Vivere a Berlino al tempo del Coronavirus di Franco Di Giangirolamo 25 novembre 2020

Graffiti in Berlin – photo street – foto  gierre  ( Autore del graffito El Bocho )

Il cielo nuvoloso è il vestito che Berlino indossa sempre bene, ma oggi, con la situazione rarefatta determinata dalle misure antiSars-Covid-2, appare molto più “triste“. Perfino i vari volatili, presenze fisse nelle stazioni, sembrano stanchi e svogliati, senza la vivacità che li caratterizza al mattino, quando hanno più fame.

Forse stanno attendendo che la Merkel, che sta svolgendo il suo ruolo circense di domatrice di presidenti di Laender, adegui le norme anti Covid almeno fino al 20 dicembre. Vivendo in simbiosi con la specie umana, in questo caso urbanizzata, per i volatili e per la fauna cittadina gli orientamenti della Cancelliera sono questione di qualità della vita, se non di vita o di morte.

L’incontro è preparato da un documento unitario dei presidenti regionali e da un orientamento maturato dall’ SPD. Stasera sapremo quali opinioni prevarranno, visto che la Merkel pare predisposta ad un atteggiamento più „duro“. Ci si chiede: sarà sacrificato l’Avvento? (6 dicembre, che qui è una festa importante), si salverà scuola, Natale e Capodanno? I numeri danno ragione a tutti perchè la curva dei contagi non cresce ma resta ad un alto livello e consente sia un superficiale ottimismo che un superficiale pessimismo, anche perché le terapie intensive non si riempiono nella misura che si temeva ma non sono vuote. Ma Mutti non mollerà, secondo me, e resterà più vicina alle posizioni dei bavaresi che a quelle dei sassoni. Una rigorosità più grande di quella italica nonostante i numeri siano molto meno gravi di quelli patrii.

Nel giretto/caffè take away con la mia signora vedo una doppia tristezza: quella degli addobbi die grandi magazzini, per me sproporzionati sia in tempo di pace che di Covid, che contrasta con la poca gente che li frequenta e soprattutto con le loro facce smorte, e quella di Alexanderplatz senza gli allestimenti del Mercatino di Natale, presenza classica a queste latitudini.

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Spagna. Ricerca ISTAS – CCOO . I bassi salari rendono più facile per più persone andare a lavorare con i sintomi

Fonte ISTAS.ES 

Ven, 07/10/2020 – 08:24
BERTA CHULVI
Fascicolo

Secondo i dati dell’indagine COTS, la percentuale di persone che si sono recate a lavorare con sintomi quali febbre, tosse, mancanza di respiro o malessere generale durante lo stato di allarme decretato dalla pandemia COVID-19, è quasi doppia tra coloro che affermano che il loro stipendio permette loro di coprire le necessità domestiche solo “qualche volta” (18,2%), rispetto a chi può farlo sempre o più volte (10,5%). L’indagine COTS è stata condotta da ISTAS-CCOO e dal gruppo POWAH dell’Università Autonoma. 

donna stanca

Un totale di 20.328 persone che al 14 marzo avevano un contratto di lavoro hanno partecipato, tra il 29 aprile e il 28 maggio, all’indagine “Condizioni di lavoro, insicurezza e salute nel contesto di COVID-19” (COTS ) svolto da ISTAS-CCOO e dal gruppo POWAH dell’Università Autonoma di Barcellona. Di questi, il 37,8% dichiara di essere andato a lavorare regolarmente durante lo stato di allarme. Di quel gruppo, il 13,1% afferma di averlo fatto ad un certo punto con sintomi come febbre, tosse, difficoltà respiratorie o malessere generale. Questo dato è più alto tra coloro che lavorano in settori considerati essenziali (14,2%) rispetto ai non essenziali (6,4%) e raggiunge il 18,1% tra le persone che hanno svolto compiti di servizio pubblico durante la pandemia (18 , 1%). (figura 9). D’altra parte, 

grafico 9

 

Anche la percentuale di persone che si sono recate a lavorare con sintomi era superiore al 13,1% complessivo in alcune occupazioni: molto più alta nella sanità sociale (1 partecipante su 4 tra gli assistenti infermieristici e un po ‘meno tra gli assistenti geriatrici e il personale infermieristico) ma anche tra il personale dei negozi di alimentari e di prima necessità, mercati e supermercati (17,2%) e delle pulizie (16,4%) (figura 11)

grafico 11

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