso: 12 ore obbligatorie esclusivamente in presenza, con aggiornamento biennale di almeno 5 ore.
  • È prevista una verifica finale obbligatoria per tutti i percorsi formativi, accompagnata da strumenti sistematici di verifica dell’efficacia durante lo svolgimento delle attività lavorative: checklist, osservazione diretta, questionari, analisi di near miss, andamento infortunistico.
  • Rafforzamento dei requisiti dei docenti e della progettazione formativa, con attenzione a gruppi omogenei per mansioni e contesto produttivo.
  • Per la prima volta viene regolata in modo sistemico la formazione negli ambienti confinati e sospetti di inquinamento, un nodo critico che era stato per troppo tempo lasciato all’autonomia interpretativa degli operatori di settore.
  • Viene ampliata e meglio regolata la formazione sulle attrezzature di lavoro.

 

È inoltre da apprezzare il riconoscimento esplicito della videoconferenza sincrona e dell’e-learning asincrono, purché rigorosamente progettati, documentati e tracciabili. L’ ASR 2025 li considera strumenti validi se gestiti con serietà. In un Paese dove la cultura tecnologica fa fatica a uscire dal medioevo amministrativo (frammentazione), si tratta di un’apertura di civiltà.

 

Altro punto decisivo è la lotta ai falsi attestati. L’accordo rafforza la tracciabilità delle attività formative, stabilendo che va documentata presenza, contenuti, metodologie, strumenti e risultati delle verifiche, impedendo la riproduzione industriale di attestati “usa e getta”. È un passo decisivo nella battaglia contro l’illegalità organizzata della formazione.

 

Un ulteriore punto meritorio è la distinzione chiara tra soggetti “istituzionali”, “accreditati” e “altri soggetti” formatori, con possibilità – sotto condizioni stringenti – di formazione interna da parte del datore di lavoro stesso. Peraltro, per questi “altri soggetti” la disciplina rimane incompleta: manca il provvedimento attuativo e il repertorio nazionale previsto dall’Accordo stesso.

 

Ma non mancano criticità rilevanti. Prima fra tutte, la possibilità per le Regioni e le Province autonome di introdurre norme “migliorative” rispetto all’Accordo: questa facoltà, come segnalato anche da Confindustria, rischia di disarticolare l’uniformità nazionale e rendere la formazione interregionale un labirinto amministrativo.

 

Inoltre:

  • Le disposizioni transitorie sono in parte ambigue: alcuni obblighi entrano in vigore subito, altri dopo 12 mesi, ma manca un quadro di sintesi operativo. La normativa appare, per usare un’immagine storica, come un mosaico in attesa del disegno definitivo.
  • È assente qualsiasi riferimento ai rischi specifici dello smartworking (ergonomia, isolamento sociale), così come alle situazioni di alternanza scuola-lavoro e tirocini formativi, che restano ai margini del sistema nonostante le ricadute pratiche su centinaia di migliaia di giovani lavoratori.

 

Si tratta di un “testo di transizione”: apre porte importanti, ma ne lascia altre socchiuse. E se non si ha il coraggio normativo e operativo di completare l’opera, sarà inevitabile che qualcuno – il solito “professionista del minimo sindacale” – trovi il modo di aggirarle. In gioco non c’è solo la qualità della formazione, ma la tenuta del sistema di prevenzione nel suo complesso.

 

È un po’ come nella Roma imperiale: leggi formalmente perfette, ma aggirate da chi deteneva il potere effettivo nei territori. Senza vigilanza uniforme, senza criteri certi per l’accreditamento e l’efficacia formativa, l’Accordo rischia di trasformarsi in un codice di buone intenzioni più che in uno strumento di reale innovazione.

 

2. Il preposto: figura chiave nella vigilanza, ma ancora priva di certezze

La seconda grande questione affrontata dall’Accordo Stato-Regioni del 2025 riguarda una figura antica quanto il lavoro organizzato: il preposto. In ogni sistema produttivo, qualcuno ha il compito di controllare, di verificare che le cose si facciano bene, in sicurezza, secondo le regole. È il ruolo del preposto, previsto dall’art. 2, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 81/2008, come «persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa». Ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2008 deve «interrompere l’attività in caso di pericolo grave e immediato» e non può mai “voltarsi dall’altra parte”.

