I dati Inail su infortuni e malattie professionali. Qualche irriverente riflessione

Fonte : Il Manifesto in rete che ringraziamo

come ringraziamo l’Autore:  Maurizio Mazzetti

E’ noto che la quasi totalità dei dati su infortuni e malattie professionali in Italia è di fonte INAIL, cioè dell’ente pubblico che gestisce la relativa assicurazione obbligatoria. La banca dati statistica INAIL (QUI) è invero estremamente ricca, sia di elaborazioni, sia dei dati elementari, i cosiddetti open data (magari pronunciati all’inglese da chi vuol darsi un tono, dimenticando o ignorando che il vocabolo data – dati – è, letteralmente, latino).

Ogni anno, peraltro, più o meno poco prima della giornata nazionale dedicata alle vittime del lavoro, giornata che cade nella seconda domenica di ottobre, l’INAIL stesso presenta una relazione annuale sui dati definitivi dell’anno precedente, in pompa più o meno magna (ma almeno il Ministro del Lavoro, o comunque chiamato il Ministero, è presente, talvolta hanno assistito anche altre autorità). Ed è quel che è avvenuto anche quest’anno lo scorso 04 ottobre; per chi fosse interessato alla Relazione integrale, con relative tabelle, interviste ecc. rinvio alla pagina (QUI)

Riporto invece qui una sintesi dei contenuti, presa di peso dalla pagina sopraindicata, relativamente ai meri dati numerici; farò poi qualche commento.

“….  Nel 2022 sono stati denunciati all’Inail 703.432 infortuni sul lavoro, circa 139mila in più rispetto agli oltre 564mila del 2021 (+24,6%). L’aumento è dovuto sia ai contagi professionali da Covid-19, passati dai 49mila del 2021 ai 120mila del 2022, sia agli infortuni “tradizionali”, che hanno fatto registrare un incremento di oltre il 13%. Gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono stati 429.004, in aumento del 18,2% rispetto ai 363.074 dell’anno precedente. Circa il 15% è avvenuto “fuori dell’azienda”, cioè “in occasione di lavoro con mezzo di trasporto” o “in itinere”, nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro.

Casi mortali in calo, il 60% è avvenuto “fuori dell’azienda”. Le denunce di infortunio con esito mortale sono state 1.208, con un decremento del 15,2% rispetto alle 1.425 del 2021. Questa contrazione è legata interamente ai decessi causati dal contagio da Covid-19, passati dagli oltre 230 casi del 2021 agli otto del 2022. Gli infortuni mortali accertati sul lavoro sono stati 606, in calo del 21,7% rispetto ai 774 dell’anno precedente. Quelli avvenuti “fuori dell’azienda” sono 365, pari a circa il 60% del totale (45 casi sono ancora in istruttoria). Gli incidenti plurimi, che hanno, cioè, causato la morte di più lavoratori, nel 2022 sono stati 19 per un totale di 46 decessi, 44 dei quali stradali.

Le patologie professionali denunciate in crescita del 9,9% rispetto al 2021. I dati del 2022 indicano anche un aumento delle denunce di malattia professionale in confronto al 2021 e soprattutto rispetto al 2020, anno in cui il fenomeno risultava ridotto a causa della pandemia. Le patologie lavoro-correlate denunciate all’Istituto sono state quasi 61mila, in crescita del 9,9% rispetto alle oltre 55mila del 2021 e in calo dello 0,9% rispetto alle oltre 61mila del 2019. Al momento è stata riconosciuta la causa professionale a circa 22mila casi, mentre il 9% è ancora in istruttoria. Le denunce riguardano le malattie e non i lavoratori ammalati, che sono circa 42mila, di cui 16.500 con causa professionale riconosciuta.

