La violenza nei confronti dei lavoratori: il settore sanitario (1°)

Newsletter Medico Legale Inca Cgil Numero 12/2018

La violenza nei confronti dei lavoratori: il settore sanitario (1°)

 

In tutto il mondo sono in aumento i casi di violenza verso gli operatori sanitari. In letteratura sono presenti studi concernenti soprattutto gli infermieri, ma di recente l’attenzione si è rivolta anche ai medici. I dati italiani, pur non ufficiali, sembrano in linea con quelli degli altri Paesi, segnalando un’incidenza maggiore in alcuni reparti, in particolare in quelli di emergenza/urgenza e in quelli psichiatrici.

A fronte di questo aumento diversi Ordine dei medici hanno  effettuato corsi specifici finalizzati alla migliore gestione delle situazioni critiche ed è stato anche creato uno specifico sito web.

E’ stata proposta una classificazione della violenza sul luogo di lavoro in quattro tipi secondo la relazione fra l’autore della violenza ed il luogo di lavoro.

tipo descrizione esempio
1 Chi perpetra la violenza non ha legami con il luogo di lavoro o con i lavoratori Persona con intenti criminali che esegue una rapina a mano armata
2 Chi perpetra la violenza è un paziente o un visitatore o un fornitore U paziente che prende a pugni un infermiere
3 Chi perpetra la violenza è un lavoratore o ex-lavoratore di quella struttura Un dipendente licenziato di recente che assale il suo capo
4 Chi perpetra la violenza ha una relazione personale con il lavoratore ma nessun legame con il luogo di lavoro Un ex-marito che assale la ex-moglie  sul luogo di lavoro

 

Anche se normalmente si distingue  tra violenza esterna e violenza interna tra lavoratori[1].

In questa newsletter ci occuperemo della violenza esterna cioè quella tipologia definita al punto 2 della classificazione sovra riportata.

Secondo la quarta indagine EWCS (European Working Conditions Survey) dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions  il 16% dei lavoratori europei riferisce di aver subito minacce e il 15% di essere stato effettivamente oggetto di violenza nell’ultimo anno.

Il progetto europeo NEXT, condotto in 10 Paesi raccogliendo informazioni tramite un questionario proposto a oltre 38.000 infermieri, indica che gli episodi di violenza sono piu frequenti in Francia (39%), nel Regno Unito (29%) e in Germania, più rari in Norvegia (9%) e nei Paesi Bassi (10%). L’incidenza della violenza fisica e variabile dal 20,8% all’82% ed e spesso messa in atto dai pazienti.

I dati riportati da altri studi variano ampiamente con una frequenza di aggressioni verbali e fisiche a infermieri nel corso dell’ultimo anno del 52% nei reparti di emergenza-urgenza dell’Irlanda e  del 51% nell’assistenza a malati geriatrici o disabili in Svezia Negli ospedali del Regno Unito le aggressioni verbali da parte di pazienti e parenti si verificherebbero nel 68% dei casi e quelle fisiche nel 27%. Da una ricerca spagnola emerge infine che gli eventi di violenza avvengono più frequentemente nei servizi di emergenza e nelle strutture psichiatriche dove, nel solo 2009, le aggressioni fisiche hanno raggiunto rispettivamente il 48% e il 27% degli operatori; gli insulti e le minacce sono risultati invece ubiquitari e hanno coinvolto rispettivamente l’82% e il 64% degli operatori.

La maggior parte dei dati disponibili riguarda la professione infermieristica, ma sono state presentate recentemente alcune indagini che si riferiscono specificamente  ai medici.

Uno studio condotto in due centri di ricovero di Padova, un ospedale universitario e un ospedale pubblico, coinvolgendo 94 unita di varia tipologia, dalla chirurgia alla lungodegenza, dalle unita di terapia intensiva agli ambulatori ha raccolto tramite un questionario anonimo a un campione di 700 infermieri informazioni sugli episodi di violenza. Il 49% degli infermieri ha dichiarato di averne fatto esperienza nell’ultimo anno; in 6 casi su 10 gli episodi si sono ripetuti due o più volte. Nell’82% dei casi si e trattato di violenza soltanto verbale, nel 4,8% di violenza fisica e nel 16,6% di entrambe. Nei dati sugli eventi sentinella del Ministero della Salute (segnalazioni pervenute tra settembre 2005 e dicembre 2012) gli “atti di violenza a danno di operatore” sono al quarto posto (8,6% del totale) tra quelli segnalati al sistema SIMES (Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanita). Il numero assoluto (165) suggerisce la presenza di una cospicua sottonotifica.

