Canada. IWH. Cosa può fare la ricerca: stimare il ruolo dei luoghi di lavoro nelle trasmissioni COVID-19

IWH – Institute for Work & Health Canada Istituto per il lavoro e la salute

IWH  è  un’organizzazione indipendente, senza scopo di lucro. La sua  missione è promuovere, proteggere e migliorare la sicurezza e la salute dei lavoratori conducendo ricerche attuabili apprezzate dai datori di lavoro, dai lavoratori e dai responsabili politici.

Dal dottor Cam Mustard, presidente e scienziato senior, IWH

Man mano che il Canada esce dal blocco e un numero maggiore di lavoratori torna ai propri spazi di lavoro fisici, l’efficacia delle pratiche sul posto di lavoro per prevenire la trasmissione di COVID-19 diventerà sempre più importante. Per anticipare le sfide future, dobbiamo conoscere il ruolo che la trasmissione professionale ha svolto nei primi sei mesi della pandemia.

Sebbene la maggior parte dei datori di lavoro abbia rispettato le misure di emergenza e chiuso le proprie operazioni fisiche, secondo le nostre stime, oltre il 35% della forza lavoro dell’Ontario è rimasta sul posto di lavoro. I datori di lavoro in una vasta gamma di settori essenziali – sanità, servizi di emergenza, estrazione mineraria, trasporti, edilizia, produzione, produzione alimentare, distribuzione e vendita al dettaglio – dovevano tutti gestire il rischio di trasmissione professionale.

Quale percentuale di infezioni da COVID-19 nella provincia era associata all’esposizione sul lavoro? Sebbene ci siano lacune nelle informazioni importanti, possiamo fare un’ipotesi plausibile.

Ecco cosa sappiamo. In Ontario, due fonti di informazioni possono essere utilizzate per stimare l’incidenza delle infezioni da COVID-19 che derivano dall’esposizione e dalla trasmissione sul posto di lavoro.

La prima fonte di informazioni è il lavoro svolto dai funzionari della sanità pubblica per tracciare i contatti recenti di persone che risultano positive al COVID-19. Questo tracciamento dei contatti può identificare la trasmissione che potrebbe essersi verificata negli ambienti di lavoro.

Il secondo è il numero di richieste di risarcimento registrate presso il Workplace Safety and Insurance Board (WSIB) da parte di lavoratori risultati positivi al COVID-19 e che credono di aver contratto il virus in un ambiente lavorativo. I funzionari della WSIB giudicano le richieste individuali per valutare le prove per la trasmissione relativa al lavoro prima di consentire la richiesta di risarcimento.

Durante il primo periodo dell’emergenza COVID-19 in Ontario, da marzo a maggio, le 32 unità di sanità pubblica della provincia hanno dovuto affrontare enormi sfide nel completare tempestivamente interviste di tracciamento dei contatti con persone risultate positive al COVID-19. Con l’eccezione delle infezioni tra gli operatori sanitari negli ospedali e nelle strutture di assistenza a lungo termine, le informazioni sullo stato occupazionale, l’occupazione e il settore industriale non sono state registrate in modo coerente per i casi tra gli adulti in età lavorativa.

Nello stesso periodo, il WSIB ha istituito team dedicati di giudici e amministratori delle richieste per valutare le richieste di risarcimento presentate dai lavoratori e dai loro datori di lavoro. Dall’inizio di giugno, il WSIB ha iniziato a pubblicare il numero di richieste di risarcimento attribuite a COVID-19, tabulando il numero di richieste di risarcimento consentite, non consentite e in attesa di giudizio all’interno dei settori economici.

