COP28: a year on from climate change funding breakthrough, poor countries eye disappointment at Dubai summit

Lisa Vanhala, UCL

At the COP27 summit in Sharm El-Sheikh, Egypt, an agreement to establish a loss and damage fund was hailed as a major breakthrough on one of the trickiest topics in the UN climate change negotiations. In an otherwise frustrating conference, this decision in November 2022 acknowledged the help that poorer and low-emitting countries in particular need to deal with the consequences of climate change – and, tentatively, who ought to pay.

This following year has seen more extreme weather records broken. Torrential rains created flooding which swept away an entire city in Libya, while wildfires razed swathes of Canada, Greece and the Hawaiian island of Maui.

As these events become routine worldwide, the case grows for an effective fund that can be set up quickly and help those most vulnerable to climate change. But after a year of talks, the fund has, so far, failed to materialise in the way that developing countries had hoped.

I’m writing a book on UN governance of loss and damage, and have been following the negotiations since 2013. Here’s what happened after the negotiators went home and what to watch out for when they return, this time at COP28 in Dubai.

Big questions

Many questions were raised and left unresolved in Sharm El-Sheikh. Among them: who will pay into this new fund? Where will it sit? Who will have power over it? And who will have access to the funding (and who won’t)?

A transitional committee with 14 developing country members and 10 developed country members was appointed by the UN to debate these questions after COP27. The committee has met regularly over the last year, but at its fourth meeting at the end of October – scheduled as the last session – important questions surrounding the fund, such as who should host and administer it, remained. Discussions broke down without an agreement.

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Lo scienziato del fuoco spiega cosa significa la tragedia delle Hawaii per il nostro continente infiammabile

Fonte : GreenLeft

Autore: David Bowman

L’incendio dell’isola hawaiana di Maui visto da uno scienziato pirologo australiano che lancia un monito per il futuro del pianeta.L’articolo è stato pubblicato dalla Rivista australiana GreenLeft che ringraziamo

 

Quando ho sentito i resoconti dell’incendio che ha devastato l’isola hawaiana di Maui, mi sono sentito completamente depresso.

Come scienziato del fuoco, so che l’orrore che si sta svolgendo – che   finora ha ucciso 93 persone – è solo l’inizio. È un presagio di ciò che l’Australia e altri paesi sperimenteranno in un mondo più caldo.

Per gli australiani, i rapporti riportano inevitabilmente alla memoria la nostra terribile estate nera nel 2019-20. Come la tragedia di Maui, quegli enormi e incontrollabili incendi boschivi sono stati uno spaventoso scorcio degli intensi incendi che possiamo aspettarci con il peggioramento del cambiamento climatico.

 

 

Il riscaldamento globale – il risultato della combustione di combustibili fossili – significa che gli incendi boschivi diventeranno più frequenti e gravi. Certo, dobbiamo ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Questo è assolutamente ovvio.

Ma dobbiamo fare di più. Gli australiani devono urgentemente adattarsi al nostro infuocato futuro.

Calore e incendi da record

Gli incendi di Maui sono stati  alimentati da  forti venti, vegetazione secca e bassa umidità. Le persone sono state costrette a correre nell’oceano per sicurezza. Centinaia di strutture sono state danneggiate o distrutte e molte persone sono rimaste ferite.

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“Siamo dannatamente sciocchi”: lo scienziato che ha suonato l’allarme climatico negli anni ’80 avverte del peggio in arrivo

Fonte : Znetwork che ringraziamo ( l’articolo è pubblicato con licenza Creative Commons 4. La traduzione in italiano è stata effettuata con  google translator. Per un utilizzo professionale e/o di studio raccomandiamo la lettura del testo originale : clicca QUI 

James Hansen, che ha testimoniato al Congresso sul riscaldamento globale nel 1988, afferma che il mondo si sta avvicinando a una “nuova frontiera climatica”

Il mondo si sta spostando verso un clima surriscaldato mai visto negli ultimi 1 milione di anni, prima dell’esistenza umana, perché “siamo dannatamente pazzi” per non aver agito in base agli avvertimenti sulla crisi climatica, secondo James Hansen, lo scienziato statunitense che ha allertato il mondo sull’effetto serra negli anni ’80.

Hansen, la cui testimonianza al Senato degli Stati Uniti nel 1988 è citata come la prima rivelazione di alto profilo del riscaldamento globale, ha avvertito in una  dichiarazione  con altri due scienziati che il mondo si stava muovendo verso una “nuova frontiera climatica” con temperature più alte che mai negli ultimi milioni di anni, portando impatti come tempeste più forti, ondate di caldo e siccità.

Il mondo si è  già  riscaldato di circa 1,2°C dall’industrializzazione di massa, causando una probabilità del 20% di avere il tipo di temperature estive estreme attualmente osservate in molte parti dell’emisfero settentrionale, rispetto a una probabilità dell’1% 50 anni fa, ha affermato Hansen.

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Crisi climatica: il riscaldamento di 1,5°C può innescare più punti di non ritorno

Fonte: Antropocene.org che ringraziamo 

 

 

 

Secondo una nuova e importante ricerca pubblicata sulla rivista «Science», se la temperatura globale dovesse aumentare di oltre 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, potrebbero verificarsi diversi punti di non ritorno per il clima. Anche ai livelli attuali di riscaldamento globale, il mondo rischia già di superare cinque pericolosi punti climatici di non ritorno e i rischi aumentano per ogni decimo di grado di ulteriore aumento delle temperature.

Un team di ricercatori internazionali ha sintetizzato le prove relative ai punti di non ritorno, le loro soglie di temperatura, i tempi e gli impatti, grazie a una revisione completa di oltre 200 articoli pubblicati dal 2008, quando i punti di non ritorno climatici sono stati definiti per la prima volta in modo rigoroso. L’elenco dei potenziali punti di non ritorno è passato da nove a sedici.

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Legambiente ER. Emilia-Romagna a tutto gas: rinnovabili fanalino di coda

 

Fonte:  Legambiente Emilia-Romagna

Bonaccini commissario straordinario al MiTe: “se davvero vuole puntare sulle rinnovabili, che insista per sbloccare prima i progetti fermi in autorizzazione piuttosto che accelerare l’avanzata del fossile”.

Patto per il Clima e il Lavoro sancisce regione al 100% da energia rinnovabile al 2035: l’obiettivo nel concreto non si vede nemmeno con il cannocchiale; in atto scelte che ci ancorano al fossile almeno fino al 2040. 

La Regione sta gravemente mettendo a repentaglio il futuro delle nuove generazioni e del pianeta, per alimentare gli interessi della lobby del fossile. 

 

Le rinnovabili si confermano il fanalino di coda nella strategia energetica della regione: lo conferma la nomina di Stefano Bonaccini come Commissario Straordinario per l’installazione del Rigassificatore  in Emilia-Romagna e l’accordo Stato-Regione per la concessione di estrazione di metano a Selva Malvezzi, Budrio (BO). Decisioni scellerate e anacronistiche, che ci ancorano a un passato legato al fossile e ci allontanano sempre di più dall’obiettivo di una regione 100% rinnovabile, obiettivo per altro fissato dalla Regione stessa nel Patto per il Lavoro e il Clima che oggi non perde occasione per smentirsi.

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Fuoriuscire dalle emergenze . Percorsi e ricorsi. Podcast di Diario Prevenzione – 20 maggio 2022 – Puntata n° 98 *

 

Di cosa parliamo in questa puntata ?

– … E dopo il COVID? La formazione come strumento e metodo per una prevenzione efficace

– INAIL. PREVENZIONE E CONTROLLO DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA PER I LAVORATORI ESPOSTI NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI E SUINICOLI
– Quaderno nucleare Armi nucleari degli Stati Uniti, 2022 Hans M. Kristensen& Matt Korda
– Covid 19 e equità: sintesi delle evidenze
– Il rapporto OXFAM sul lavoro in Italia .DISUGUITALIA Ridare valore, potere e dignità al lavoro
– Una storia di lotte per la salute e la sicurezza in fabbrica

… E dopo il COVID? La formazione come strumento e metodo per una prevenzione efficace

 


 

Tavola rotonda in diretta web organizzata dall’o.d.v.
“Scienza Medicina Istituzioni Politica Società”,
in collaborazione con LAB – I Dialoghi della Bolognina.

mercoledì 18 maggio h.21

INTERVENTI

La formazione per la prevenzione, com’è e come dovrebbe essere
Giovanni Leonardi, Agenzia nazionale della Sanità pubblica della
Gran Bretagna

La formazione dei medici per far fronte ai rischi sanitari ambientali e climatici
Claudio Lisi, Coordinatore GdL Ambiente e Salute” della Federazione Nazionale di Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri

L”Università e Ambiente e Salute: Ricerca, Formazione e Terza Missione

Maria Pia Fantini, Direttrice della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Bologna

Le proposte della Task Force Ambiente e Salute del Ministero della salute
Margherita Ferrante, Docente di Sanità Pubblica, Università di Catania

La formazione dei medici del territorio e la prevenzione primaria ambientale
Roberto Romizi, Presidente di “Medici per l”Ambiente, ISDE”

Prima e dopo il Covid: una prevenzione mancata, quella climatica
Ugo Mazza, Associazione “Meglio così, Solare qualità urbana”, Bologna

COORDINAMENTO
Paolo Lauriola, Coordinatore “Rete Italiana Medici Sentinella per l”Ambiente” (FONMCeO-ISDE).Co-autore del libro “E dopo il Covid…? Proteggere
la salute e l’ambiente per prevenire le pandemie e altri disastri” Edizioni Intra, Pesaro 2022

A quando una vera integrazione Ambiente Salute?

di Fabrizio Bianchi e Mauro Valiani

Fonte Quotidiano Salute che ringraziamo 

Il recente decreto legge n.36, che ha perso per strada l’incremento di risorse per il personale dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, merita di essere discusso. Diversi si sono già pronunciati su QS, ad esempio Bisceglia e altri per l’Associazione Italiana di Epidemiologia, noi ci proponiamo di offrire qualche spunto sulla prevenzione necessaria e quindi sui Dipartimenti di Prevenzione (DP) delle ASL, così essenziali e così bistrattati.

 

La pandemia ha evidenziato, ancora una volta, la natura interconnessa dei nostri sistemi planetari, dalle origini zoonotiche delle malattie e la loro relazione con il nostro ambiente naturale e sistemi alimentari, alla maggiore vulnerabilità alle malattie derivante dalla disuguaglianza sociale, dall’inquinamento dell’aria e altri fattori ambientali. Come ci indicano le grandi Agenzie dell’OMS, la strategia One Health è un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Il raggiungimento della visione di sostenibilità dell’UE per il 2050 è veramente messo a rischio dai venti di guerra, ma anche dalla mancanza di volontà politiche e cambiamenti decisivi nel carattere e nell’ambizione delle azioni.

Assai rilevante è la recente approvazione della legge costituzionale che modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione, introducendo tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’attenzione al destino delle future generazioni. Effettivamente, per i costituenti, nel dopoguerra, l’attuale emergenza ambientale e climatica non era immaginabile. Questo nuovo quadro ‘chiama’ una revisione delle politiche e delle pratiche, delle risorse e dell’assetto organizzativo dei servizi pubblici più direttamente connessi con questa materia.

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CINGOLANI E L’ARIA CHE TIRA

 

Fonte: La Bottega del Barbieri che ringraziamo come ringraziamo l’amico Mario Agostinelli autore dell’articolo.

Nelle funamboliche esternazioni del ministro Cingolani, pochi ravvisano lo spirito di fondo che ne anima le intenzioni. Negli ambienti che non rinunciano alla crescita a qualunque costo ed a prolungare una cultura dello spreco, si sta affermando una visione del futuro disdegnata dal tutto il mondo delle scienze naturali e temuta da quello dell’ecologia integrale. Tollerare, cioè, ingiustizie sociali insanabili e mettere in conto condizioni climatiche ostili alla sopravvivenza e alla rigenerazione della biosfera, pur di non rinunciare alla combustione dei fossili o al nucleare “riabilitati” da un intervento a valle del ciclo, con la pretesa insensata di ridurre le scorie di una produzione energetica insostenibile.

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Le quattro “i” di un nuovo contratto socio-ecologico

Dal sito di Etui questo articolo importante come riferimento rispetto a politiche ambientali che siano consonanti con obiettivi sociali di maggiore equità e di superamento delle diseguaglianze: un’equazione difficile da risolvere…. 

FONTE ETUI

Un “contratto socio-ecologico” è apparso come mezzo per progettare congiuntamente le transizioni necessarie per uscire dalle crisi attuali e spostarsi verso paradisi più sicuri. Ma cosa implica questo?

Le sfide della transizione ecologica sono immense. Per affrontarlo è necessario un contratto socio-ecologico . La nozione di “contratto” implica la conclusione di un accordo forte, con una prospettiva a lungo termine, che funzioni per tutte le parti coinvolte. Non può essere un accordo vulnerabile ai capricci della politica quotidiana.

Fondamentalmente, un tale nuovo contratto dovrebbe legare insieme le dimensioni sociale e ambientale della transizione, compreso il modello di business sottostante. Questo è stato il tema di una conferenza organizzata a febbraio dall’Istituto sindacale europeo e dalla Confederazione europea dei sindacati.

Il contratto ha quattro dimensioni, o quattro “i”: idee, interessi, istituzioni e indicatori.

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C’è una svolta “verde” in Cgil?

Fonte La Bottega del Barbieri

 

Produzione e consumo di energia non sono infiniti

Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c’è il rischio della decrescita infelice

di Mario Agostinelli e Andrea Ranieri (*)

 

La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo – di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni – assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.

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Rivitalizzare l’attenzione sul disastro globale dell’amianto – registrazione audio pubblicata su SciPod

Fonte Icoh


La sintesi audio del documento “Global Asbestos Disaster” del dott. Jukka Takala et al. è ora disponibile sul canale di comunicazione scientifica SciPod. Link: https://www.scipod.global/revitalising-attention-on-the-global-asbestos-disaster-dr-jukka-takala/ .

Nei paesi sviluppati vi è un’ampia consapevolezza dei pericoli dell’amianto e dei rischi che comporta se scoperto nei nostri ambienti di vita o di lavoro. Potrebbe essere scioccante apprendere che l’amianto provoca ancora circa 255.000 decessi ogni anno in tutto il mondo, con la stragrande maggioranza – l’89% – per esposizione lavorativa. Sebbene l’amianto sia vietato in 55 paesi, è ancora ampiamente utilizzato nei paesi in via di sviluppo e oltre due milioni di tonnellate vengono consumate ogni anno, portando a ciò che descrivono il dottor Jukka Takala, presidente della Commissione internazionale per la salute sul lavoro e un team internazionale di autori come un disastro globale dell’amianto.

Il documento originale “Global Asbestos Disaster” è disponibile all’indirizzo: https://www.mdpi.com/1660-4601/15/5/1000 .

Ecoscienza 6/2019 disponibile online qui

In questo numero:

Ecoscienza 6/2019

Per una mobilità più sostenibile
Tendenze, progetti e prospettive per migliorare il modo di spostarsi

Sono tante le aspettative di miglioramento della mobilità, un elemento che caratterizza fortemente, nel bene e nel male, la nostra società. Le sfide sono di varia natura: sono da tenere in conto aspetti tecnologici, risvolti normativi e di regolamentazione, questioni economiche, considerazioni rispetto alle abitudini e agli stili di vita. Nel servizio presentiamo alcune analisi e riflessioni sullo stato della mobilità in Italia e sulle prospettive di evoluzione del settore.

Rilievo geodetico e difesa del territorio
Il progetto di Rete geodetica integrata dell’Emilia-Romagna 

L’accurato rilievo della morfologia, in particolare della quota del territorio e del livello del mare rispetto a un unico sistema di riferimento, è di particolare importanza per ridurre il rischio legato all’erosione costiera e a inondazioni fluviali e marino-costiere, legati anche all’innalzamento del livello del mare e alla subsidenza. In Emilia-Romagna è stato presentato il progetto Gin (Geodetic integrated network) per la realizzazione di una Rete geodetica integrata regionale.

Tra gli altri argomenti di attualità trattati alcune riflessioni a caldo post Cop25 a Madrid sul clima, le anomalie meteo in novembre e il record di precipitazioni, novità nella lotta ai reati ambientali, i risultati del primo esercizio di interconfronto sul Biota tra i laboratori Snpa.

Altre novità nelle rubriche Legislazione news, Osservatorio ecoreati, Libri, Eventi

 

“La bicicletta diventa simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia urbana in grado di riconciliare la società con se stessa.” Marc Augé

Vai a Ecoscienza 6/2019, versione sfogliabile
Scarica Ecoscienza 6/2019 (pdf)

….. il global warming è una cospirazione dei rettiliani …..ecco le prove

 