 

L’ASR 2025 finalmente prende sul serio questa figura, imponendo un percorso formativo specifico e rafforzato. Dodici ore di formazione obbligatoria, solo in presenza, con aggiornamento biennale di almeno cinque ore. E non si tratta di un dettaglio tecnico: è il riconoscimento implicito che vigilare richiede competenze specifiche, esercitate in modo attivo e responsabile.

 

Oggi vi è l’obbligatorietà formale dell’atto di nomina.

 

E qui il diritto penale fa il suo ingresso. Perché il preposto è, a tutti gli effetti, un garante della sicurezza.

 

Le sue responsabilità non sono simboliche: può rispondere per omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni (art. 590 c.p.). La Cassazione penale (sez. IV, n. 24136/2016) ha chiarito che la vigilanza dev’essere «costante, ravvicinata, proattiva»: in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa“. Nessuna scorciatoia documentale.

 

Ecco perché strumenti digitali come checklist e app devono integrare, non sostituire, la presenza diretta. La “distanza” dal lavoratore non è fisica ma funzionale: deve essere vigilante ma non colluso, vicino ma non complice.

 

Il preposto, dunque, è figura centrale con precisi obblighi operativi.

 

L’ASR 2025 è un passo avanti, nel potenziare la consapevolezza del ruolo attraverso l’azione formativa.

 

3. Intelligenza artificiale e sicurezza sul lavoro: una rivoluzione silenziosa?

Siamo in un’epoca in cui si parla tanto di intelligenza artificiale, ma troppo poco di come essa possa – e debba – essere utilizzata per la tutela della vita umana nei luoghi di lavoro. L’ASR 2025 non dedica uno spazio organico a questo tema, eppure la tecnologia corre più veloce del legislatore.

 

L’IA è entrata nei luoghi di lavoro e non uscirà più. Si parla di visione artificiale per rilevare posture errate, sensori indossabili per monitoraggio fisiologico, simulazioni immersive per la formazione. Ma tutto questo comporta trattamenti di dati biometrici e decisioni automatizzate.

 

«Il GDPR (art. 35) impone la valutazione d’impatto per sorveglianza sistematica. L’art. 22 vieta decisioni automatizzate che impattino sui lavoratori». Inoltre, va garantita la trasparenza (art. 4 D.Lgs. 81/2008) e la consultazione dell’RLS (art. 50).

 

L’IA non può e non deve sostituire il preposto. Può supportarlo, ma la responsabilità resta umana. Il rischio più grave? La “discriminazione algoritmica”: penalizzare lavoratori più anziani o meno reattivi. La tecnologia, se non governata, smette di essere strumento e diventa minaccia.

 

In molte aziende, le soluzioni di  intelligenza artificiale sono già utilizzate per analizzare i near miss, rilevare comportamenti a rischio, monitorare la postura degli operatori o la loro esposizione a fattori pericolosi. Si tratta di strumenti che, integrati nei modelli organizzativi, possono rivoluzionare il concetto stesso di “valutazione dei rischi” previsto dagli articoli 17 e 28 del D.Lgs. 81/2008.

 

Ma c’è di più: l’IA consente oggi di raccogliere dati in tempo reale, segnalare deviazioni rispetto agli standard di sicurezza, generare report predittivi. In Giappone e Corea del Sud, ad esempio, già si impiegano algoritmi per mappare i comportamenti a rischio in cantiere, riducendo drasticamente gli infortuni.

 

Il punto però non è solo tecnologico, è giuridico. Come si integrano queste tecnologie nei modelli di organizzazione e gestione previsti dall’art. 30 del D.Lgs. 81/2008? Chi risponde in caso di errore algoritmico? È sufficiente implementare un sistema automatico per “dimostrare” di aver fatto tutto il possibile?

 

L’art. 17 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce espressamente che il datore di lavoro non può delegare solo:

  • La valutazione di tutti i rischi con elaborazione del DVR
  • La designazione del RSPP.

