Una inchiesta di Daniela Leonardi sui fattorini di Foodora, a Torino. I risultati sono stati illustrati durante il convegno di presentazione del numero speciale di «Primo maggio» il 1 dicembre 2018 a Torino. 

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Questo contributo è parte di una riflessione più ampia portata avanti con Salvatore Cominu che sarà pubblicata prossimamente.

La riflessione che presento parte da una lotta di lavoratrici e lavoratori impiegati nei servizi di consegna a domicilio di pasti. Si tratta di un punto di vista deliberatamente parziale basato su un esempio concreto di lotta che ho seguito dal 2016 e che continuo a seguire tuttora. Lo scopo dell’inchiesta è duplice: da una parte dar voce ai soggetti protagonisti, dall’altra ragionare immediatamente con loro con attitudine trasformativa e conflittualerispetto alle loro condizioni lavorative e di vita (che non possono essere considerate separatamente) e ragionarne non solo con loro, come per esempio stiamo facendo oggi. Questo lavoro di inchiesta vuole essere uno strumento di lotta nelle mani dei e delle riders e di tutte le compagne e i compagni che si pongono come obiettivo quello di rovesciare il presente. Non c’è dunque una ricercatrice che detiene un sapere separato e un oggetto della sua ricerca a cui al massimo si valuterà di dare una restituzione, confezionata ad hoc, c’è un processo circolare di scambio la cui posta in palio è la trasformazione stessa delle soggettività in gioco. A livello di metodo non c’è stata la ricerca di un campione che fosse rappresentativo della popolazione dei fattorini in bicicletta e, come diceva qualcuno, non è stata questione di lavarsi bene le mani per condurre un’intervista metodologicamente rigorosa rimuovendo la sua natura di relazione sociale. La mia posizione non è stata neutrale.

Il fatto di partire da un atto collettivo di insubordinazione permette di approfondire il rapporto asimmetrico che solitamente caratterizza la vita lavorativa quotidiana, in cui troviamo la forza lavoro legata ai mezzi tecnici della controparte, e allo stesso tempo ci permette di approfondire se e a quali condizioni e per quanto tempo questo rapporto di forza possa anche capovolgersi e sbilanciarsi a favore di lavoratori e lavoratrici.

Le domande a partire dalle quali è stata costruita quest’inchiesta hanno riguardato la questione della soggettività: chi sono questi lavoratori e lavoratrici? Perché hanno deciso di rivendicare migliori condizioni, di organizzarsi? Perché insomma si sono resi disponibili al conflitto?

La questione del dove si verificano i conflitti e perché? Come mai dunque sono esplosi diversi conflitti in quello che genericamente chiamiamo ambito della logistica?

La questione delle forme di lotta: Come si sono mobilitati? Come si sono conosciuti e organizzati ma anche quali problemi hanno incontrato nelle loro azioni collettive? Qual è stato il rapporto con le rappresentanze sindacali?

Parto da qui per provare a sviscerare un po’ questi interrogativi senza ovviamente alcuna pretesa di avere delle risposte da dare ma cercando di mettere sul piatto alcune questioni che possano fungere da indicazione, ulteriori punti da sviluppare, nodi critici da affrontare che possono riproporsi anche in altre lotte, punti dai quali ripartire per essere più efficaci e allargare, se possibile, il campo della mobilitazione.

Fatte queste premesse introduttive entriamo un po’ nel vivo.

I protagonisti sono i rider che nel 2016 lavoravano per Foodora, a Torino. Non tutti i rider, dicevamo, ma solo quelli che hanno preso parte alle mobilitazioni; un nucleo fisso di una decina di persone più altre che gravitavano attorno.

Foodora è parte della cosiddetta on-demand economy; Attraverso l’uso di una piattaforma on-line agisce come intermediaria tra i ristoranti cittadini e i clienti che scelgono di consumare i pasti a casa propria, mettendoli in relazione. Sempre mediante la piattaforma Foodora gestisce i lavoratori che si occupano di consegnare il cibo a domicilio.

Tali lavoratori, denominati rider, a inizio di ogni turno lavorativo devono accedere a una apptramite il proprio smartphone, effettuando il login sono pronti a ricevere le eventuali consegne. Attualmente Foodora sta lasciando il mercato italiano e al suo posto subentra Glovo senza alcun obbligo (e sembra senza alcuna intenzione soprattutto per quel che riguarda i rider che più si sono esposti durante le mobilitazioni) di ri-assorbire i lavoratori precedentemente impiegati. Ma questa è una partita che si sta giocando ora ed è una condizione che interessa circa 2000 lavoratori.

Chi sono?

