Garattini: “Investire nel privato non giova alla salute pubblica”

Fonte Scienzainrete che ringraziamo

Privatocrazia: oltre il mantra della parità pubblico-privato in sanità è l’eloquente titolo di un convegno organizzato dall’Istituto Mario Negri di Milano lo scorso 6 febbraio, e che ha affrontato con nettezza la contraddittorietà di un sistema sanitario nato pubblico nel 1978 e poi scivolato in una problematico condominio con la sanità privata, che in regioni come la Lombardia ha decisamente preso il sopravvento su una controparte pubblica via via più debole e impoverita. La fondamentale legge 833 del 1978 aveva fatto dell’Italia un avamposto dell’applicazione del costituzionale diritto alla salute nel mondo intero, sancendo l’universalità della copertura del Servizio sanitario nazionale.

In questo momento, il nostro sistema sanitario è ancora effettivamente universale. Tuttavia, alcuni principi stanno venendo meno, come quello per il quale tutti i cittadini devono essere curati nello stesso modo. Non è così, in un’Italia dove non solo permangono, ma si acuiscono, disparità di assistenza tra regione e regione così gravi da portare a una differenza di 13 anni di vita in salute tra chi abita in Alto Adige e chi abita in Calabria.

Accesso negato nel pubblico, le scorciatoie nel privato

Anche la globalità delle prestazioni erogate è ormai messa in discussione: la gamma delle prestazioni in capo al servizio sanitario è molto ampia nel testo di legge ma, nella realtà, i LEA (livelli essenziali di assistenza) che avrebbero dovuto essere il “pavimento” sotto il quale non bisognava scendere, sono ora una chimera irraggiungibile in molte situazioni nazionali: LEA e LEP (livelli essenziali di prestazioni) sono ormai diritti esigibili per prestazioni non disponibili, in termini di presenza regionale, di tempi d’attesa e di qualità non sufficiente. Infine, i ticket sanitari sono differenziati per regione, pur su LEA identici.

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Cosa aspettarsi dalla prima agenzia europea di supervisione dell’Intelligenza Artificiale

Postiamo la traduzione effettuata con translator google di questo articolo pubblicato dalla Fondazione Algorithmwatch. Per un uso professionale o di studio si raccomanda l’utilizzo del testo in lingua originale.
La Spagna ha annunciato la prima agenzia nazionale per la supervisione dell’Intelligenza Artificiale. Nella sua forma attuale, il piano è molto favorevole all’industria e lascia poco spazio alla società civile.

CC-DI NOEL | FEANS

La Spagna vuole essere all’avanguardia nella regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale in Europa. “Non vogliamo essere testimoni ma protagonisti dei grandi cambiamenti digitali”, ha dichiarato in una recente intervista Carme Artigas, segretario di stato del governo spagnolo per la digitalizzazione e figura chiave in queste aspirazioni . Nei prossimi mesi, grazie anche al suo impegno, aprirà la prima agenzia nazionale del continente creata per supervisionare e controllare queste tecnologie con l’acronimo AESIA (che sta per Agencia Española de Supervisión de la Inteligencia Artificial ).

L’AI Act, un prossimo regolamento europeo attualmente in fase di negoziazione, richiederà molto probabilmente agli Stati membri di designare le autorità nazionali per monitorare la conformità. Sebbene la maggior parte dei paesi non abbia ancora spiegato come lo faranno, la Spagna ha già affermato che creerà un’entità indipendente dal governo, incaricata di supervisionare gli algoritmi del settore pubblico e privato.

La capacità di AESIA di porre il veto e sanzionare l’uso di sistemi potenzialmente dannosi sarà strettamente legata alla versione finale dell’IA Act che sarà approvata a Bruxelles. Le risorse disponibili e il funzionamento interno dell’agenzia sono attualmente oggetto di discussione all’interno del governo spagnolo. Ma la documentazione ufficiale e le fonti consultate da AlgorithmWatch per questo articolo permettono di abbozzare quelle che saranno le linee principali dell’agenzia.

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