I rischi  derivanti dal cambiamento climatico sono testimoniati da report di ricerca, dalle previsioni di istituti di ricerca autorevoli, da appelli di scienziati climatologi e di altre discipline che concordano sulla gravità del problema e sulla necessità che i decisori politici assumano con responsabilità il compito di fare fronte ad una sfida drammatica.
Per questo motivo con continuità su Diario Prevenzione segnaleremo report, saggi e articoli su questo tema per offrire ai lettori un materiale selezionato ed affidabile.
Oggi segnaliamo due articoli pubblicati da Nuova Ecologia che ci sono sembrati utili per fare chiarezza sullo stato dell’arte dell’informazione in materia nel nostro paese. Purtroppo scontiamo un dato preoccupante rispetto ad altri paesi. Nel nostro paese non esiste una sufficiente presenza nei media di professionisti dell’informazione preparati a gestire l’informazione scientifica. Troppo spesso l’incompetenza sulla materia agevola lo scivolamento verso la superficialità e la riproduzione meccanica di luoghi comuni. Questo è un aspetto preoccupante ma rimediabile. Quello che non è tollerabile è il fatto che vi siano quotidiani e canali della destra populista che hanno sposato la causa negazionista, l’irrisione dei militanti pro ambiente .  La  pratica della fabbricazione e diffusione di fake news è rilevabile in diversi periodici e quotidiani  di quest’area.

Nessuna indulgenza verso chi alimenta con consapevolezza la diffusione di notizie false: nel mondo dell’informazione è in atto una guerra tra chi sceglie la correttezza e la qualità delle notizie da pubblicare e chi gioca sulla diffusione di fakenews.  E’ compito dei professionisti seri dell’informazione disvelare  le fake news verificando l’attendibilità e l’autorevolezza di tutte le fonti prima di diventare riproduttori  passivi  di false rappresentazioni del fenomeno dei cambiamenti climatici.Diario Prevenzione darà il suo piccolo contributo alla correttezza con la segnalazione di articoli, documenti autorevoli sul tema.

Il primo articolo che segnaliamo ha un titolo affascinante :
” Il global warming è una cospirazione ordita dai rettiliani. Ecco le prove “

Il secondo articolo
” Sos ghiacciai: l’appello firmato da 38 scienziati di tutto il mondo ? “

Buona lettura. Torneremo presto sul tema in particolare per individuare le correlazioni tra cambiamenti climatici e gestione della sicurezza nel lavoro in diversi comparti settori produttivi.

Una giusta transizione verso un’economia più verde, più equa

Pubblichiamo questo articolo di Tim Sharp apparso sul sito del sindacato inglese TUC. Sarebbe importante  se le riflessioni espresse in questo articolo divenissero materia di confronto anche nel movimento sindacale italiano… Editor

 

 

FONTE TUC 

Autore
Data di rilascio
08 lug 2019
traduzione : Google Translator
Questa dichiarazione

Il passaggio alla decarbonizzazione della nostra economia ha il potenziale per offrire interessanti opportunità per il Regno Unito. Ma al momento, la mancanza di una politica di transizione globale o di una strategia industriale coerente per fornire il sostegno e l’impulso necessari per il cambiamento, significa che molti posti di lavoro ben retribuiti e altamente qualificati sono minacciati.

Il movimento sindacale sosterrà la lotta contro il cambiamento climatico per aiutare a proteggere il pianeta per i nostri figli e nipoti. E difenderemo quei lavoratori il cui lavoro è a rischio se non intraprendiamo azioni per rendere la transizione verso un’economia più verde solo una. Questa semplice dichiarazione di transizione stabilisce una serie di politiche ambiziose e impegnative che sosterranno questi lavoratori. Chiediamo al governo di attuare queste raccomandazioni in entrambi gli interessi dei lavoratori di questo paese e del pianeta in cui tutti viviamo.

La necessità di una transizione giusta

Il movimento sindacale riconosce che esistono prove scientifiche schiaccianti della necessità di decarbonizzare la nostra economia. Le industrie ad alta intensità energetica, compresi i settori dell’energia, dei trasporti, manifatturiero e delle costruzioni, saranno fondamentali per raggiungere questa transizione, ma questo è un progetto che richiederà cambiamenti in tutta la nostra economia, ei membri del sindacato hanno le competenze per realizzarlo. Le voci dei lavoratori che sono in prima linea nell’affrontare la sfida dei cambiamenti climatici devono essere al centro di una transizione positiva verso l’economia di cui avremo bisogno.