I rider intervistati sono generalmente giovani, studenti universitari (o ex in quanto delusi dai percorsi di studio). Inizialmente per la maggior parte italiani, ora le cose stanno cambiando; per la maggioranza uomini. A causa della crisi, e della conseguente mancanza di opportunità lavorative, di questa categoria fanno parte anche persone adulte: ho incontrato un uomo di 36 anni che per un periodo ha svolto contemporaneamente 3 lavori, 7 giorni su 7 e che si definiva al momento dell’intervista: «privilegiato rispetto agli altri perché a un certo punto l’azienda mi ha offerto un contratto vero per cui per 6 mesi ho avuto un contratto regolare a tempo determinato con tutte le garanzie», e un altro uomo sulla quarantina che ha lavorato per 10 anni presso una multinazionale con cui poi è entrato in vertenza per i continui spostamenti che gli venivano richiesti, che andavano ad incidere significativamente sulla sua qualità di vita.
Tra gli assunti da più tempo si riscontrava anche una certa comprensione per la paga oraria non certo esaltante: nella fase iniziale di vita dell’azienda alcuni lavoratori si sono mostrati comprensivi rispetto a quelle che possono essere le difficoltà iniziali di far partire un progetto nuovo, di farsi conoscere dai potenziali clienti. Il fastidio è stato manifestato quando, a fronte di una crescita esponenziale del fatturato, l’azienda non solo non propone migliori condizioni per tutti ma, anzi, propone il passaggio dalla paga oraria a cottimo e per le nuove assunzioni direttamente il cottimo. La paga a consegna – il cui importo era stato inizialmente fissato a 2.70 euro per ogni ordine evaso – è stata innalzata fino alla cifra di 3.60 euro dopo le proteste dei lavoratori.

Con la comparsa di nuove compagnie sul mercato le condizioni sono peggiorate; al punto che negli scorsi giorni quando ho parlato con un paio di rider che lavorano da tempo nel settore mi hanno detto che se ripensano alle condizioni di un paio di anni fa ora a confronto appaiono quasi rosee. Ed è tutto dire.

Un aspetto importante è che l’azienda non li considera lavoratori dipendenti, sono inquadrati come autonomi e pagati con ritenuta d’acconto, superata la soglia consentita di 5000 euro, se vogliono continuare a lavorare, devono aprire la partita IVA. Foodora li definisce collaboratori. C’è tutta una terminologia utilizzata: i turni lavorativi sono slot, la parola licenziamento non è mai pronunciata, si parla di sloggare il rider, dall’inglese log in e log out.

Un “lavoretto da tempo libero”

Così veniva descritto inizialmente in sede di colloquio dai manager di Foodora. Dopo il primo ciclo di mobilitazioni, anche per via del fatto che questa definizione è stata molto contestata dai rider, i responsabili hanno smesso di definirlo così e anzi hanno iniziato a parlare dell’importanza di “mostrare -queste le loro parole – attaccamento alla maglia”.

Dalle interviste, tra gli aspetti individuati come positivi del fatto di lavorare come rider emerge la flessibilità, il fatto che “sulla carta” si tratti di un’occupazione che ti permette di «lavorare quando ti pare, e per molti è un vantaggio il fatto di lavorare in bici. Altro aspetto descritto come positivo è la facilità di assunzione, a fronte di selezioni sempre più dure e stressanti per accedere a qualsiasi posizione lavorativa».

La questione della potenziale flessibilità è stata approfondita insieme ai rider. In teoria dovrebbe essere possibile combinare disponibilità al lavoro e tempo da dedicare a ciò che si preferisce. Nella realtà, però, i turni erano confermati quasi sempre con pochi giorni d’anticipo. Non era automatico che la disponibilità segnalata per una determinata fascia oraria si trasformasse automaticamente in un turno e quindi era impossibile per esempio per loro pianificare un weekend fuori perché se poi fossero stati confermati i turni bisognava presentarsi. Con le parole di un rider «Quando uno dà la disponibilità, e in genere né da tante, non è che si prende altri impegni, quindi diciamo che Foodora si piglia anche quel tempo in cui tu hai dato la disponibilità perché ovviamente non vai al cinema, né fai altri lavori». L’azienda ha innovato costantemente le proprie modalità organizzative.

Con l’introduzione del cottimo, ovviamente, tutto il tempo in cui i fattorini aspettano di ricevere eventuali ordini non è pagato. L’azienda ha iniziato ad assumere in massa e ha continuato in maniera esponenziale durante la mobilitazione; in fin dei conti assumere delle persone con contratto a zero ore e senza dover garantire nulla, con il vantaggio di avere a disposizione un esercito di riserva e di esporre i propri lavoratori al continuo ricatto di essere sloggati o di essere in strada contemporaneamente a molti altri, in competizione per le consegne, è una situazione che non presenta alcuno svantaggio per Foodora. A questo si aggiunge la pubblicità che i fattorini fanno stazionando in vari punti della città in attesa delle eventuali consegne, con indosso abiti e zaini con il logo dell’azienda. I lavoratori non sono pagati per questa funzione promozionale, per la ditta è più vantaggioso dell’affitto di spazi pubblicitari, è gratis!