L’art. 16 disciplina la delega di funzioni, che è ammessa per tutti gli altri obblighi previsti dall’art. 18, purché rispetti specifiche condizioni:

  • Atto scritto con data certa
  • Requisiti di professionalità ed esperienza del delegato
  • Attribuzione di poteri di organizzazione, gestione e controllo
  • Autonomia di spesa necessaria
  • Accettazione scritta del delegato

 

Anche in caso di delega valida, l’art. 16, comma 3 stabilisce che “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro”.

 

L’automazione può supportare, ma non sostituire gli obblighi in capo ai soggetti persone fisiche. . Come dire: potete anche usare droni, sensori e chatbot, ma se il lavoratore si fa male perché nessuno ha verificato che il dispositivo fosse stato correttamente installato, la responsabilità resta. Punto.

 

Non si tratta dunque di affidarsi alla tecnologia con fede cieca, ma di integrarla con consapevolezza. La prevenzione “smart” deve essere supportata da formazione, vigilanza, audit, e non deve diventare la nuova maschera dietro cui nascondere la riduzione dei presìdi umani.

 

La vera sfida dei prossimi anni sarà giuridica prima ancora che digitale: scrivere norme che permettano di usare l’intelligenza artificiale senza deresponsabilizzare gli attori della sicurezza.

 

In fondo, lo stesso Alessandro Magno non vinceva solo per la qualità delle armi, ma per l’organizzazione del campo e la prontezza dei suoi ufficiali. Così dev’essere anche oggi: l’algoritmo può essere utile, ma la responsabilità resta umana.

 

4. Patente a crediti nei cantieri: prevenzione o mero adempimento?

Dal 1° ottobre 2024 è operativa la “patente a crediti”: ogni impresa o lavoratore autonomo nei cantieri deve possederla. Parte da 30 punti, che si perdono in caso di violazioni o infortuni. Sotto i 15 crediti si è esclusi dai cantieri.

 

Si ottiene online tramite portale INL, dimostrando: formazione aggiornata, DVR, DURC, iscrizione camerale, RSPP nominato. In caso di infortunio mortale, la sospensione può durare 12 mesi.

 

Come ci si difende? Con documentazione impeccabile e ricorso all’Ispettorato interregionale (entro 30 giorni, art. 14, co. 14 D.Lgs. 81/2008). Ma soprattutto con «modelli organizzativi efficaci (art. 30), audit tracciati, formazione continua». La prevenzione organizzata è la miglior difesa.

 

L’introduzione della cosiddetta “ patente a crediti” per le imprese operanti nei cantieri temporanei o mobili è una delle innovazioni più discusse del sistema di prevenzione post-2025.

Prevista dall’art. 27, comma 1-bis, del D.Lgs. 81/2008, e regolata dal decreto attuativo del Ministero del Lavoro, essa mira a premiare i comportamenti virtuosi e penalizzare quelli rischiosi, attraverso un sistema di punteggio assegnato – e decurtato – sulla base della condotta dell’impresa.

 

In teoria, è un meccanismo ispirato a logiche meritocratiche, non dissimile dalla patente a punti per la guida. In pratica, però, come già accaduto in altri ambiti, il rischio è quello di costruire una sovrastruttura formale che aggiunge obblighi documentali senza incidere davvero sulle prassi operative.

 

Come funziona? All’atto dell’iscrizione alla Camera di Commercio, le imprese ricevono una dote iniziale di 30 crediti. In caso di infortuni, violazioni accertate o mancanze formative, i punti vengono decurtati. Se si scende sotto i 15 crediti, l’impresa non può più operare nei cantieri. Per recuperarli, bisogna seguire corsi formativi, adottare misure correttive, e ottenere la “riabilitazione”. E’ possibile ottenere crediti aggiuntivi con situazioni o prassi virtuose (iscrizione alla camera di Commercio da tempo, dimensioni dell’impresa, corsi di formazione ulteriori e non obbligatori, investimenti di sicurezza ecc.).

 

Ad oggi nessuna patente ha subito decurtazione di punti ne alcuna patente è stata sospesa, ci sono per quest’ultima possibilità una ventina di casi sotto esame.

 

Sulla carta, nulla da eccepire. Anzi, potrebbe costituire una leva per favorire l’adozione dei modelli organizzativi ex art. 30 D.Lgs. 81/2008. Il problema, semmai, è nella concretezza applicativa.

