Fonte : Puntosicuro.it che ringraziamo
Negli ultimi decenni del XX secolo, la “medicina di genere” ha sviluppato la crescente consapevolezza rispetto al fatto che la fisiologia della stessa malattia è significativamente differente per uomini e donne, tuttavia queste differenze non hanno sempre ricevuto la stessa attenzione nel campo della salute e della sicurezza, rispetto a materie come l’anatomia, la biochimica, la tossicologia. Solo recentemente si è riusciti a stabilire che le differenze biologiche possono portare a differenti vulnerabilità nelle donne e negli uomini, quando vengono esposti a sostanze pericolose o ad agenti biologici. Un semplice ma esplicativo esempio è il calcolo del valore TLV (Threshold Limit Value), ovvero il valore di concentrazione ambientale di sostanze chimiche aerodisperse, che viene tradizionalmente calibrato basandosi su parametri riferiti al lavoratore di sesso maschile. Questa pratica, dovuta anche agli stereotipi di genere, è eredità della tendenza del passato a categorizzare uomini e donne per mansioni differenti; mestieri come l’operaio in fabbrica, erano visti come “lavori mascolini”, mentre i lavori caratterizzati da una maggior sedentarietà venivano indentificati come “lavori femminili”.
Ad oggi sappiamo che le differenze biologiche tra i due sessi possono giocare un ruolo quantitativamente diverso sul rischio associabile all’esposizione a sostanze chimiche; elementi che sono apparsi irrilevanti, pur non essendolo affatto, possono essere l’antropometria del fisico, la genetica molecolare, la biochimica e gli ormoni, la massa muscolare, il tessuto adiposo ed anche l’ossatura.
La costituzione anatomica stessa comporta che i rischi e le conseguenze per la salute siano differenti in base al genere con differenze sull’incidenza di alcuni danni al fisico, ad esempio nelle donne vengono riscontrati maggiormente disturbi degli arti superiori e questo accade sia a causa dell’elevata presenza di lavoratrici femminili all’interno di catene di montaggio e uffici, sia all’inadeguatezza dei dispositivi forniti che vengono generalmente progettati sulla base delle caratteristiche di un lavoratore medio di sesso maschile, senza tenere in considerazione la struttura fisica delle donne, mediamente inferiore in altezza rispetto agli uomini, generando una penalizzazione di natura ergonomica per le lavoratrici di sesso femminile. Per questa ragione gli strumenti e le postazioni dovrebbero essere adattati alle lavoratrici di sesso femminile e tra gli strumenti che necessitano un adeguamento troviamo anche i DPI, dispositivi di protezione individuale, che, poiché pensati per il lavoratore medio, tendono ad essere inadeguati per le lavoratrici. Per le ragioni sopra evidenziate dunque, nell’effettuare una valutazione dei rischi, tenendo in debita considerazione il genere, è essenziale non solo considerare le mansioni specifiche, ma anche chiedersi se e come le caratteristiche ambientali e le misure di protezione siano state definite tenendo conto delle differenze di genere.
Per quanto concerne i rischi psicosociali, l’ILO evidenzia che le donne hanno a che fare con tutte le tipologie di violenza (insulti, molestie, minacce, aggressioni fisiche e verbali) nel 6,4% dei casi, mentre gli uomini nel 4,7%, soprattutto nei lavori a contatto con la clientela, quali settore sanitario e lavori sociali. Molestie e bullismo coinvolgono il 6,1% delle donne e il 4,3% degli uomini, con un maggior rischio per le donne sotto i 30 anni. La molestia sul posto di lavoro può configurarsi sotto diverse forme quali mobbing, bullismo, molestie morali che anche nelle loro forme più sottili hanno effetti negativi sul benessere psicofisico della persona.
A livello normativo, seguendo le finalità del D.L. 81/2008, art.1, si ricerca: “l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e di lavoratori immigrati”, motivo per cui la Gender Equality è ricercata anche in tema di sicurezza sul lavoro, tenendo proprio conto delle differenze di genere.
Per migliorare le condizioni di lavoro sia delle donne che degli uomini sono necessari sforzi continui, adottando una strategia inclusiva, volta a non sottovalutare o ignorare le possibili differenze nell’esposizione ai rischi.
In conclusione, per una corretta valutazione dei rischi in un ambiente lavorativo è essenziale valutare i rischi cui sono soggetti donne e uomini separatamente, cambiando il concetto che sta alla base e che li vede come un gruppo omogeneo, pur mantenendo il rispetto della persona nella sua individualità e nella sua libertà di espressione. L’attuale modello neutro si è dimostrato inadeguato rispetto al conseguimento dell’uniformità della tutela e della riduzione delle disuguaglianze nel raggiungimento dell’obbiettivo salute e sicurezza sul lavoro. Tale inadeguatezza si è esplicitata anche durante l’attuale emergenza Covid-19, sia durante la fase più acuta che durante le fasi seguenti, ovvero di convivenza con il virus. La pandemia ha, infatti, aumentato il divario di genere, portando ad una recessione femminile, la cosiddetta “She-cession”, con la perdita di 312 mila posti di lavoro prima ricoperti dalle donne, a fronte di una perdita totale di 440 mila posti senza distinzioni di genere. Lo smartworking, o in alcuni casi un vero e proprio telelavoro, unito alla perdita dell’appoggio delle istituzioni educative, come la scuola primaria, ha posto numerose donne di fronte alla scelta tra gestione domestica e lavoro.
Appare quindi di fondamentale importanza sviluppare strumenti per intraprendere azioni per il miglioramento dell’equità di genere nella salute sul lavoro, volte a ridurre le disuguaglianze sociali e ad un impiego più efficiente delle risorse. La tutela di un posto di lavoro sicuro sotto aspetti ambientali, psicologici e organizzativi diventa così, ad oggi, motivo di focus da parte dei datori di lavoro e delle istituzioni, in una visione capace di comprendere le differenze sociali, personali dei lavoratori.
Massimo Servadio
Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni