Aumentano le vittime sul lavoro e il governo Meloni li uccide una seconda volta

Vite spezzate sui cantieri e nelle industrie per puro profitto, mentre la destra dimezza gli aiuti alle famiglie

 

Fonte: areaonline.ch

Autore : Loris Campetti che ringraziamo

 

Puoi precipitare da un’impalcatura mentre lavori in subappalto, magari per un’opera finalizzata a raggiungere un obiettivo previsto dal Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza).
Se stavi lavorando al nero non avrai un nome né un numero nella lista dei morti sul lavoro, forse si dirà che sei morto di freddo o di cancro, oppure il tuo corpo verrà fatto sparire come è successo durante la ricostruzione seguita al terremoto nelle Marche.
Puoi essere travolto da un Suv mentre pedali, zaino in spalla, con la pizza da consegnare a un cliente all’indirizzo che ti ha comunicato un algoritmo.
Puoi finire sotto il trattore rovesciatosi mentre ari un campo in zona collinare, oppure puoi precipitare da una gru mentre carichi container su una nave. O risucchiata da una macchina tessile, o arso vivo in fonderia, o mentre fai esperienza in fabbrica come studente nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro.
Ma puoi morire anche guidando un camion, o semplicemente la tua utilitaria mentre vai al lavoro assonnato o sfinito dal lavoro cerchi di tornare a casa.

Le chiamano “morti bianche” anche se sono nere come il carbone, anzi come il profitto.

Nel primo semestre del 2023, in Italia sono morti 688 lavoratori, di cui 436 sul luogo di lavoro e i rimanenti in itinere, il 15% in più rispetto all’anno record che è stato il 2022 quando erano conteggiate anche le vittime del covid nella sanità. In tutto il 2022 sono morti 1.499 lavoratori.

Se si conteggiano solo i morti sul posto di lavoro, l’aumento nel semestre dell’anno in corso è addirittura del 34%.
Dati certificati dall’Osservatorio di Bologna, fondato da Carlo Soricelli nel 2008 “per non dimenticare i sette operai morti nella strage della ThyssenKrupp nella fonderia di Torino”.

Soricelli è un operaio metalmeccanico in pensione e artista sociale.
I dati che ha raccolto in questi anni dimostrano che dal 2008 le vittime accertate del lavoro raggiungono la cifra spaventosa di 19.519.

Uomini e donne, giovani e anziani, italiani e immigrati, a tutte le vittime l’Osservatorio ha dato il nome e il cognome, un’opera di misericordia, di giustizia e di rabbia.

Anche secondo i dati forniti dall’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, alla cui guida il governo Meloni vorrebbe mettere il leader dell’Ugl, il sindacato erede della fascista Cisnal) i morti sono aumentati rispetto all’anno scorso, anche se i numeri sono un po’ più bassi rispetto a quelli dell’Osservatorio per il semplice fatto che l’istituto pubblico non include i decessi di lavoratori non assicurati o al nero.

Nel primo quadrimestre l’Inail ha registrato “appena” tre morti in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Ma su alcuni aspetti la coincidenza dei rilevamenti è totale: maglia nera delle “morti bianche” alla Lombardia, seguita dalle altre regioni del nord.
Si muore di più dove c’è più lavoro. Lavoro sporco.

La mortalità è più elevata tra i 55 e i 64 anni, soprattutto tra gli ultrasessantacinquenni, e inoltre, il rischio di perdere la vita lavorando è quasi doppio per gli immigrati.
Il giorno più pericoloso è, neanche a dirlo, l’ultimo lavorativo della settimana, cioè il venerdì; infine, si muore con più facilità nelle ultimissime ore della prestazione, cioè verso fine turno quando il lavoratore è più stanco.

Chi parla di fatalità per giustificare questa strage criminale è complice, potremmo dire mandante della prosecuzione e dell’aggravamento del crimine. Vediamo perché.

