21 Giugno 2025

Lavori di qualità per una competitività sostenibile

Condividiamo dal sito ETUI la presentazione di questo Rapporto sul lavoro di qualità in Europa. Per scaricare il file pdf del Rapporto vai alla fonte. ——->>>> ETUI

Il tema del Benchmarking Working Europe di quest’anno è “Lavori di qualità per una competitività sostenibile”. Passando in rassegna i recenti sviluppi in settori di interesse strategico per il movimento sindacale e di competenza dell’ETUI, si esamina se l’agenda politica emergente e gli attuali quadri politici dell’UE in cui verrà attuata siano in grado di bilanciare le diverse dimensioni della sostenibilità, evidenziandone al contempo i rischi economici e politici.

Il capitolo introduttivo si concentra sulla politica industriale. Sostiene che la pandemia di Covid-19, la crisi energetica, le tensioni geopolitiche e ora l’escalation delle tensioni commerciali hanno rivelato alcune delle debolezze della strategia industriale europea orientata al mercato. Decenni di laissez-faire industriale hanno intrappolato l’UE in una profonda dipendenza da tecnologie strategiche e materie prime, esponendola al contempo alla volatilità dei prezzi dell’energia. I recenti annunci di ristrutturazione indicano che il rischio di deindustrializzazione è reale. L’UE ha intrapreso significativi cambiamenti politici per rendere la propria politica industriale più interventista e meglio allineata ai suoi obiettivi ambientali e strategici. Il Piano Industriale del Green Deal del febbraio 2023 e i suoi regolamenti gemelli – Net Zero Industry Act e Critical Raw Materials Act – mirano a sostenere l’industria manifatturiera europea e a ridurre la sua dipendenza dai prodotti importati, vitali per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’UE. Tuttavia, questi cambiamenti politici rimangono limitati da una governance multilivello frammentata, radicata nella riluttanza nazionale ad approfondire l’integrazione politica, nonché dalle norme macroeconomiche e dal diritto della concorrenza dell’UE, che impediscono l’emergere di un'”Europa imprenditoriale”. Inoltre, la recente ridefinizione dell’agenda politica dell’UE incentrata su deregolamentazione e semplificazione rende incerto il futuro di questi cambiamenti politici, sebbene il contesto globale dovrebbe incentivare l’UE a intensificare gli sforzi per costruire una vera e propria strategia industriale europea.

Il capitolo 1 esamina gli sviluppi della macroeconomia e delle politiche macroeconomiche in Europa nel 2024 e all’inizio del 2025. Evidenzia la persistente debolezza degli investimenti in Europa e l’eccessiva dipendenza dalla domanda esterna rispetto a quella interna, un andamento sostenuto da una crescita relativamente debole dei salari reali nel corso degli anni. Questi sviluppi sono stati collegati alla lenta crescita della produttività. Esaminando gli sviluppi delle politiche macroeconomiche, il capitolo illustra come gli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale siano cresciuti solo modestamente alla luce delle sfide che l’UE deve affrontare con le nuove regole di bilancio. Esamina inoltre il dibattito in corso sull’entità e la natura del bilancio a lungo termine dell’UE post-2027 e sollecita cautela riguardo alle proposte di riforma che andrebbero a scapito dei finanziamenti della politica di coesione. Sostiene che un’agenda per la competitività incentrata sull’innovazione tecnologica in alcuni settori dovrebbe essere accompagnata da condizioni che favoriscano un’ampia diffusione degli incrementi di produttività tra lavoratori e regioni, per evitare che il malcontento pubblico si traduca in modelli di voto sempre più anti-sistema.

Il capitolo 2 sostiene che, affinché la competitività sia sostenibile, deve essere anche socialmente sostenibile. Inizia con il monitoraggio dei principali sviluppi e tendenze nei principali indicatori del mercato del lavoro, che vanno dai tassi di occupazione e disoccupazione e dai trasferimenti di lavoro settoriali ai modelli di occupazione atipica o disoccupazione di lunga durata. L’aumento dell’occupazione e il calo dei tassi di disoccupazione in generale sono buoni segnali per la ripresa post-pandemica dei mercati del lavoro nell’UE, ma persistono divari di genere nell’occupazione, così come quote preoccupanti di disoccupazione di lunga durata o giovanile in alcuni Stati membri, che rappresentano sia un problema di equità sociale che di inefficienza economica, ostacolando la competitività sostenibile. Il capitolo descrive lo sviluppo delle competenze e i modelli di occupazione in settori specifici, come i settori dell’alta tecnologia, ad alta intensità di conoscenza o dell’economia circolare, in considerazione della loro rilevanza per il potenziale di innovazione e la crescita sostenibile, anche a livello regionale, evidenziando forti disparità in tutta l’UE. Conclude che, nonostante la potenziale tensione tra competitività e sostenibilità sociale, è possibile creare una sinergia tra i due. Alcuni Stati membri sono riusciti a raggiungere elevati livelli di occupazione ad alta intensità di conoscenza o di capacità produttiva, ottenendo al contempo punteggi relativamente buoni in alcuni degli indicatori chiave della qualità del lavoro. Tuttavia, questa complementarietà non è da dare per scontata e persistono disparità all’interno e tra i paesi, che richiedono risposte mirate per le quali il Pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS) dovrebbe fungere da bussola sociale.