Combinando le informazioni del sistema sanitario pubblico dell’Ontario e del WSIB, possiamo costruire un quadro dell’incidenza del COVID-19 attribuito alla trasmissione sul posto di lavoro. All’inizio di agosto, i nuovi casi giornalieri in Ontario erano scesi a circa 100, da un picco di 600 casi giornalieri a metà aprile. Dei 40.000 casi confermati tra marzo e la prima settimana di agosto, circa il 60% (24.380) si è verificato tra gli adulti in età lavorativa (età 20-59). A partire dalla prima settimana di agosto, il WSIB riportava 4.507 richieste di risarcimento consentite, 966 non consentite e 605 in attesa di giudizio.

Utilizzando il numero di richieste di risarcimento consentite e il numero di persone infette in età lavorativa, possiamo stimare in modo prudente che un 20% non banale delle infezioni tra gli adulti in età lavorativa in Ontario può essere attribuito alla trasmissione sul posto di lavoro.

Delle richieste di risarcimento consentite, oltre il 70% è associato a lavoratori del sistema sanitario, sebbene le nuove infezioni tra questi lavoratori siano diminuite sostanzialmente. I lavoratori agricoli nel sud-ovest dell’Ontario hanno subito il più alto carico di trasmissione professionale nel periodo da giugno a luglio.

Poiché i luoghi di lavoro sanitari hanno aumentato l’accesso ai necessari dispositivi di protezione individuale e acquisito esperienza nella cura in sicurezza di pazienti e residenti infetti, dovremmo aspettarci che l’incidenza delle infezioni diminuisca in questo settore. Al contrario, poiché più posti di lavoro riprendono l’attività economica, abbiamo bisogno di una maggiore vigilanza per ridurre il rischio di trasmissione professionale in tutti i settori. Le cattive pratiche di controllo delle infezioni sul posto di lavoro potrebbero essere un fattore importante per le dimensioni e la diffusione di COVID-19 nella potenziale seconda ondata.

Lui, quest’uomo, molto semplicemente

Fonte :  mente politica
Francesco Domenico Capizzi * – 26.08.2020

Assistenza sanitaria

 

 

 

Raccontava Clemente Riva, vescovo ausiliario di Roma, segretario della Conferenza Episcopale Italiana e fervente studioso di Rosmini, sul finire degli anni ‘80 a Bologna nel Convegno di Amnesty International sulla tortura nel Mondo, Italia compresa, che interrogato su “cosa avrebbe posto al centro della città ideale”, ospite quale era di un’assise romana di Architettura, “una basilica, un teatro, una fontana?” rispose “niente di tutto questo, al centro metterei l’Uomo con i suoi bisogni!”. Risposta perentoria, forse inaspettata da parte di un alto prelato di altri tempi, il quale aggiunse, rivoltosi al sottoscritto con tono da confessionale, ma con microfono evidentemente aperto: “c’è da chiedersi se le Istituzioni, comprese le ecclesiastiche, siano organizzate davvero su questa centralità”. Un’idea assai minoritaria in tutte le specie di Istituzioni: destrutturarle per porre al centro l’Uomo, “non la persona umana, ma lui, quest’uomo, molto semplicemente” (S. Weil: La persona e il sacro, a cura di M. Sala, G. Gaeta, Adelphi 2012). Un proposito oggi perseguito in particolare e significativamente dal magistero di Francesco: “chi sono io per giudicare? …la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari entusiasti … ”. (27.7.2013; 9.4.2018).

Se la domanda fosse oggi rivolta a medici e responsabili di Organizzazioni sanitarie, la risposta confermerebbe la centralità insita nel malato, non in “lui, quest’uomo, molto semplicemente”, ma “nel Diritto della persona all’assistenza sanitaria” come sancito da Costituzione e Carta dei Diritti fondamentali: sostanzialmente nella ricerca di soluzioni diagnostico-terapeutiche mentre, per quanto avanzate, queste non garantiscono verità scientifiche ma livelli di approssimazione senza potere evitare che le patologie neoplastiche, cronico-degenerative ed infettive assumano incalzanti caratteri pandemici con esiti spesso sconfortanti.