Disciplinamento

Successivamente, la piattaforma per l’assegnazione dei turni è stata modificata anche come conseguenza della mobilitazione dei rider. Ora i lavoratori non forniscono più le proprie disponibilità e poi spetta a un responsabile decidere se accettarle come invece accadeva prima; attualmente i fattorini in bicicletta con le performance migliori – anche date dal fatto di essersi resi disponibili a lavorare nei momenti di maggiore intensità del servizio (ad esempio weekend, giornate di pioggia) -possono essere i primi a selezionare giorni e orari in cui recarsi al lavoro nella settimana successiva. L’opportunità di prenotarsi nelle varie fasce orarie che al momento sono da un’ora per turno non è dunque garantita a tutti nello stesso momento, bensì in momenti diversi a seconda delle performance. È stato inserito un ratingdei lavoratori e delle lavoratrici. Agli ultimi restano di rado turni disponibili, solitamente sono già tutti prenotati. Per loro l’unica possibilità è controllare nell’arco della settimana se possono inserirsi su qualche turno perché qualcuno dei colleghi ha rinunciato.

Si tratta di un meccanismo fortemente disciplinante. Se già in precedenza non era vera la retorica dell’azienda per cui “si lavora quando si vuole”, al momento attuale non è proprio assolutamente possibile sostenere che ci sia una libertà di scelta garantita ai rider: disdire dei turni, non dare abbastanza disponibilità nei weekend, rifiutare un ordine perché troppo lontano, sono tutti comportamenti che fanno peggiorare il proprio rating e di conseguenza annullano o limitano sensibilmente gli spazi di autonomia.

In precedenza, invece, giocava un ruolo significativo la capacità/volontà di instaurare buoni rapporti personali con il responsabile che assegnava i turni. Come racconta Alessandro[1]«poi comunque ero in buoni rapporti con il responsabile dei turni quindi sapeva che ero sempre disponibile, quando era nella merda mi chiamava perché aveva bisogno e quindi poi cercava di darmi i turni che richiedevo. Trattamento che non era riservato a tutti e soprattutto non era riservato a coloro che non riuscivano ad avere un rapporto con quella persona un po’ confidenziale e intimo. Come diceva prima il mio collega è una questione di rapporti personali. È una dinamica che si instaura avendo dei contratti del genere». Lo stesso fattorino aggiunge «Sì comunque in via del tutto informale loro hanno anche ammesso con noi che danno i turni a quelli con le velocità più alte. Durante i turni raccolgono tutta una serie di dati statistici». Cristian aggiunge «Queste informazioni non vengono date ai collaboratori per spiegare il funzionamento ma sono state estrapolate da colleghi che andavano a parlare e sono entrati in confidenza». Tutto si basava sui rapporti personali.

Quali forme di lotta?

Le prime mobilitazioni sono iniziate nel 2016. Penso sia da sottolineare che questi lavoratori/trici si sono conosciuti prima virtualmente, tramite chat, e solo successivamente di persona. Hanno utilizzato a proprio vantaggio la chat aziendale inizialmente creata da Foodora: prendendo i numeri di telefono, solo quelli dei riders, e creando una loro chat, Foodora rimborsa danni. Poiché le prime rivendicazioni partivano da necessità molto materiali quali il rimborso dell’usura dei propri mezzi. Il 10 aprile i rider si incontrano per la prima volta in una piazza centrale di Torino, piazza Castello, e danno vita alle prime azioni collettive.

In questi due anni le forme di lotta attuate sono state le più disparate: dallo sciopero delle consegne, al cosiddetto shit storm che consiste nello scrivere messaggi che svelino il vero volto di queste aziende sui loro canali social, passando per i volantinaggi organizzati nei ristoranti affiliati con le compagnie sempre finalizzati alla sensibilizzazione circa le condizioni di lavoro dei fattorini in bici. Altra forma di lotta è la Critical Mass l’ultima delle quali il 26 ottobre giornata di sciopero indetta dai sindacati di base. In quell’occasione i rider sono scesi in strada in maniera autorganizzata con un corteo in bicicletta sono passati sotto la sede di alcune compagnie a portare le proprie rivendicazioni; hanno individuato come controparte la sede di Mc Donald’s, l’ispettorato del lavoro, il governo con Di Maio per via delle sue dichiarazioni circa la volontà di garantire tutele piene per questa tipologia di lavoro che però non sono state concretizzate. Circa un anno prima, il 28 settembre 2017 i rider avevano fatto un blocco della merce in uscita: si erano rifiutati di consegnare il gelato a domicilio in occasione della promozione lanciata da una nota gelateria della città.

