FONTE FIOM-CGIL.IT
Il 18 aprile 2006 all’Ilva di Taranto moriva l’operaio Antonio Mingolla dipendente della ditta Cmt. Ci sono voluti cinque anni per chiudere il processo d’appello e confermare la condanna per sei preposti e responsabili aziendali tra diretti Ilva e ditta di appalto. Giuseppe Romano, segretario genrale della Fiom di Taranto, sottolineando l’importanza di “una sentenza che fa giustizia”, specifica che “alla Fiom Cgil di Taranto, costituitasi parte civile sin dall’udienza preliminare, è stato riconosciuto, a carico di tutti gli imputati, il risarcimento del danno, perché la nostra organizzazione è stata.ritenuta portatrice degli interessi collettivi dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza del lavoro.
Di una “sentenza importante”, parla l’avvocato Massimiliano Del Vecchio, legale della Fiom di Taranto e componente della consulta giuridica della Fiom nazionale, perché conferma che la responsabilità di quanto avviene nello stabilimento siderurgico non è in capo solo alla proprietà, ma anche alle ditte di appalto, che hanno l’obbligo di formare e informare sui rischi i propri lavoratori. Se Mingolla fosse stato adeguatamente informato non sarebbe morto.
Di seguito riportiamo un approfondimento sulla sentenza a cura dell’avvocato Del Vecchio.
“Dopo sette ore di camera di consiglio la Corte di Appello di Taranto Sezione Penale, adita dagli imputati per la impugnativa della sentenza che aveva già affermato la responsabilità penale a carico di diversi dirigenti e preposti dell’Ilva Spa, nonchè della ditta appaltatrice Cmt e subappaltatrice e Smi per l’omicidio sul lavoro del povero Antonio Mingolla, dopo avere rigettato tutte le eccezioni, anche afferenti a pretesi vizi di forma della costituzione di parte civile della Fiom Cgil, ritenuti insussistenti, ha accolto le nostre conclusioni e deduzioni, confermando le condanne di tutti gli imputati a due anni di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti solo per l’amministratore della subappaltatrice, per questo a lui con pena ridotta da due anni e sei mesi a due anni di reclusione.
In favore della Fiom, costituita parte civile sin dalla udienza preliminare del 30/9/2009 e ritenuta portatrice degli interessi collettivi dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza del lavoro, è stato riconosciuto, a carico di tutti gli imputati, il risarcimento del danno, liquidato in provvisionale, oltre le maggiori somme che saranno accertate in separato giudizio dal Giudice civile e le spese di lite.
Il Mingolla, dipendente della Cmt S.r.l. presso lo stabilimento siderurgico Ilva S.p.A., era deceduto il 18 aprile 2006 per intossicazione da monossido di carbonio mentre effettuava lavori di manutenzione presso una valvola della tubazione di gas Afo (gas altamente nocivo costituito da una miscela composta da monossido di carbonio al 24%, anidride carbonica al 21%, idrogeno al 4%, ossigeno all’1% e azoto al 50% utilizzato per l’alimentazione dei bruciatori di forni e caldaie).
Accasciatosi al suolo privo di sensi, veniva soccorso nelle immediatezze dal collega Buono Giuseppe con l’ausilio degli operai Danese Angelo, Zaccaria Luciano e Zammillo Vincenzo, tutti ricoverati, nella stessa giornata, per intossicazione da monossido di carbonio.
Le risultanze dibattimentali hanno rilevato come la intossicazione da monossido di carbonio subita dal Mingolla (la cui percentuale nel sangue è stata quantificata, in sede di esame autoptico, in misura pari al 72%) sarebbe stata determinata da un uso improprio del dispositivo di protezione, avendo il Mingolla tolto la maschera respiratoria a più riprese per parlare al telefono. In particolare, dai tabulati telefonici emergeva che, il 18 aprile 2006, il lavoratore non solo avrebbe effettuato delle chiamate, ma avrebbe ricevuto ben 17 chiamate tra le ore 08.00 e le ore 16.00. Di queste chiamate in entrata 13 provenivano da cellulari aziendali, di cui 6 dal capo cantiere della Cmt.
Ebbene, l’errato utilizzo del dispositivo di protezione individuale da parte della vittima, che aveva consentito il letale e progressivo accumulo di gas nocivo nel sangue, è senz’altro riconducibile ad una grave violazione degli obblighi formativi ed informativi in materia di sicurezza in danno del lavoratore deceduto, ma anche nei confronti della generalità dei lavoratori addetti al cantiere, stante la acclarata inadeguatezza del modello formativo ed informativo.
Abbiamo avuto modo di sostenere vittoriosamente, pertanto, anche dinanzi alla Corte di Appello, che la responsabilità del decesso del Mingolla era del tutto attribuibile alla mancanza di adeguata formazione e che il comportamento del lavoratore, obiettivamente imprudente non poteva essere ascritto a sua negligenza, ma a mancata conoscenza del rischio di dismettere anche solo per pochissimo tempo la maschera respiratoria. Abbiamo pure sostenuto che all’epoca del decesso già esistevano maschere respiratorie munite di radio, che, se fornite in dotazione, avrebbero consentito le comunicazioni aziendali senza la necessità di togliersi la maschera per parlare, di talchè, anche la colpevole inadeguatezza del mezzo di protezione del lavoratore”.
avv. Massimiliano Del Vecchio