L’invecchiamento della popolazione attiva tra i fattori che aumentano l’esposizione al rischio”. Rivolgendosi al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Elvira Calderone, e alle altre autorità presenti, D’Ascenzo ha sottolineato che “tra i fattori che stanno incidendo sull’andamento di infortuni e malattie professionali c’è l’invecchiamento della popolazione attiva”. L’allungamento della vita lavorativa “costituisce ormai un fenomeno che investe tutti i settori lavorativi e che ha aumentato l’esposizione al rischio nelle età più avanzate, a causa di uno spostamento in avanti dell’età pensionabile e di un mancato ricambio generazionale. L’incidenza degli infortuni degli over 50, infatti, è in aumento ed è pari al 36,4% degli infortuni in complesso e al 50,5% dei casi mortali”. Come evidenziato dal commissario straordinario, la sanità e assistenza sociale è il settore di attività più colpito, a causa dei numerosi contagi da Covid del 2022. Al netto delle infezioni, però, il primo posto spetta alle costruzioni, in cui si registra anche il numero più alto di casi mortali, seguito dai trasporti e dal commercio.”

Premesso che nella relazione integrale si trovano informazioni di sicuro interesse relativamente a sesso, età, nazionalità, distribuzione territoriale, cui rinvio per ovvia mancanza di spazio, e tenuto conto che si tratta di dati raccolti ed elaborati, anche bene ed approfonditamente, secondo logiche assicurative e non di prevenzione, alcune osservazioni e commenti.

  1. L’incidenza del COVID anche nel 2022 (sorprendente persino, visto che i numeri del 2022 sono maggiori di quelli del 2021 – effetto dell’allentamento del lock down?) rende problematico qualsiasi confronto temporale con gli anni precedenti; di solito si prende in esame un triennio, ma una situazione sufficientemente normalizzata si registra solo in questo 2023, quindi ci vorrà tempo per ricostruire serie storiche significative.
  2. Ad ottobre 2023 si presentano dati vecchi, i più recenti, di 9 mesi, i più vecchi di 21; periodi durante i quali può cambiare il mondo. Ora, è vero che un certo ritardo è fisiologico, perché l’istruttoria dei casi denunciati prende tempo, ci sono opposizioni e ricorsi, e altre problematiche tecniche nel passaggio tra i meri dati gestionali e quelli statistici (verificati e “puliti”); ma nove mesi per i dati più recenti sono davvero tanti, e il ritardo è solo parzialmente compensato dai dati grezzi trimestrali che comunque l’INAIL diffonde, per quanto con minima elaborazione. Qualche anonima fonte interna all’INAIL in passato azzardava che la Relazione, quantomeno sui soli dati di infortuni e malattie professionali, potrebbe essere pronta a giugno; ma contiene anche altri dati, ad esempio sui bilanci, o sui bandi di investimento per la prevenzione, che ne ritardano la pubblicazione.
  3. I numeri secchi di infortuni e malattie professionali mostrano una sostanziale stabilità, tenuto conto della ripresa produttiva post COVID e osservando i dati precedenti.   Nel 2022 si registra un aumento delle denunce (più 13% per gli infortuni, con addirittura un più 18% nei riconoscimenti, cioè di indennizzi come appunto infortuni sul lavoro e non malattie comuni); ma continua a mancare qualsiasi dato sulla platea degli esposti – indice di frequenza – cioè, sul numero di lavoratrici/lavoratori occupate/i o, meglio ancora, sulle ore lavorate. Crescono le denunce di malattia professionale (si osservi la più bassa percentuale di riconoscimento rispetto agli infortuni), ma qui il rapporto con le ore lavorate è più labile quanto spesso non misurabile, perché le malattie professionali sorgono normalmente da un’esposizione agli agenti patogeni protratta nel tempo e variabile in funzione sia dell’intensità e durata dell’esposizione, sia di una maggiore o minore vulnerabilità individuale.
  4. E’ intuitivo che non tutti gli eventi sono uguali quanto alla gravità: ci sono infortuni che comportano quattro giorni di astensione dal lavoro, senza altre conseguenze permanenti, e quelli mortali, con tutte le possibili gradazioni intermedie; lo stesso dicasi per le malattie professionali, per le quali anzi un percentuale è riconosciuta pur restando sotto il minimo indennizzabile. Per normalizzare il tutto, calcolando il cosiddetto indice di gravità, si utilizzano metodi convenzionali che utilizzano come unità di misura base le giornate lavorative perdute (effettive per gli infortuni, convenzionali per i danni permanenti e le morti, cui si attribuiscono un certo numero di giornate proporzionali all’entità del danno). Dette giornate perdute totali vanno confrontate con quelle lavorate ed ecco l’indice di gravitàche però è ugualmente assente