Il capitolo 3 illustra che, nonostante la volatilità delle condizioni politiche ed economiche, l’andamento negativo dei salari reali osservato nei tre anni precedenti si è invertito nel 2024, consentendo ai lavoratori dell’UE di recuperare parte del potere d’acquisto di cui disponevano. Nel complesso, tuttavia, i salari reali nel 2024 erano ancora al di sotto dei livelli pre-pandemici. I sostanziali aumenti del salario minimo hanno contribuito non solo ad attenuare le perdite salariali reali per i dipendenti nella fascia più bassa della scala salariale, ma anche a ridurre la disuguaglianza di reddito complessiva. Un fattore importante che ha contribuito ai sostanziali aumenti del salario minimo è stata la Direttiva UE del 2022 sui salari minimi adeguati. In particolare, i valori di riferimento stabiliti in tale Direttiva hanno guidato l’adeguamento dei salari minimi in vari modi, contribuendo ad aumenti strutturali del salario minimo che sono andati oltre gli adeguamenti ordinari. L’impatto positivo della Direttiva sul salario minimo si è potuto osservare anche nel campo della contrattazione collettiva, stimolando riforme concrete o discussioni su misure volte ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva. Questo importante ruolo di supporto della Direttiva nella promozione della coesione sociale e nella lotta alla povertà lavorativa – due dei pilastri centrali dell’UE come economia sociale di mercato – è ora minacciato a causa della causa sopra menzionata pendente dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE. Ciò avrebbe implicazioni di vasta portata per la legittimità dell’UE e per l’ulteriore sviluppo dell'”Europa sociale”. Ciononostante, poco più di due anni fa, 24 governi hanno votato a favore della Direttiva, assumendo così l’impegno politico di adoperarsi per salari minimi adeguati e una contrattazione collettiva efficace. Indipendentemente dalla decisione della CGUE, hanno la possibilità di recepire le disposizioni più importanti della Direttiva nella legislazione nazionale, come hanno già fatto molti Stati membri dell’UE.

Il capitolo 4 si concentra sulla prevenzione e l’eliminazione dei rischi psicosociali legati al lavoro (PSR), non solo come mezzo per proteggere i lavoratori, ma anche come base strategica per rafforzare la resilienza economica dell’UE. Ciò è in linea con la visione politica della Commissione europea per il periodo 2024-2029, che sottolinea come una competitività sostenibile non possa essere raggiunta senza dare priorità al benessere dei lavoratori. Utilizzando i dati delle indagini, il capitolo identifica i principali PSR – come carichi di lavoro elevati, precarietà lavorativa, lunghe ore lavorative e cattive relazioni sul posto di lavoro – e rivela come siano distribuiti in modo diseguale tra paesi, settori e gruppi; colpiscono in particolare le donne, i lavoratori più anziani e coloro che svolgono lavori precari o poco qualificati. Inoltre, il capitolo esamina criticamente come la digitalizzazione, sebbene spesso inquadrata come un percorso verso l’efficienza, possa peggiorare i PSR attraverso una maggiore sorveglianza, la perdita di autonomia e la connettività costante, in particolare per i lavoratori della gig economy e delle piattaforme. Il capitolo sottolinea l’enorme impatto economico delle PSR – che ogni anno costano all’UE miliardi di dollari in malattie legate allo stress come depressione e malattie cardiovascolari – chiarendo che misure proattive non rappresentano solo una questione sociale, ma anche un imperativo economico. Come roadmap per la nuova Commissione europea, il capitolo chiede l’adozione di una direttiva europea dedicata alle PSR e sollecita la collaborazione tra governi, datori di lavoro, sindacati e servizi sanitari al fine di elaborare e attuare strategie preventive. Tra le azioni chiave figurano valutazioni obbligatorie del rischio psicosociale e limiti alle pratiche digitali di sfruttamento.

