Gaza update: the questionable precision and ethics of Israel’s AI warfare machine

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Jonathan Este, The Conversation

The Israel Defense Forces (IDF) have reportedly been conducting operations in the Beit Hanoun area of the northern Gaza Strip conducting raids on Hamas and Islamic Jihad targets. The IDF says it has been working on information gleaned from questioning Palestinian fighters captured in the fighting.

According to a report in the Jerusalem Post on April 17, the Palestinian fighters were hiding out in schools in the area. A warning was issued to civilians to evacuate the buildings before the Israeli military moved in, the IDF said.

Meanwhile, ceasefire talks have been suspended as Israel reportedly prepares to move on Rafah, where more than a million Palestinians remain trapped. The Guardian reported this week that the IDF had confirmed buying 40,000 tents for evacuees.


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When it comes to how the IDF identifies its targets, investigative journalists in Jerusalem have published reports recently delving into the use of artificial intelligence (AI) by Israel’s military and intelligence agencies in its conduct of the war. The investigation, by online Israeli magazines +927 and Local Call examined the use of an AI programme called “Lavender”. This examines a range of data to identify possible Hamas fighters. As Elke Schwarz, a reader in political theory at Queen Mary University of London, explains, this could include social network connections and family relationships.

ISW map showing military activity on the Gaza Strip, April 17.
Military activity on the Gaza Strip, April 17.
Institute for the Study of War

Schwarz writes here: “The category of what constitutes relevant features of a target can be set as stringently or as loosely as is desired. In the case of Lavender, it seems one of the key equations was ‘male equals militant’.” Shades, she says, of the US doctrine during the drone wars of Barack Obama’s administration that apparently held that “all military-aged males are potential targets”.

Needless to say, the potential for misidentification is enormous. It’s important to note that the IDF is not the only military to be working with AI in this way. The US Department of Defense is known to be working on what it calls “Project Maven”, which – we’re told – allows the user to sign off on up to 80 targets an hour, apparently barking out the prompt to “accept, accept, accept”. As the 1970s Milgram experiments into obedience to authority suggested, controversially, humans – particularly men – will perform actions that are tantamount to torture if directed to with sufficient authority.

These are also not the first reports to emerge about Israel’s alleged use of AI to identify targets. Natasha Karner, a researcher into emerging technologies and global security at RMIT University in Australia, writes that the IDF was boasting of winning the first “AI war” in its’ intensive 11-day Operation Guardian of the Walls campaign in 2021.

But one function of the way the IDF is harnessing Lavender in this current conflict is its use alongside other systems. One called “Habsora” (or Gospel) tells the system that a building potentially houses a suspected fighter and another, apparently called “Where’s Daddy?”, reports on when the target returns to the building, which may or may not also contain the fighter’s family.

 

The Iranian dimension

Away from the charnel house that is the Gaza Strip, the focus has been on the aftermath of Israel’s strike on the Iranian embassy in Baghdad on April 1. The strike killed seven members of Iran’s Islamic Islamic Revolutionary Guard Corps, including General Mohammad Reza Zahedi, the Quds Force commander overseeing Syria and Lebanon.

According to Scott Lucas, an expert in Middle East conflicts at University
College Dublin, Israel has been assassinating Iran’s top military and intelligence brass for years. But what set the April 1 attack apart from the rest was that this was an attack on a diplomatic premises, ruled by international law to be “inviolable”. As is his wont, Iran’s supreme leader, Ayatollah Ali Khamenei, vowed revenge, declaring: “The Zionist regime will be punished by the hands of our brave men. We will make it regret this crime and others it has committed.”

Writing on April 11, Lucas kindly agreed to answer our questions on whether this would be likely to escalate into an all-out regional conflict. He felt that Khamenei’s rhetoric was very much performative. It was meant for both internal consumption, to rally a restless population suffering from a parlous economy crippled by sanctions and angry at the regime’s oppression, and to project strength in the region.

He speculated that Iran could launch an air assault, but this could undo Tehran’s diplomatic efforts over months to portray Iran as much of a victim as Gaza and to try to sow division between Israel and the US. And this was very much how it was to turn out when Iran’s drones and missiles flew last weekend.

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La finanziarizzazione della sanità

Fonte Saluteinternazionale che ringraziamo

di  Adriano Cattaneo

Il passo successivo alla privatizzazione della sanità è quello della finanziarizzazione. È sempre più forte la tendenza ad acquisire strutture e organizzazioni sanitarie da parte di fondi di investimento, fondi pensione, fondi speculativi (“hedge funds”), compagnie generali di assicurazioni, gestori di beni, fino a quelle misteriose entità note come “private equities”. Con maggiori costi per i pazienti, minore qualità delle cure, insufficiente quantità e qualità degli operatori sanitari.