NB: L’assenza di tali indici è il maggior limite del SINP (Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione, art. 8 del TU 81/2008) di cui la banca dati INAIL è elemento principale quando non unico. Ad esso se ne aggiunge un altro: sul sito INAIL non è disponibile alcun dato su quante e quali aziende (in che settore, di che dimensioni ecc., non contano i nomi) ogni anno denunciano almeno un infortunio o una malattia professionale. È pur vero che tali dati, anche nominativi, arrivano agli organi di vigilanza attraverso la procedura Flussi informativi; ma una rilevazione pubblica, appropriatamente anonimizzata, inquadrerebbe certo meglio le reali dimensioni del fenomeno; tanto più che anni fa, ufficiosamente, emerse che si trattava di una percentuale sorprendentemente bassa sul totale delle aziende assicurate all’INAIL. Poi un SINP efficace presupporrebbe da un lato che a valle si quantifichino i costi degli infortuni, aziendali e sociali, e qui qualcosa c’è (ci si tornerà in un prossimo articolo). Dall’altro, a monte, non c’è alcuna dei costi, che in realtà più correttamente vanno considerati investimenti, che aziende ed organizzazioni effettuano per prevenzione e sicurezza; e magari alla fine si potrebbe anche verificare la loro efficacia, come quella delle politiche sull’argomento (se ce ne sono …).

Oggi quindi purtroppo ogni analisi del fenomeno infortunistico e tecnopatico è irrimediabilmente monca, e lascia spazio alle più diverse, e interessate quando non errate, valutazioni del fenomeno; sicché assistiamo, ma solo  quando evento mortale balza agli onori della cronaca, ad un sempre meno sopportabile chiacchiericcio mediatico, o a solenni dichiarazioni: e nessuno che magari spieghi come, aspetto morale a parte (ogni infortunio è evitabile, quindi inaccettabile) ad esempio un aumento del numero di infortuni, per assurdo, potrebbe persino indicare un miglioramento se inferiore all’aumento dell’occupazione. Perché c’è bisogno di realismo e concretezza, non di proclami.

Tornando agli indici di frequenza e gravità, si chiederà magari qualche lettrice o lettore (ma è una domanda che gli addetti ai lavori fanno con una certa frequenza), per quali ragioni essi non sono presenti?  I dati sull’occupazione esistono, l’ISTAT li raccoglie e diffonde …. esistono difficoltà tecniche, o chiamiamole “prudenze”, politiche? Sono politicamente diciamo scorretti, o gestionalmente/mediaticamente dirompenti?

In realtà, esplorando la banca dati INAIL, detti indici, non proprio in evidenza, ma si trovano, con relativa chiara ed esauriente spiegazione del loro calcolo; peccato però che compaiano solo quelli relativi …. al triennio 2008-2010! Il sito precisa che la pagina è “ in corso di reingegnerizzazione ed aggiornamento” (QUI)

Come mai?

L’INAIL in quanto tale in effetti non possiede informazioni né sugli occupati, né sulle ore lavorate; non sono neppure utilizzabili, per come strutturate, le statistiche ISTAT. Il soggetto in possesso di tali dati, o almeno della gran parte di essi, è l’INPS: ma per motivi non conosciuti né, mi risulta, neppure mai esplicitati (Tecnici? “Politici”? Ambedue? Altri meno nobili?) non sono mai stati resi disponibili quanto necessario. Gli indici di gravità e frequenza presenti sul sito INAIL ricavavano infatti le ore lavorate attraverso stime condotte con metodiche complesse. Il sistema, per ammissione stessa dei tecnici, certo era lacunoso, ma il calcolo ripetuto nel tempo neutralizzava in parte gli errori e sistematici e dava comunque indicazioni sulle tendenze. Dal 2010, riferiscono fonti interne all’INAIL, l’INAIL stessa decise di abbandonare il calcolo per stime, ritenendolo troppo approssimativo, ma alla stima non fu possibile sostituire il dato reale. Quindi, dal 2010 non abbiamo alcun indice di frequenza o gravità calcolato, o almeno ufficialmente pubblicizzato. Pare comunque che l’INAIL stia (finalmente?) preparando un ritorno al calcolo per stime; non ci resta quindi che attendere. E allora esercitarsi a qualche analisi più completa.