Le voci dei lavoratori che sono in prima linea nell’affrontare la sfida dei cambiamenti climatici devono essere al centro di una transizione positiva verso l’economia di cui avremo bisogno

Un tale cambiamento, se lasciato al solo mercato, potrebbe avere enormi conseguenze economiche e sociali, in termini di posti di lavoro, competenze e conoscenze perse e comunità distrutte. Abbiamo bisogno di un approccio diverso al fallito approccio neoliberale degli anni ’80, che ha lasciato i lavoratori alle spalle e le comunità devastate.

Il movimento sindacale internazionale ha chiesto una “transizione giusta” verso un’economia più verde, in cui nuovi posti di lavoro altrettanto validi in termini di retribuzione, competenze, pensioni e riconoscimento sindacale sostituiscono quelli persi. A seguito della pressione sindacale, il concetto di transizione giusta è stato incluso nel preambolo dell’accordo di Parigi del 2015 e nella dichiarazione della Slesia ai colloqui sul clima del 2018.

Il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio ha implicazioni e opportunità potenziali per la politica industriale e la qualità dell’occupazione. Tuttavia, le opportunità non saranno realizzate a meno che i lavoratori più interessati non abbiano un posto al tavolo dove vengono prese le decisioni chiave. Dovrebbero essere in grado di contribuire alle soluzioni, non essere dette dopo che le decisioni sono state prese.

E, naturalmente, i cambiamenti climatici colpiscono i nostri fratelli e sorelle – in particolare le nostre sorelle – in tutto il mondo. Le cifre delle Nazioni Unite mostrano che l’80 per cento di coloro che sono sfollati a causa del cambiamento climatico sono donne. L’accordo di Parigi identifica soluzioni globali a un problema globale; ha fornito disposizioni specifiche per l’emancipazione delle donne, riconoscendo che esse sono colpite in modo sproporzionato dai cambiamenti climatici e una transizione giusta deve garantire equità e superare le ingiustizie vissute da tutti i lavoratori, uomini e donne, giovani e anziani, bianchi e neri, nel globale nord e sud.

Il cambiamento climatico colpisce i nostri fratelli e sorelle – in particolare le nostre sorelle – in tutto il mondo. Le cifre delle Nazioni Unite mostrano che l’80 per cento di coloro che sono sfollati a causa del cambiamento climatico sono donne

Fare una giusta transizione

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Emilia-Romagna, come documentare quanto e dove ha grandinato?

 

FONTE SNPAMBIENTE

Il 22 giugno scorso l’Emilia-Romagna è stata interessata da grandinate intense, raffiche di vento e forti precipitazioni. Arpae ha redatto la relazione tecnica di questo rilevante evento meteorologico nel quale è disponibile la mappa delle località più colpite. Nel caso di richiesta risarcimento danni può essere utile attestare che il proprio comune risulti tra le località maggiormente colpite. Sul sito Arpae il modello di richiesta di certificazione da inviare all’Agenzia che procederà a una verifica gratuita dei dati. Leggi il resto 

ILO:Aumento dello stress da calore previsto potrà portare una perdita di produttività equivalente a 80 milioni di posti di lavoro

 

Si prevede che il riscaldamento globale determini un aumento dello stress da calore correlato al lavoro, danneggiando la produttività e causando perdite di lavoro e economiche. I paesi più poveri saranno i più colpiti.

GINEVRA (Notiziario ILO) – Secondo un nuovo rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), si prevede che l’aumento dello stress termico derivante dal riscaldamento globale porti a perdite di produttività globale pari a 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nell’anno 2030.

Le proiezioni basate su un aumento della temperatura globale di 1,5 ° C entro la fine di questo secolo suggeriscono che nel 2030, il 2,2% del totale delle ore di lavoro in tutto il mondo andrà perso a causa di temperature più elevate, una perdita equivalente a 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Questo è equivalente alle perdite economiche globali di $ 2.400 miliardi di dollari.

Inoltre, il rapporto avverte che si tratta di una stima prudente perché presuppone che l’aumento della temperatura media globale non supererà 1,5 ° C. Assume anche che il lavoro in agricoltura e nell’edilizia – due dei settori più colpiti dallo stress da calore – avvenga all’ombra.