Il capitolo 5 riflette sulle preoccupazioni che le politiche di decarbonizzazione possano mettere a repentaglio i posti di lavoro industriali e consolidare ulteriormente la deindustrializzazione. Dimostra che non è necessariamente così, sebbene le dinamiche di crescita dell’occupazione nei settori chiave dell’energia pulita siano ancora deboli e, in termini qualitativi, i nuovi posti di lavoro verdi siano spesso precari. Per quanto riguarda l’impiego di capacità di energia pulita, l’UE è in ritardo rispetto ai propri obiettivi REPowerEU 2030 a causa della mancanza di investimenti e dell’integrazione verticale delle sue catene del valore manifatturiere. Sono state individuate gravi vulnerabilità anche nel settore automobilistico, ora sottoposto a una crescente pressione competitiva, in particolare nella produzione di veicoli elettrici e batterie. Il capitolo esamina anche il prezzo dell’elettricità sia per l’industria che per le famiglie, evidenziando una serie di compromessi tra competitività industriale e giustizia sociale. La preoccupazione principale sollevata dal capitolo è che, sebbene i responsabili politici dell’UE riconoscano l’enorme divario tra il fabbisogno di investimenti definito dagli obiettivi della politica climatica dell’UE, non vi sono grandi speranze che venga concesso un maggiore margine di manovra fiscale nel tentativo di colmarlo. In tali circostanze, una maggiore attenzione alla competitività e alla politica industriale potrebbe tradursi in un programma di flessibilizzazione e deregolamentazione del mercato del lavoro. Ciò non solo comprometterebbe la prospettiva di rafforzare la dimensione sociale del Green Deal europeo, ma aggraverebbe ulteriormente le disuguaglianze esistenti e comprometterebbe gli standard del lavoro. Il capitolo sottolinea l’importanza di istituire una direttiva quadro per una transizione giusta che imponga agli Stati membri e ai datori di lavoro l’obbligo di pianificare proattivamente una transizione giusta e di anticipare e gestire il cambiamento. Un altro passo fondamentale è la revisione delle Linee guida 2022 in materia di aiuti di Stato per il clima, la protezione ambientale e l’energia (CEEAG) e delle norme in materia di appalti pubblici, al fine di garantire che includano condizionalità sociali, lavorative e ambientali.

Il capitolo 6 analizza i recenti sviluppi nel dialogo sociale, nella rendicontazione sulla sostenibilità aziendale, nella rappresentanza dei dipendenti nei consigli di amministrazione e nel coinvolgimento dei sindacati nel contesto dell’agenda di politica industriale e competitiva dell’UE. Evidenzia sfide significative per il dialogo sociale, osservando che le aspettative formulate durante la prima Commissione europea von der Leyen sono state deluse, poiché né le discussioni tripartite né quelle autonome hanno prodotto risultati fruttuosi. Un’analisi dal 1995 a dicembre 2024 mostra un calo degli impegni reciproci e come i datori di lavoro preferiscano sempre più dichiarazioni non vincolanti rispetto ad accordi vincolanti. In termini di rendicontazione sulla sostenibilità, un’analisi testuale dei recepimenti nazionali della Direttiva sulla rendicontazione sulla sostenibilità aziendale (CSRD) mostra una mancanza di chiarezza su come l’informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori debbano essere implementate a livello aziendale. Le modifiche alla CSRD proposte dalla Commissione europea nel febbraio 2025, in linea con i tentativi di semplificazione normativa, potrebbero indebolire ulteriormente i diritti di partecipazione dei lavoratori in questa e in altre direttive di diritto societario. Una panoramica sulla rappresentanza dei dipendenti a livello di consiglio di amministrazione è altresì preoccupante, poiché la recente giurisprudenza della CGUE ha messo in dubbio l’efficacia delle tutele e delle garanzie previste dalla Direttiva sulle società europee (SE) sui diritti di partecipazione nazionali preesistenti, mentre gli sforzi a livello nazionale per sostenere la partecipazione dei lavoratori alle agende pubbliche o alle politiche sociali incontrano numerosi ostacoli. Il capitolo sostiene che un quadro più solido e ben articolato per la democrazia sul lavoro potrebbe migliorare la qualità del lavoro e promuovere una società più equa.

La ricerca è una base fondamentale per costruire un’azione sindacale efficace. Il rapporto “Benchmarking Working Europe” svolge un ruolo fondamentale nel rafforzare il dialogo sociale europeo, fornendo fatti, dati e analisi su cui sindacati, datori di lavoro e responsabili politici possono confrontarsi in modo costruttivo. Ci aiuta a comprendere le esperienze vissute dai lavoratori, in particolare quelli in posizioni vulnerabili e precarie, e a orientare le negoziazioni che producono miglioramenti concreti delle condizioni di lavoro.

Dà voce anche a chi troppo spesso rimane inascoltato e ci permette di mettere in discussione le narrazioni che ignorano i costi sociali della deregolamentazione, dell’austerità e dello sfruttamento. Soprattutto, ci fornisce i dati e le conoscenze necessarie per negoziare e sostenere efficacemente le istanze, sia sul posto di lavoro, sia a livello nazionale o europeo. Ogni anno, il rapporto di benchmarking dell’ETUI mette la conoscenza al servizio della giustizia, della solidarietà e della democrazia nel mondo del lavoro. 

Vorremmo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’edizione di quest’anno.

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