Esposizione ambientale e occupazionale a silice libera cristallina: ieri, oggi e domani

 

“Esposizione ambientale e occupazionale a silice libera cristallina: ieri, oggi e domani” a cura di  Claudio Minoia, Fulvio Cavariani, Alessia Angelini, Stefano Porru, Fabio Capacci e Franco Carnevale

Tipografia Pime Editrice, Pavia, 2019

Un libro nuovo, che parla di salute e di lavoro.  Un libro sulle polveri che contengono silice cristallina, e su una malattia antica, la silicosi. Poco nobile la polvere, perché oltre che sporcare, uccide in ogni parte del mondo, poco signorile la malattia perché colpisce solo i lavoratori, ovunque sfruttati e in condizioni di cattiva salubrità ambientale.

I medici sanno che la silicosi è una malattia polmonare grave, irreversibile ed incurabile, ed è causata dall’inalazione di polveri fini contenenti particelle di silice libera cristallina (SLC). E’ la malattia professionale più “antica” (nota anche ai Romani) e più diffusa al mondo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che continui a causare nel mondo oltre 30.000 decessi ogni anno.

La SLC è uno dei fattori di rischio in ambiente di lavoro più diffuso nel mondo, poiché è presente nella maggior parte delle rocce e nei minerali della crosta terrestre. Sono milioni i lavoratori esposti a questo rischio nel mondo sviluppato (Europa: 2 milioni; Stati Uniti: 2 milioni; Giappone: 0,5 milioni), ancora di più in Cina (dove si stima che oltre 25 milioni di lavoratori corrano il rischio di ammalarsi) e nelle altre parti del mondo, come l’India (11,5 milioni di esposti a rischio) e in tutti i siti estrattivi di minerali in Africa.

In Italia tra il 2000 ed il 2015, 6.317 lavoratori sono morti per silicosi, su un numero stimato di 250.000 esposti a SLC; 1.372 persone hanno avuto ricoveri ospedalieri per questa patologia e 1.432 ricevono una rendita pensionistiche per malattia grave dovuta alla SLC; i lavoratori colpiti con più frequenza dalla silicosi risultano essere i minatori, i ceramisti, i muratori e i marmisti.

L’esposizione a SLC si verifica infatti in settori produttivi tradizionalmente polverosi (come le  miniere, durante le costruzioni e la movimentazione di terra, nelle cave di pietre e minerali lapidei, nella produzione ceramica, nelle fonderie) e in settori nuovi (come la lavorazione pietre artificiali, nella sabbiatura del tessuto denim per la produzione di jeans – solo in Turchia ci sono stati 50.000 lavoratori esposti e 5.000 ammalati gravi; ora la lavorazione è vietata, ma continua in Bangladesh e Vietnam; nell’orificeria e per la formatura di protesi dentarie) e continua a produrre sofferenza e malattie in tutto il mondo.

La malattia silicotica è spesso silente o si accompagna alla difficoltà di respirazione e tosse. E le malattie respiratorie, si sa, sono di serie B, difficili da diagnosticare e il fumo di sigaretta confonde le acque, quindi sono spesso sottovalutate, con una diagnosi difficile, specie senza una adeguata radiografia del torace. Una malattia “opinabile e nel contempo fatalisticamente insopprimibile” come dicono gli studiosi di questa grave patologia.

Non c’è dubbio che l’inalazione prolungata di silice può causare silicosi, e non solo. Studi epidemiologici dimostrano che l’esposizione alla silice è associata, oltre che a malattie autoimmuni e danni renali, a un aumento del rischio di tumore polmonare. La cancerogenicità della SLC è stata esaminata dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC di Lione), e, già nel 1997, ha concluso che l’inalazione di polveri contenenti silice causa il cancro al polmone. Questo ha portato a classificare la SLC come cancerogeno del gruppo 1, come l’amianto.

L’Europa però nella direttiva UE 2017/2398 sulle sostanze cancerogene in ambiente di lavoro (che l’Italia deve ancora recepire), ha sancito un valore limite di esposizione (0,1 mg/m3) molto meno cautelativo, 4 volte superiore a quanto proposto da ACGIH, l’associazione degli igienisti industriali statunitensi (0,025mg/m3) e il doppio di quello proposto dalla amministrazione USA per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA) e dallo SCOEL, l’organismo scientifico della E.U. (0,05mg/m3).  Insomma, le dinamiche legislative europee sono state molto più sensibili alle richieste delle lobby industriali di quanto non sia successo negli USA.

Come si è mosso il Servizio Sanitario Nazionale Italiano per garantire interventi esaustivi di prevenzione e di controllo della malattia?  E’ sicuramente mancato un piano nazionale e le attività svolte sono state incostanti e non finalizzate.

Questo libro ne racconta gli spezzoni, le esperienze positive e i fallimenti. Fallimento anche per l’epidemiologia italiana che non ha saputo coordinare un sistema di rilevazione attivo dei nuovi casi di malattia: l’incidenza di casi di silicosi è rappresentata, nel bene e nel male, solamente dai riconoscimenti previdenziali dell’INAIL, l’Istituto assicuratore per gli infortuni e le malattie professionali, e gli unici dati che solo ora sono disponibili, sono quelli della accresciuta mortalità a causa della silicosi e dell’impatto sulle strutture sanitarie dei lavoratori che si ammalano.

“Esposizione ambientale e occupazionale a silice libera cristallina: ieri, oggi e domani” a cura di  Claudio Minoia, Fulvio Cavariani, Alessia Angelini, Stefano Porru, Fabio Capacci e Franco Carnevale

Tipografia Pime Editrice, Pavia, 2019

Il volume, di circa 600 pagine, con 35 contributi scientifici originali, è autoprodotto ed intende fare il punto in Italia, di quanto si conosce e su quanto si è fatto sulla silicosi, dalla sua storia ai  determinanti della malattia, dalla diagnosi alle misure preventive e di controllo, ma soprattutto su cosa sarebbe necessario fare per prevenire le malattie da silice, raccogliendo le riflessioni di esperti, ricercatori, professori universitari, medici del lavoro, storici della salute, giuristi e sindacalisti, per un totale di oltre 80 autori.

Il libro, curato dai maggiori esperti italiani in materia, rappresenta un originale e, sinora, unico esempio di divulgazione scientifica collettiva, a disposizione di tutti quelli che intendano conoscere meglio un rischio lavorativo e ambientale gravemente sottovalutato e misconosciuto, ma vuole anche essere un forte “je accuse” rispetto alle mancate azioni di prevenzione (ogni ammalato ne è una prova vivente), dovute alla assenza di pianificazione nazionale, ma anche alla carenze di risorse umane e  strutturali, di tutto il sistema italiano della prevenzione nei luoghi di lavoro.