E’ una pratica diffusa di organizzazione del lavoro basata sull’ “informalità maligna” ad avere ucciso i 5 lavoratori di Brandizzo ?

 

La tragedia di Brandizzo: cinque lavoratori di un’impresa d’appalto mentre stavano sostituendo un pezzo di binario sono stati travolti e uccisi da un convoglio ferroviario in transito . Quei lavoratori , secondo quanto dichiarato dalla dirigenza RFI, non dovevano trovarsi sulla linea in quanto non era stata data nessuna autorizzazione ad iniziare i lavori. Su quella linea non c’è il sistema di sicurezza più recente in uso soltanto sulle linee ad alta velocità. La vecchia strumentazione elettronica che avrebbe dovuto segnalare “il binario occupato” pare, dalle informazioni dei giornali, fosse inattiva. Le autorizzazioni  vengono ancora trasmesse con schede cartacee e comunicazioni telefoniche ai responsabili della protezione RFI. A loro volta gli addetti alla protezione presenti sul cantiere autorizzano i lavoratori dell’impresa ad occupare la sede e a lavorare sul binario autorizzato. La squadra dei lavoratori ha iniziato i lavori , dopo alcuni minuti è arrivato un convoglio in ritardo a oltre 100 chilometri orari che li ha travolti e uccisi.

Le indagini della magistratura sono in corso per ricostruire la sequenza di errori che ha portato a questa tragedia.

Il percorso più facile sarebbe quello di attribuire al responsabile della protezione RFI e al corrispettivo capo squadra dell’azienda che aveva in appalto i lavori una esclusiva e totale responsabilità per quanto è accaduto.

Dalle notizie della stampa si deduce che i PM sono orientati, invece, a svolgere indagini in profondità per ricostruire al meglio il contesto organizzativo nel quale sono maturate le condizioni perché si determinassero comportamenti tanto pericolosi da sfociare nella tragedia.

Da una lunga esperienza nell’ambito della sicurezza del lavoro posso affermare che molto spesso la genesi di eventi tragici come quello avvenuto a Brandizzo hanno origini nelle modalità non solo formali di gestione dell’organizzazione del lavoro.

Gli studiosi di organizzazione del lavoro sanno benissimo che a fianco delle regole e delle modalità formali di gestione, nel tempo, possono emergere e prendere forza per iniziativa dei lavoratori, dei preposti, di dirigenti, delle pratiche informali che modificano le modalità operative prescritte. Questo avviene, spesso, perché nell’agire direttamente i lavoratori, i preposti, a volte anche dirigenti intermedi scoprono modi di organizzare il lavoro meno faticosi o più rapidi ed efficaci rispetto alle prescrizioni formali dell’azienda. L’organizzazione informale del lavoro è ben nota alle imprese come fenomeno da studiare, sorvegliare e dal quale apprendere per correggere al meglio la propria organizzazione del lavoro. L’organizzazione informale del lavoro in diversi casi è un fenomeno benigno che viene gestito,  dalle imprese con attenzione e consapevolezza e recuperato con la modifica delle regole operative formali.

Esistono poi situazioni ove il fenomeno è di natura diversa. In questi casi siamo di fronte a pratiche di informalità maligna che crescono a fianco delle procedure formali come modalità per “semplificare” procedure di sicurezza che “intralciano” il lavoro, per ridurre i costi, per bypassare “tempi morti”, per un malinteso obiettivo di efficienza, per sfruttamento del lavoro…

Non sappiamo se nel caso del drammatico evento di Brandizzo alla base degli errori e reati addebitati all’addetto RFI e al caposquadra dell’azienda esecutrice  vi sia stata una pratica ricorrente  di organizzazione informale del lavoro maligna non monitorata, sorvegliata e censurata adeguatamente dalla stazione appaltante .

Saranno i magistrati a ricostruire il contesto e il sistema di responsabilità aziendali che hanno portato a questa tragedia.

Possiamo dire, in generale, che le pratiche di “informalità maligna” della organizzazione del lavoro hanno maggiori possibilità di diffondersi laddove esiste una cultura aziendale burocratica e orientata ad esternalizzare le responsabilità e a non fare  il monitoraggio sulle modalità concrete in cui si lavora.

Gino Rubini