La Medicina moderna che conosciamo, nata nel periodo positivista, ha finito con il perseguire un suo sviluppo (clinico-tecnologico) piuttosto che un complessivo progresso (sociale) nel contrastare le radici delle incalzanti malattie cronico-degenerative: neoplasie (in Italia oltre 1.000 al giorno, con incrementi in soli quattro decenni del 62% delle pancreatiche con tassi di guarigione dopo le cure dell’8% entro i primi 5 anni che crollano al 3% entro i successivi 5, come riportato da “The Lancet Global Burden Disease” del 2019), affezioni cardiocircolatorie e respiratorie, obesità, cirrosi, patologie infettive ed autoimmuni e da stress psico-fisici, ecc.. Sono sostenute in larga parte da fattori culturali e da disagi sociali, trascurati nella trasmissione del sapere medico e nelle Istituzioni sanitarie incentrate in attività diagnostico-terapeutiche per un empirismo orientato verso alterazioni anatomiche, geometrie e formule matematiche.
In sostanza, il Servizio sanitario diagnostica e cura malattie evitabili ab initio (l’80% secondo l’OMS), ne trascura i fattori che le favoriscono e le sostengono, Intanto troppe persone continuano ad ammalarsi perché le cause patogene, indovate nelle pieghe della Società, vere fabbriche della malattia, conservano intatta la loro violenza mentre il diritto alla Salute viene confuso con l’assenza di malattia e complessità tecnologico-gestionali che imprimono alle Strutture ospedaliere, intese come fabbriche della salute, le ragioni oggettive della malattia con un involontario suggerimento: la salute si preserva apportando modifiche al corpo con tecnologie e terapie sofisticate al punto da esonerare Medicina e Istituzioni dalla primitiva missione ideale come i mezzi di locomozione esonerano dal camminare e ne superano l’esigenza. >>> L’ARTICOLO PROSEGUE ALLA FONTE SULLA RIVISTA ONLINE MENTEPOLITICA