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Salvini in Veneto dice parole senza senso: “Il disastro è colpa dellʼambientalismo da salotto”

Salvini e la Lega sono stati con Berlusconi per più di vent’anni al governo. Il suo partito è responsabile assieme a Forza Italia di molte nefandezze e condoni rispetto alle politiche d’intervento per la tutela ambientale del territorio. La negazione del cambiamento climatico, il taglio delle spese per la manutenzione del territorio sono in continuità da più di vent’anni di governi di centro destra che hanno volutamente ignorato la questione ambientale. Anche il centro sinistra, purtroppo,  ha responsabilità rispetto all’ambiente proporzionali alla minore durata dei governi. Le affermazioni di Salvini sull’ambientalismo da salotto che sarebbe responsabile dei disastri di questi giorni rappresentano la cifra di questo personaggio grottesco, ignorante e pericoloso che non sa assumere le proprie responsabilità rispetto alla situazione drammatica in cui è questo disgraziato paese. In Veneto peraltro la Lega è al governo della Regione da diversi decenni… La miseria politica e culturale del “sovranismo” salviniano rispetto alla questione ambientale e ai cambiamenti climatici è palese: non esiste una soluzione dei cambiamenti climatici a livello di ciascuna nazione. La questione ambientale è il banco di prova della miseria della proposta politica dei leghisti che vorrebbe isolare l’Italia rispetto a problemi che possono trovare soluzione solo a livello di politiche energetiche, produttive e di gestione del territorio transnazionali la cui scala minima è la Regione Europa… Per affrontare questi problemi sono necessarie scelte coordinate a livello internazionale, la propaganda cialtrona come quella di Salvini è solo una intollerabile perdita di tempo. Editor ( Gino Rubini )

Evoluzione umana e cambiamento climatico

Autore: Bruno Giorgini 

Fonte: Inchiestaonline

 

Il riscaldamento globale non solo è in atto, ma galoppa tanto che persino Trump se ne è accorto. E sembra andare più svelto di quanto i modelli abbiano fin qui raccontato e previsto. L’aumento della temperatura (che altro non è se non l’energia cinetica media delle molecole di gas) da’ luogo a venti turbinosi e spesso imprevedibili, che tra l’altro alzano onde di marea impressionanti e poi gli tsunami diventano sempre più frequenti spazzando le coste, e poi l’aumento delle temperatura dei mari produce evaporazione delle acque che sale a formare nuvole sempre più gigantesche, e poi queste nuvole si scaricano con piogge torrenziali, e poi le piogge diventano acide distruggendo flora e fauna, e poi la banchisa polare si scioglie – questa estate al polo le temperature hanno oscillato tra 30 e 34 gradi, un caldo mai visto – aumentando il livello delle acque, e poi molte specie muoiono andando prossime all’estinzione e poi là dove c’era erba verde e alberi si fa il deserto, e poi le carestie si moltiplicano, e poi milioni di persone migrano, e poi il mondo si dissemina di guerre e poi i ghiacciai raggrinziscono eccetera eccetera.

Tutto questo groviglio s’annoda, s’ingrossa, s’ amplifica e moltiplica di giorno in giorno mentre l’umanità per ora appare parecchio claudicante a farvi fronte. Anzi qualcuno ci specula e guadagna masse enormi di danaro lucrando su fame, malattie nuove e vecchie, rapine finanziarie, commerci di armi e droga a tonnellate (migliaia), illegalità e violenze, mostruose diseguaglianze, schiavitù delle forze di lavoro, calpestando diritti e libertà individuali quanto collettivi. Fino in Europa questo avviene, e giova tenerlo a mente. Quindi che fare, se fare qualcosa è ancora possibile, almeno per contenere le soglie critiche dentro un quadro di sostenibilità – un aumento che non vada oltre un grado e mezzo ci dice l’ultimo rapporto del gruppo internazionale IPCC (ottobre 2018). Sembrerebbe una causa comune per l’intera umanità, eppure stenta a assumere una dimensione globale capace di permeare l’intera vita associata della specie homo. Per esempio gli accordi tra gli stati, come l’ultimo siglato a Parigi per limitare le emissioni di gas serra, recentemente denunciato da Trump che se ne è tirato fuori, oltre a non coinvolgere tutti i paesi, faticano a essere applicati, trovandosi spesso scappatoie per non rispettare oggi le regole appena definite ieri. Su questo piano soltanto una pressione continua e massiva dell’opinione pubblica può, potrebbe, in qualche modo sollecitare maggiore impegno e celerità di esecuzione, perché a poco servirà chiudere la stalla dopo che i buoi siano scappati.

