Morire di lavoro. Qualcosa che ho imparato

Ho terminato il mio impegno sociale e la mia esperienza professionale sulle questioni della salute e della sicurezza dei lavoratori nel 2015. Da allora le mie fonti di informazione sono state gli organi di informazione quotidiani e le conversazioni con lavoratrici e lavoratori incontrati dove vivo, nella bassa valle di Susa. Le mie considerazioni sono quindi necessariamente frammentate e, in buona parte, superficiali, più che considerazioni sono delle sensazioni, delle reazioni alla informazione del giorno che leggo o ascolto. Ho tentato di approfondire le mie conoscenze andando a cercare dati e informazioni sul sito dell’Inail e in particolare sulla sezione “Informo” (infor-mo, analisi degli infortuni mortali a seguito delle indagini dei servizi territoriali di vigilanza delle Asl) per scoprire che anche su questo piano l’informazione è regredita e la collaborazione tra servizi di prevenzione e Inail è venuta via via scemando.

Nell’ultimo periodo poi chi lavorava per il sistema informativo della Regione Piemonte è stato dirottato a organizzare le informazioni sull’epidemia da Covid 19. La mia curiosità, ad esempio, sull’andamento degli infortuni nell’edilizia piemontese dopo il boom delle attività conseguenti al superbonus per ridurre consumi energetici e dispersioni termiche delle abitazioni non ha trovato risposte, solo un commento di un esperto: «stanno scomparendo gli infortuni lievi e medi e crescono quelli mortali». Cioè i lavoratori autonomi e gli immigrati non li denunciano più. Devi quindi accontentarti di quello che riesci a sapere come cittadino. Di volta in volta leggi la notizia sull’infortunio del giorno e fai qualche considerazione, ne racconto alcune.

Le informazioni dei quotidiani

Alcune settimane or sono abbiamo letto di un infortunio mortale di un lavoratore della logistica per schiacciamento da parte di un camion in manovra in un magazzino e mi sono chiesto: per quale ragione un camion non deve avere un segnalatore di ostacoli quando manovra mentre ormai è presente in molte automobili private? E perché mai l’Inail butti via i soldi destinati a incentivare la prevenzione delle imprese quando il ministro del lavoro potrebbe avanzare una proposta di superbonus per dotare camion e furgoni di tale attrezzatura? Nella logistica più che altrove la corsa verso il basso dei costi è una costante e moltissime volte i mezzi di trasporto sono vecchi mentre i loro padroncini e, sempre più, le false cooperative (come le chiamò Papa Francesco avvalendosi del termine usato in America Latina) si conquistano il lavoro in gare d’appalto prive di margini per le risorse da destinare alla sicurezza.

In un articolo di un quotidiano si è fatto cenno al fatto che una lavoratrice recentemente schiacciata sotto la pressa fustellatrice aveva fatto con il suo smartphone la fotografia della assenza o della inattivazione del dispositivo di sicurezza per l’arresto dello stampo e mi sono ricordato della conversazione con un lavoratore di una grande azienda operante nel territorio in cui vivo che mi diceva di aver fatto vedere a un ispettore sul suo telefonino la fotografia dei fumi e dei vapori presenti nel posto dove lavorava per ricevere un aspro richiamo da parte dell’ispettore perché lui le fotografie in fabbrica non le poteva e fare e stava commettendo un reato. Mi sembra di ricordare che un ispettore sia un pubblico ufficiale e che una informazione sul mancato funzionamento dei dispositivi di protezione e prevenzione (in questo caso dell’aspirazione della cappa) continui a essere una notizia di reato che non dovrebbe ignorare. Ma in un caso come nell’altro l’uso dello smartphone per cercare di difendersi sta a indicare la grave solitudine della lavoratrice esposta al rischio, che non ne parla con i colleghi di lavoro e con il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che pure dovrebbe esserci nella sua come in tutte le altre aziende, presente o no il sindacato.

In questi giorni leggo della istituzione di una sorta di patente a punti per le imprese ai fini del controllo e del miglioramento delle misure di prevenzione. Anche in questo caso mi sorgono alcune domande. Ma il premio assicurativo contro gli infortuni e le malattie professionali che l’impresa paga all’Inail non è già in funzione della gravità e della frequenza degli infortuni? Ogni impresa è classificata a partire dalla tariffa del premio assicurativo dello specifico comparto in cui opera e questo premio poi varia a seconda degli infortuni che avvengono in azienda, non basta? Perché aggiungere un secondo sistema e chi dovrebbe compilare questa patente? A questa osservazione si può ovviamente rispondere che se cresce la frequenza degli infortuni mortali vuol dire che il sistema del premio assicurativo dell’Inail non funziona. Ma allora dovrebbe sorgere un’altra domanda, perché non funziona? E la risposta già la si conosce: ormai gli infortuni lievi troppo frequentemente non vengono più denunciati. Ma la prevenzione si fa se si controllano gli infortuni lievi e quelli che in gergo si chiamano i quasi-infortuni (gli incidenti che potevano provocare un danno al lavoratore ma questo per fortuna non è avvenuto). Quando questa attenzione scema vuol dire che viene a mancare una cultura della prevenzione (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/05/13/infortuni-oggi/).