 

In conclusione, il principio è giusto, la costruzione interessante, ma – come direbbe un buon romano antico – «quod superest, exsecutionem spectamus». Sarà tutto da vedere se, al di là dei buoni propositi, la patente diventerà uno strumento reale di prevenzione o un’altra carta in più da esibire in caso d’ispezione, cosa che non guasta, ma non basta. Il Governo ha promesso la effettiva attuazione del portale con rilascio della Patente e possibilità di ottenere crediti ulteriori a breve termine, vedremo.

 

5. La formazione come cardine della prevenzione: cosa resta da fare

Oggi la formazione non si misura più in ore, ma in risultati. L’Accordo 2025 prevede fascicoli tracciati, osservazione diretta, check-list, break formativi. Gli attestati senza contenuto non hanno più diritto di cittadinanza.

 

Domani la formazione sarà esperienziale e integrata. Realtà virtuale, benessere psicologico, neuroergonomia, cybersecurity. E – si spera – sostenibilità e rischi ambientali. L’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 lo dice chiaramente: informazione e formazione sono parte integrante del modello 231. «Chi non investe in formazione, non ha un modello valido».

 

L’ASR 2025 riconosce i crediti formativi ex art. 37, comma 14-bis, per evitare duplicazioni quando i contenuti si sovrappongano.

 

Inoltre, ai sensi dell’art. 37, comma 13, dovremo garantire comprensione della lingua veicolare per tutti, anche per chi ha difficoltà linguistiche. La formazione sarà utile solo se sarà accessibile.

 

L’Accordo Stato-Regioni 2025 non prevede una formazione qualsiasi. Non il solito corso con slide lette a voce bassa e firma sul registro finale. L’ASR 2025 – almeno sulla carta – vuole una formazione vera, concreta, tagliata su misura. Una formazione che non serve solo a “mettersi in regola”, ma a salvare vite umane, ridurre il rischio di infortuni e malattie professionali, migliorar eil benessere aziendale.

 

E qui si gioca la partita più importante. Perché la storia della prevenzione è, in fondo, una storia di consapevolezza. Quando i lavoratori capiscono davvero il perché delle regole, le rispettano. Quando i datori di lavoro investono in formazione non per obbligo, ma per cultura aziendale, allora il sistema regge. Ma se la formazione è solo un pezzo di carta, magari acquistato su internet a 30 euro, allora la legge diventa una liturgia ipocrita.

 

Per questo l’ASR 2025 ha introdotto novità cruciali:

  • La verifica finale obbligatoria per tutti i percorsi formativi.
  • L’uso di strumenti oggettivi di verifica in campo, come check list, osservazione diretta, indicatori di efficacia.
  • Il principio della formazione per “gruppi omogenei”m per settore, per mansione (Parte IV § 2.1), che consente di modellare contenuti e metodologie.
  • L’obbligo di progettazione dettagliata, con un vero e proprio “dossier didattico” che documenti l’intero percorso.

 

E tuttavia, non basta. Perché come osservato “la qualità della formazione resta spesso inversamente proporzionale alla quantità di attestati emessi”. Serve un cambio di passo. Servono controlli veri, mirati, incentrati sulla qualità, non solo sulla modulistica. Serve soprattutto una responsabilizzazione diffusa: il lavoratore che pretende formazione vera, il preposto che segnala carenze, il datore di lavoro che investe davvero.

 

E qui si arriva a un punto che spesso i giuristi ignorano: la formazione non è solo un obbligo giuridico, ma un fatto antropologico. È l’atto con cui una generazione trasmette all’altra il sapere per restare vivi. Come nelle botteghe rinascimentali, dove il maestro non si limitava a dare ordini, ma mostrava, correggeva, faceva insieme. Così dovrebbe essere oggi in fabbrica, in cantiere, in ufficio.

 

L’ASR 2025 è un buon passo. Ma come sempre nella storia, la legge da sola non basta.

 

Occorrono cultura, esempio, vigilanza. E, soprattutto, quella strana forma di rispetto per la vita umana che non si può prescrivere con decreto, ma che distingue il buon lavoro dalla farsa burocratica.

 

Rolando Dubini, penalista Foro di Milano, cassazionista

 

 

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