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di Norina Di Blasio
Come si pongono i sistemi sanitari internazionali di fronte alla grande sfida della salute dei migranti? Siamo in grado di dare a infermieri e operatori sanitari nell’ambito della salute mentale strumenti nuovi? Il disagio mentale comincia così ad aver un corrispettivo economico che serve a rendere la psichiatria culturale più rilevante. “Non parliamo più di una dimensione esotica, dal sapore antropologico, della riflessione psichiatrica, ma siamo in un orizzonte culturale in cui è centrale l’obiettivo dell’integrazione e dell’ibridazione delle culture”. Intervista a Jaswant Guzder dell’Università di Montréal.
“Uno degli aspetti principali dell’essere migrante è che la tua identità è fluida. Sono Inglese? Sono un britannico-asiatico, sono un asiatico-britannico? Sono un melange di cose. Non appartengo a nessun luogo ma allo stesso tempo appartengo a tutti. La casa per me è uno stato mentale, non necessariamente una cosa di mattoni e malta”.
Dinesh Bhugra
Alla psichiatria transculturale spetta oggi un compito difficile, tutto da costruire. Deve riuscire a guardare i migranti come calati in un contesto di ibridazione di culture, ma anche essere capace di domandarsi quanto e se gli strumenti della psichiatria occidentale siano applicabili ovunque nel mondo. Ma deve fare anche i conti con il fatto che l’occidente reagisce con ostilità ai migranti, con evocazioni nostalgiche del concetto identità nazionale. Come si pongono i sistemi sanitari internazionali di fronte a questa grande sfida? Siamo in grado di dare a infermieri e operatori sanitari nell’ambito della salute mentale strumenti nuovi? Ne abbiamo parlato con Jaswant Guzder (McGill University, Montréal), intervistata in occasione della mostra Cultural dislocation and hybridity. Politiche delle cure politiche delle culture, organizzata dalla ASL Roma 1 e ospitata negli spazi del Museo Laboratorio della Mente[1].
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