Nel Mondo in dieci anni i casi di tumori risultano aumentati del 42%: da 12,7 mln a 18,1 mln con relativi decessi passati da 7,6 mln a 9,6 mln che corrispondono a circa  il 50% dei tumori accertati, pressoché come negli ultimi 50 anni; in Europa, pur possedendo il continente soltanto il 9% della popolazione mondiale, di tumori se ne sono registrati il 23,4% con un quinto dei decessi di tutto il globo (ISTAT, AIRTUM, OMS 2019).  Da sottolineare che, come ormai è accertato e noto, la patologia neoplastica risulta in crescita costante in relazione alla diffusione di fattori ambientali nocivi e di stili di vita scorretti non contrastati da informazioni e misure adatte ad evitare la malattia (prevenzione primaria).

Non solo: in Europa i tumori in stadio avanzato risultano in significativa costante ascesa, tanto che negli ultimi 10 anni l’utilizzo di farmaci oncologici è quasi triplicato a partire dai 12,9 mld. In questo specifico aspetto l’Italia si trova al terzo posto, dopo Germania e Francia, con un andamento analogo ed una spesa che sfiora i 6 mld di euro per anno, in crescita costante.

Il problema che si pone per tutta l’Europa, stando a questi dati, a parte lo scarso e quasi inesistente impegno nella prevenzione primaria, risiede anche in inadeguati tassi di adesione agli screenings preventivi (prevenzione secondaria)ad esempio, la media europea di mammografia si attesta sul 60%, nel nostro Paese sul 55% (53.500 nuovi casi stimati in Italia nel 2019); itest per la ricerca del sangue occulto per la diagnosi precoce del cancro del colon-retto in Europa conta il 49.5% di adesioni, in Italia il 45.7% (49.000 casi nel 2019); soltanto il 41% delle donne europee, come le italiane, si sottopone al Pap-test per la diagnosi precoce del cancro della cervice uterina. Da notare che nel meridione italiano i test sono inesistenti oppure molto scarsamente frequentati.

 E’ ovvio che un maggior numero di tumori in fase avanzata comporti un relativo peggioramento della prognosi. Infatti, le probabilità di guarigione sono direttamente proporzionali alla precocità della diagnosi e al grado di crescita neoplastica. Ogni giorno, in Italia, vengono diagnosticati oltre 1.000 nuovi tumori di cui il 40-60% complessivi in stadio avanzato.

Quanto accennato vale per tutte le classi di malattie cronico-degenerative: è urgente potenziare la prevenzione primaria perché molte, troppe persone continuano ad ammalarsi ed a perire nonostante l’impegno del personale sanitario ed amministrativo, quasi dei prestanome che non agiscono in solitudine, che apprendono dalle esperienze altrui e qualcosa trasmettono ad altri contribuendo a formare cultura e tradizioni. La responsabilità dell’esito finale ricade sui protagonisti, ma chiama in causa tutta la Medicina e tutte le Istituzioni politiche rappresentative, la loro storia, le loro scelte culturali e dottrinarie, organizzative e pedagogiche che informano e permeano, spesso nel solco del conformismo, l’intera Società. Il medico non è che un esile segmento nell’Ospedale. Il cittadino-persona, più che destinatario di Diritti che richiedono forza per esigerli, non è che propriamente lui “ quest’uomo, molto semplicemente”.

 Già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna  e direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna

Epidemiologia e Prevenzione: “Covid-19: arrivare preparati all’autunno”

Fonte della notizia: CIIP

Sul numero di luglio-agosto 2020 della rivista E&P dell’Associazione Italiana di Epidemiologia è pubblicato l’editoriale “Covid-19: arrivare preparati all’autunno

Nell’articolo si analizza come è stata affrontata la fase 2 del contagio ed in particolare la risposta dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, molto disomogenea fra le diverse regioni.
È indicato uno scenario prevedibile per i prossimi mesi e sono raccomandate alcune azioni, focalizzate in particolare sugli aspetti epidemiologici.

L’articolo può essere scaricato dal sito della Rivista