Nello studio “La sicurezza e la tutela sul lavoro delle donne che operano nel campo dell’assistenza sanitaria” realizzato per l’Associazione Nazionale fra lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) emerge che dei circa 4.000 infortuni indennizzati complessivamente dall’INAIL nel 2013 tra gli operatori sanitari circa 1.200 sono stati causati da “aggressione o violenza da parte di estranei”, 851 dei quali (il 71%) hanno riguardato donne.

I dati delle indagini Nursind (rilevazioni effettuate nel 2013 e 2017 tramite un sondaggio cui hanno aderito spontaneamente oltre 1.770 operatori nella prima indagine e oltre 5.000 nella seconda per circa il 90% infermieri, metodologia che può risentire di bias di selezione mostrano un aumento delle aggressioni riferite che sono passate in termini assoluti da 2.532 a 6.053 e un incremento relativo del 30% circa negli ultimi 2anni. Nell’ultima rilevazione, l’aggressione e verbale (48,1%), verbale e fisica (45,5%) o fisica (6,4%) ed e messa in atto da un paziente (40,1%), un parente (34,3%), entrambi (17%) o un utente casuale (8,6%).

Circa il profilo degli autori prevalgono gli italiani in poco meno della meta dei casi (48,8%), mentre gli “stranieri” sono responsabili del 16,4% delle aggressioni. Le aggressioni da parte di “ubriachi” sono l’8,9%, da parte di pazienti affetti da disturbi psichici il 21,6% e da parte di “zingari” il 4,3%.

I dati Nursind evidenziano che il personale di sesso femminile e più spesso vittima della violenza, con una percentuale in linea con il rapporto maschi/femmine nelle professioni sanitarie (66% femmine, 34% maschi).

Una ricerca italiana condotta tramite questionari somministrati a circa 670 operatori sanitari in servizio presso una struttura sanitaria del centro Italia composta da un ospedale e alcuni ambulatori riporta una frequenza di violenza fisica del 9,2% e di violenza psicologica del 19,6%

In un’indagine condotta da ANAOO/Assomed nel 2018  su 1.280 medici, il 65% dei partecipanti ha dichiarato di essere stato vittima di aggressioni; di questi il 66,2% riferisce aggressioni verbali mentre il 33,8% aggressioni fisiche, con dati ancora più alti nel Sud e nelle Isole. I medici più a rischio sono quelli che lavorano in Pronto Soccorso e 118 con violenze subite dall’80,2% dei rispondenti. Rispetto alle aggressioni fisiche, particolarmente colpiti sono i medici dei reparti di psichiatria/SERT (il 34,1% di tutte le aggressioni fisiche) e i medici di Pronto soccorso/118 (il 20,3% di tutte le aggressioni fisiche).

Oltre il 50% dei rispondenti ignora che le aggressioni dovrebbero essere identificate come evento sentinella dalla propria Direzione aziendale, come previsto dalla raccomandazione n. 8 del 2007 del Ministero della Salute, mentre il 18% asserisce che addirittura non vengono riconosciute.

Le cause delle aggressioni per i medici coinvolti nell’indagine sono da riferire a fattori socio-culturali per il 37,2%, al definanziamento del SSN per il 23,4%, a carenze organizzative per il 20%, a carenze di comunicazione per l’8,5%.

Un’altra indagine medica focalizzata sui reparti di emergenza/urgenza, curata dalla SIMEU (Societa Italiana Medicina d’Emergenza-Urgenza) nel 63% dei Pronto soccorso italiani si e verificato almeno un episodio di violenza fisica nel bimestre oggetto della rilevazione, nella meta dei casi nelle strutture in cui il sovraffollamento di pazienti era maggiore

In un recentissimo convegno presso la Camera dei deputati sono stati presentati i risultati di uno studio condotto fra i lavoratori del Policlinico romano.

Gli autori dello studio rilevano che: il 96% degli operatori ha assistito ad almeno un episodio di violenza e l’87% ne ha subito almeno uno.