Siccome si muore soprattutto nel lavoro in appalto e subappalto dove operano piccole aziende, spesso false cooperative dove i lavoratori sono sfruttati e talvolta schiavizzati, gestiti da caporali e dove i controlli scarseggiano, cosa fa il governo delle destre, esecutore dei diktat di Confindustria?

Vara il nuovo codice appalti che spazza via i vincoli sui passaggi da un’impresa all’altra cancellando diritti, primo tra tutti quello alla sicurezza e invece di trasferire sul privato i criteri finora garantiti nel pubblico esporta nel pubblico il far west vigente nel privato.

La mission è una sola: fare in fretta sennò si perdono i fondi europei del Pnrr, tagliando lacci lacciuoli e controlli, e risparmiare puntando al massimo ribasso, naturalmente sulla pelle di chi lavora.

Appalti liberi sotto i 5,3 milioni di euro, l’80% assegnati senza gare. Così, oltre a picconare i diritti di chi “per vivere ha bisogno di lavorare” (per citare Maurizio Landini) si aprono porte e finestre alla corruzione e alla criminalità più o meno organizzata.

L’Autorità nazionale anticorruzione denuncia sprechi e il rischio di infiltrazioni criminali. Si incentivano i subappalti a cascata che per il vicepremier Salvini garantiscono “fiducia e speditezza contro il pericolo immobilismo dei no”.

Già prima del nuovo codice, solo per fare un esempio, il 77% degli infortuni gravi nell’edilizia si verificavano tra il secondo e il terzo livello di subappalto. Il 66% delle non certo numerose ispezioni rivelano irregolarità.

Il lavoratore, preso per la gola, accetta di operare senza che siano garantiti i suoi diritti, a partire dalla sicurezza.
Le ragioni vanno ricercate nella mancata applicazione delle leggi fondamentali, dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori, e dalla creazione di leggi e protocolli fatti senza neppure consultare i sindacati con l’obiettivo di soddisfare le esigenze delle imprese.

Il governo Meloni odia i lavoratori che vorrebbe trasformare in plebe, numeri senza nome e senza rappresentanza politica e sindacale. Li vuole poveri e silenti, costretti ad accettare mance e sussidi una tantum, precari, subalterni.
Un odio sociale, quello delle destre, che sta aumentando le diseguaglianze e affossando diritti conquistati in decenni di lotte.

Cancellato il reddito di cittadinanza, varati nuovi condoni a sostegno dell’evasione fiscale, sotto la spinta dell’aggressività dei ricchi (Briatore, socio di merenda della ministra Santanché che ruba la liquidazione ai suoi dipendenti) pretenderebbe che i figli dei falegnami facessero i falegnami invece di andare all’Università) cerca di costruire mattone su mattone un ritorno al passato, a prima dello Statuto dei lavoratori e della Costituzione.

L’ultima crociata del governo è contro la proposta di legge avanzata – finalmente – da tutta l’opposizione escluso Renzi che non è opposizione ma ruota di scorta di Meloni, per introdurre il salario minimo in un paese in cui è povero anche chi lavora e con un’inflazione che erode il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione.

Oltre alle destre e a Renzi, contro il salario minimo alza la voce anche la Cisl, seconda ruota di scorta del governo.
E dire che la Costituzione, all’articolo 36, pretende che l’impresa, pubblica o privata, garantisca “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la propria famiglia”.

È in questo contesto di impoverimento e precarietà che si determina la crescita abnorme delle “morti bianche”.

Dulcis in fundo, nel decreto lavoro chiamato provocatoriamente “decreto 1° Maggio”, il governo ha deciso di tagliare, quasi dimezzandolo, il budget destinato al risarcimento alle famiglie delle vittime del lavoro: la quota minima scende dai 6 ai 4 mila euro, la massima dai 22 ai 14 mila euro.

Si colpiscono i lavoratori anche dopo la morte, penalizzando i loro cari.