La finanziarizzazione di un’impresa o di un settore produttivo va oltre il semplice finanziamento. Il termine indica, piuttosto, che la dinamica delle operazioni finanziarie all’interno di quel settore è talmente vasta da prendere il sopravvento sulla produzione, di servizi nel caso della sanità. Invece di concentrare l’attenzione sulla qualità delle cure e sui risultati di salute, un servizio sanitario finanziarizzato si preoccupa prioritariamente di acquisire da e/o vendere ad altri servizi finanziarizzati, strutture e attività, o addirittura semplicemente azioni e/o quote di proprietà. Se i profitti di un servizio sanitario finanziarizzato si mantengono ai livelli attesi, o aumentano, i finanzieri che vi hanno investito mantengono o aumentano le loro quote di proprietà. Se, al contrario, i profitti diminuiscono o non arrivano ai livelli sperati, o se l’investimento in altri settori sembra essere più redditizio, i finanzieri non esitano a spostare i loro capitali altrove. Può anche succedere che dei finanzieri investano a tempo in un servizio sanitario, cercando di ricavare nel breve periodo il massimo possibile di profitti, per poi disfarsi delle loro quote di proprietà lasciando che il servizio vada alla deriva. In questo modo, finisce che il settore assomigli sempre meno a un servizio sanitario e sempre più a piazza affari.

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«Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio», la sicurezza non è un costo, né un lusso, ma un dovere cui corrisponde un diritto inalienabile di ogni persona

INTERVENTO DEL CARDINALE MATTEO MARIA  ZUPPI A BOLOGNA

11 aprile 2024 sciopero Cgil e Uil per la sciagura del bacino di Suviana

Intervento in Piazza Maggiore sulla sicurezza e sul lavoro bene comune

Per prima cosa rivolgo un pensiero alle vittime, la preghiera per loro e per le loro famiglie, che la scomparsa dei loro – e nostri – cari la porteranno, atroce, tutti i giorni. Dio li accolga dove non c’è morte e le lacrime sono asciugate, consoli i familiari, ispiri solidarietà. Vorrei rivolgere un pensiero grato anche a tutti quelli che si stanno prodigando con generosità straordinaria lavorando per cercare i dispersi. E un ringraziamento particolare alla gente della montagna. Ci fanno sentire comunità, vivono questa tragedia come loro dolore – e così deve essere – e ci ricordano che siamo una comunità. I panini che istintivamente hanno preparato e offerto a quanti aiutavano sono la dimostrazione dell’umanità da ritrovare e da non smarrire.

Non possiamo abituarci al fatto che il lavoro, che dà vita, diventi morte. Per nessuno. Lavoro e morte non devono mai abbracciarsi. Il lavoro è vita e deve far vivere, è vocazione, dignità della persona, socialità. Se diventa morte, sfruttamento, ingiustizia, ciò deve generare corale e convinta repulsione. Per questo oggi, in continuità con gli altri presidi e manifestazioni al riguardo, chiediamo responsabilità e sicurezza. Le vittime sul lavoro sono uno scandalo. Le morti e gli infortuni riguardano tutti. La media di tre incidenti sul lavoro al giorno in Italia non tende a diminuire. Questa tragedia impone oggi sobrietà nelle parole, serietà negli impegni, consapevolezza non opportunistica, responsabilità per il presente perché ci sia un futuro diverso. Questo inizia da ciò che facciamo oggi! L’indignazione e la commozione di queste ore, drammatiche e sconvolgenti, devono diventare impegni di sistema.

E chiedono lo sforzo di tutti. Come dobbiamo impegnarci per la manutenzione della pace, così solo la manutenzione della sicurezza può impedire al massimo quelle che non sono mai solo fatalità. Sicurezza e responsabilità. Ma la sicurezza chiede investimenti, formazione, informazione, sistemi di prevenzione che aiutino e non penalizzino, controlli efficaci. Non è un investimento facoltativo. I lavoratori sono il patrimonio più prezioso di un’impresa. Quando la sicurezza è vista come un costo aggiuntivo, addirittura fastidioso o considerato inutile, significa che siamo irresponsabili e ciò rende responsabili delle tragedie.

Ne va della dignità delle persone, della credibilità delle leggi e della fedeltà alla nostra Costituzione, fondamento della nostra casa comune. La Chiesa è preoccupata delle condizioni dei lavoratori, perché al centro ci sono le persone. Tutte. Nel recente documento Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, è scritto: «La povertà si diffonde in molti modi, come nell’ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà. Tra questi effetti distruttori dell’Impero del denaro, si deve riconoscere che non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro» (n. 37). Le cosiddette “morti bianche” (che però bianche non sono, perché macchiano le nostre coscienze!) sono spesso frutto di deresponsabilizzazione.

Sappiamo che esternalizzare il lavoro attraverso ditte o cooperative facilmente crea situazioni più difficili da controllare, alimenta il precariato e la manodopera finisce sottocosto. La logica dell’esclusivo profitto porta spesso al ribasso e così le prime voci sacrificate sono le garanzie contrattuali e la sicurezza. «Non si può, in nome di un maggior profitto, chiedere troppe ore lavorative, facendo diminuire la concentrazione, oppure pensare di annoverare le forme assicurative o le richieste di sicurezza come spese inutili e perdite di guadagno». La sicurezza sul lavoro – disse Papa Francesco – è parte integrante della cura della persona. «Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio». La sicurezza non è un costo, né tantomeno un lusso, ma un dovere cui corrisponde un diritto inalienabile di ogni persona. Facciamolo anche per onorare la loro morte.

Bologna, Piazza Maggiore

11/04/2024