Nel 33% dei casi le aggressioni arrivano dai parenti, il 17% dai pazienti e il 28% da parenti e paziente insieme.

Le problematiche dell’aggressore sono nel maggior parte dei casi multiple (Disturbi psicologici e abuso di droghe, eccessiva attesa, aspettative frustrate dei pazienti.

Nel 58% dei casi la violenza è scatenata da più fattori organizzativi, tipo aspettative deluse dei pazienti e/o parenti nei confronti dell’organizzazione, carenza di personale disponibile, difficoltà di comunicazione e/o collaborazione tra operatori e pazienti.

Nel 68% dei casi esse derivano poi da molteplici fattori ambientali come la non corrispondenza della qualità organizzativa e strutturale degli ambienti alle aspettative dei pazienti e/o parenti, Tempi di attesa, Mancanza di informazioni sulle modalità di fornitura delle prestazioni in emergenza, Accesso senza restrizione di visitatori e Affollamento del reparto.

L ricerca ha indagato anche sulla percezione che hanno gli operatori sulle violenze prima che si verifichino. Il 50% degli operatori è riuscito a riconoscere i primi segnali di violenza e il 43% è riuscito a fermarla. Il 9% non è riuscito a vedere i segnali e l’8% non è riuscito a bloccarla
Anche i dati di questa indagine confermano la sottostima, infatti il 56% non segnala e l’89% non denuncia le aggressioni

Abbiamo, infine, i dati dell’indagine condotta con questionario fra i lavoratori della sanità del Piemonte nell’ambito di un Progetto congiunto  INCA-FP Piemonte (rilevazioni effettuate nel 2017-2018). Sono stati raccolti 1731 questionari e l’analisi dei dati ha rilevato che

443(25,5%)  lavoratori sono stati oggetto di violenza fisica e/o verbale

626 (36%) lavoratori hanno assistito a episodi di violenza a carico di loro compagni di lavoro.

 

I numeri riportati dai diversi studi risentono sicuramente di una sottostima, di dimensioni verosimilmente rilevanti.

La mancata denuncia dell’episodio di violenza riguarda sia i medici (mancata notifica nel 75% dei casi) sia gli infermieri (mancata notifica nel 70%) e può arrivare secondo alcuni studi anche all’80% dei casi. Nel 55% dei casi la vittima non chiede aiuto nel momento in cui si compie l’aggressione.

Il fenomeno rimane sommerso per diversi motivi: spesso mancano attività di censimento mirate, non sono definite procedure standardizzate per la gestione dell’evento e le vittime hanno una scarsa propensione a denunciare ovvero temono conseguenze professionali negative stigmatizzanti, per esempio essere considerate incapaci di adattarsi alle situazioni o di stabilire buone relazioni e un rapporto empatico con il paziente

 

 

Tutta la documentazione citata può essere richiesta alla Consulenza Medico-Legale Nazionale via e-mail all’indirizzom.bottazzi@inca.it

 

 

 

[1] Con il termine di violenza interna viene indicata la violenza tra colleghi. La frequenza riportata da alcuni studi è allarmante: intorno al 30% per gli episodi di infermieri nei con fronti di infermieri, al 40% per quelli di medici nei confronti di infermieri,con punte che arrivano al 70% secondo altri studi .Per quanto riguarda il bullismo, i dati del progetto europeo NEXT riportano una frequenza media in Europa del 3,6%, con il massimo in Polonia (8,9%) e il minimo in Finlandia (1,6%) e Norvegia (1%). In

Italia la frequenza registrata è del 3,7%. Questa particolare forma di violenza si caratterizza per essere nascosta, reiterata e persistente e per il fatto di toccare elementi personali e professionali della vittima, compresi giudizi sulle competenze. E’ esercitata in genere in forma di insulti, scortesia, pettegolezzi o calunnie. L’esposizione degli operatori sanitari a questa forma di bullismo produce scarso impegno professionale. Si manifesta come burnout , stanchezza emotiva e depersonalizzazione.

Secondo una revisione italiana la violenza orizzontale tra operatori ha una prevalenza dell’1,3-65%. Tra le diverse modalità, oltre a quelle più tradizionali che vanno dalle molestie – le meno frequenti in assoluto (4,5%) – all’abuso emozionale – il più frequente (62,4%) – ha rilevanza il carico di lavoro eccessivo (71%).

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