Le conversazioni al bar

L’altra fonte di informazioni per me, pensionato permanente effettivo, è lo scambio di informazioni al bar che frequento per trovarmi con amici, qualcuno ex sindacalista come me e assiduo frequentatore, e un po’ alla volta alcuni altri clienti vengono a porti domande o segnalarti problemi quando scoprono il tuo mestiere del passato. Ti parlano e ti chiedono suggerimenti per le cose che non vanno. Forse richiamarne alcune in questo scritto è parziale e offre uno sguardo troppo pessimistico, ma vale la pena raccontarle mettendo in evidenza la parziale genericità perché il lavoratore che racconta si raccomanda di non citare l’azienda e di garantire l’anonimato evitando anche solo richiami indiretti che possono favorirne la individuazione. Tra i lavoratori la paura è diffusa, molto diffusa.

In un caso però la citazione la posso fare perché le lavoratrici sono state ormai licenziate da alcuni anni. Alla Azimut di Avigliana alcune lavoratrici erano addette ai reparti di produzione di parti degli scafi in vetroresina o nel loro allestimento e nel tempo le loro braccia o i loro polsi e le mani si sono rovinate subendo quelle che si chiamano “lesioni da movimenti e sforzi ripetuti”; sono diventate inidonee al lavoro e trasferite in magazzino a svolgere lavori semplici ed esentate da usare il carrello elevatore (quindi non soggette alla visita di controllo per verificare la possibile alcol o tossico dipendenza), una volta trasferite in magazzino l’azienda ha avviato la procedura di licenziamento per gli “addetti al magazzino che non utilizzano il carrello elevatore”. In quel momento erano da poco entrate in vigore le nuove norme sul licenziamento proposte dalla signora Fornero e approvate a larghissima maggioranza dal Parlamento: il licenziamento non era adeguatamente motivato ma legittimo per cui veniva meno la reintegrazione mentre era possibile un indennizzo più elevato, superiore al trattamento di fine rapporto di lavoro, e l’azienda lo ha immediatamente proposto e quando alcune lavoratrici si sono rivolte agli avvocati del lavoro questi non hanno potuto fare altro che consigliarle di accettare perché anche ricorrendo al magistrato non avrebbero ottenuto di più. Da allora alla Azimut ogni lavoratore, dopo la visita medica periodica, ha un bollino verde (idoneo al lavoro), giallo (parzialmente idoneo), rosso (non idoneo e candidato al magazzino senza usare il carrello o qualche altra diavoleria che i gestori delle “risorse umane” si inventeranno per evitare il licenziamento discriminatorio per ragioni di salute).

In una azienda di una multinazionale presente nella zona ovest della cintura di Torino il lavoratore infortunato non viene inviato al pronto soccorso ma da un medico della ASL che valuta se confermare l’infortunio o diagnosticare la malattia e, guarda caso, anche in una grande impresa l’infortunio si trasforma in malattia e così il premio assicurativo da pagare all’Inail non aumenta.

Alcuni anni or sono un lavoratore infortunato in una azienda della zona industriale di Almese è stato accompagnato al pronto soccorso dal proprio rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in gergo il RLS, per essere in due a confermare che era un infortunio domestico e non professionale.

In queste settimane mi hanno chiesto cosa si può fare quando durante il lavoro alla lavoratrice arrivano i dolori alla spalla (alla cuffia dei rotatori, si dice…). Le ragioni hanno origine nel suo lavoro di montaggio su banco di particolari che, a seconda della dimensione, molte volte comportano una frequenza dei movimenti, un tempo ciclo, inferiore al minuto: dovrebbe essere informata del rischio dall’azienda e invece l’informazione la riceve al bar …

Considerazioni

Solitudine e paura creano soggezione e rancore, brodo di coltura per la destra anche tra i lavoratori. Sono venute meno le risposte collettive, anche il sindacato in queste situazioni offre servizi di tutela e non soluzioni organizzative di carattere collettivo. E allora, almeno nella valle dove io vivo, vieni a conoscere un nuovo fenomeno, solo apparentemente contraddittorio: i lavoratori con un rapporto di lavoro stabile che si licenziano perché non ne possono più (se hai più di quattro anni di lavoro continuativo la indennità di disoccupazione corrisponde ai tre quarti della paga ed è garantita per due anni).

In altri momenti il sindacato ha riflettuto sulla insufficienza della Commissione Interna, istituto di rappresentanza dei lavoratori, per poter intervenire sulle concrete condizioni di lavoro dei lavoratori e ha scoperto che i lavoratori erano soggetti collettivamente agli stessi problemi, fossero iscritti a uno o altro sindacato o non fossero iscritti. Oggi il problema si ripresenta diffusamente in un contesto produttivo in cui si frammentano organizzazioni e cicli di lavorazione e ancor più si frammentano le prestazioni di lavoro ma la rappresentanza dei lavoratori viene usata solo per sapere chi è il sindacato con più voti.

Senza una critica generale al lavoro di oggi e un ripensamento alla rappresentanza unitaria dei lavoratori – unitaria perché fa unità tra di loro ancor prima dei loro sindacati – resteranno in campo solo proposte di buona gestione manageriale in una fase in cui la gestione manageriale dei lavoratori è sempre più arbitraria.