Un gruppetto di 6 lavoratori si è avvalso anche della via legale ma, come da loro stessi affermato, si tratta di un piano arrivato dopo, non sostituisce la lotta politica. Si tratta del primo processo di questo tipo in Italia e l’11 aprile scorso c’ è stata la sentenza che è stata per loro del tutto sfavorevole. A differenza di altri paesi dove ci sono state diverse aperture, qui non è stata riconosciuta la subordinazione né è stata accolta la richiesta di violazione della privacy. Il prossimo 9 gennaio ci sarà il secondo grado.

Uno dei temi più sentiti da questi lavoratori – oltre al ritiro del mercato di Foodora e dunque all’incertezza rispetto all’immediato futuro lavorativo – è la questione dei numerosi incidenti e della mancata o insufficiente (dipende dalle singole compagnie) copertura assicurativa. Per protestare contro la pericolosità di questo lavoro e l’insufficienza delle tutele i/le rider qualche giorno fa hanno provato a recarsi alla sede di Glovo ma non sono riusciti poiché la polizia ha impedito l’ingresso. L’irruzione negli uffici delle compagnie o negli uffici della politica è un’altra delle svariate forme di lotta da loro attuate. In questi anni hanno saputo utilizzare strategicamente varie forme di lotta, hanno imparato ad autotutelarsi conservando screenshot di conversazioni e registrando telefonate dei manager, e hanno saputo mantenere una forte attenzione mediatica attorno alla loro situazione. Significativo, inoltre, il fatto che le lotte dopo la prima fase del 2016 non sono più state portate avanti dai rider divisi per singola compagnia; ora si muovono insieme per rivendicare diritti per la categoria e chissà se si riuscirà a generalizzare ancora…

Per riuscire a fare questo passaggio, a Torino hanno creato uno spazio fisico chiamato Casa Rider in cui i lavoratori, indipendentemente dalla compagnia per cui lavorano, possono incontrarsi, bere qualcosa di caldo, imparare vicendevolmente a riparare la bicicletta, scambiarsi informazioni utili.

Questioni aperte

Resta aperta la questione del (mancato) rapporto con il sindacato. I rider intercettati non lottano per una regolamentazione in senso “classico” del proprio posto di lavoro e questo è un nodo che merita di essere approfondito altrimenti l’incomunicabilità è l’inevitabile conseguenza. In questa vicenda l’azienda ha spesso dichiarato che non si sarebbe seduta a nessun Tavolo se fossero stati presenti i sindacati ma allo stesso tempo anche i rider hanno riferito di non essere (ancora?) riusciti a trovare un canale di dialogo con il sindacato. Le parole utilizzate più di frequente sono state sfiducia, inutilità di rivolgersi a un sindacato.

Molti dei lavoratori più giovani non hanno mai avuto un contratto regolare, qualcuno ha sostenuto che sarebbe stato più utile rivolgersi a le Iene per smuovere qualcosa e, al limite, alla stampa.

Durante le giornate di mobilitazione, in cui si sono visti alcuni sindacalisti, i discorsi che facevano erano effettivamente molto distanti da quelle che erano le istanze di questi lavoratori/trici e per lo più si basavano sulla richiesta di contratto collettivo e su un’assunzione part-time o full time.

In quest’esperienza di mobilitazione torinese diversi sono stati i volti che avevano già preso parte in passato alle proteste del movimento studentesco dell’Onda; la precarietà e la flessibilità estrema del mercato lavorativo ha condotto alcuni di loro a svolgere quest’occupazione oggi e domani chissà…

Resta da approfondire ulteriormente se proprio il fatto che quella del rider non sia l’impiego su cui molti di loro scommettono, e in cui più si sentono realizzati, li disponga maggiormente alla mobilitazione per via del minore investimento in questo tipo di occupazione o se proprio per lo stesso disinvestimento i rider sono portati ad accettare le condizioni estremamente sfavorevoli con maggiore disinteresse e passività perché sono altre le identità in cui si riconoscono: studenti universitari, aspiranti giornalisti, musicisti… Come ci dicono le interviste i rider sembrano però molto consapevoli che il tempo dell’altrove in cui svolgere una professione più in linea con il percorso di studi o con le proprie ambizioni si dilata sempre più e soprattutto spesso quelle professioni lì ormai richiedono un periodo di lavoro gratuito, o quasi, e non è raro, quindi, che quella del fattorino in bicicletta sia l’occupazione che permette di svolgere altre professioni avendo un minimo di indipendenza economica.

 

NOTE

[1] Nome di fantasia