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Inquinamento da mercurio: livelli troppo alti in fiumi e laghi d’Europa

FONTE ARPAT CHE RINGRAZIAMO

Il mercurio è ancora una fonte importante di inquinamento in Europa, nonostante l’Unione europea ne abbia vietato o limitato l’uso in molti prodotti e processi industriali

Inquinamento da mercurio: livelli troppo alti in fiumi e laghi d'Europa

Infografica EEA

Le emissioni di mercurio continuano a rappresentare un rischio significativo per l’ambiente e per la salute umana, secondo un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), che descrive il problema dell’inquinamento proveniente da questo metallo pesante e le sfide necessarie per affrontare la questione a livello globale. Il rapporto, con l’ausilio di immagini, infografiche e grafici, rappresenta anche uno strumento divulgativo per il largo pubblico che vi può trovare utili informazioni e suggerimenti per ridurre la propria esposizione.

Storicamente, l’uso e le emissioni di mercurio in Europa sono stati elevati, tuttavia, negli ultimi decenni, sono state adottate misure per minimizzare entrambi, ad esempio limitando o vietando l’uso e imponendo limiti alle emissioni. Sfortunatamente, a livello mondiale, a causa di attività come la combustione del carbone e l’estrazione dell’oro, le emissioni sono aumentate ed hanno avuto un impatto anche sull’ambiente europeo, data la natura globale dell’inquinamento da mercurio: circa il 50% di questo metallo depositato ogni anno in Europa proviene infatti da paesi extraeuropei, con il 30% proveniente solo dall’Asia.

Le attività antropogeniche che emettono mercurio possono essere suddivise in due categorie (vedi immagine a seguire):

  • processi produttivi che utilizzano intenzionalmente mercurio (ad esempio produzione di cloruro di vinile),
  • altri processi che non utilizzano intenzionalmente il mercurio, ma determinano comunque il suo rilascio in ambiente, generalmente in quanto impurità in una materia prima (ad esempio la combustione di combustibili solidi come carbone, lignite e legno, che rilascia involontariamente il mercurio).

Fonti antropogeniche del mercurio

Uno dei principali problemi con il mercurio è poi la sua persistenza: una volta che viene rilasciato nell’ambiente, ad esempio attraverso la combustione del carbone, può circolare attraverso l’aria, la terra, l’acqua e gli animali per migliaia di anni. Nell’immagine a seguire è rappresentato il suo ciclo globale (cliccando sull’immagine si può ingrandire).

Ciclo globale mercurio

In atmosfera, gli attuali livelli di mercurio sono fino al 500% sopra quelli naturali. Negli oceani, le concentrazioni sono circa 200% sopra i livelli naturali.

Proprio gli oceani, i fiumi e i laghi sono messi maggiormente a rischio da questo metallo pesante, che qui vi assume una forma altamente tossica (metilmercurio) che viene facilmente assorbita dagli animali, compresi i pesci, e si sposta sulla catena alimentare fino a raggiungere gli umani. Questo infatti è il modo principale in cui gli esseri umani sono esposti al mercurio, che rappresenta un rischio particolare e significativo per lo sviluppo neurologico di feti, neonati e bambini.

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Snpa e Club di Roma, scenari globali e prospettive nazionali

FONTE AMBIENTEINFORMA

Nella Sala del Cenacolo presso il Senato a Roma il secondo evento preparatorio verso la Conferenza nazionale Snpa 2019. Un confronto con il think tank nel suo 50 anniversario su dati, conoscenza ambientale, prospettive future.

E’ possibile intraprendere la strada della sostenibilità con una popolazione, un impatto ambientale e un degrado sociale in crescita? Grazie alla disponibilità di dati e statistiche ambientali, il Club di Roma ha elaborato scenari al 2030 e 2050 rispetto ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Le proiezioni mostrano come, proseguendo nell’attuale situazione, Usa ed Europa non raggiungeranno gli obiettivi, mentre la Cina, partita dal basso, tenderà a centrarne molti più di quelli odierni.

La produzione di dati e statistiche ambientali è una delle principali attività del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e consente di monitorare la situazione ambientale in Italia. In preparazione alla Conferenza nazionale SNPA del febbraio 2019, il Sistema ha organizzato a Roma il 19 ottobre, presso il Senato, un momento di confronto con chi questa conoscenza ambientale la mette a frutto per delineare scenari globali. L’occasione è stata il 50° anniversario del Club di Roma, il think tank fondato da Aurelio Peccei, che a distanza di mezzo secolo lancia un nuovo allarme sulla sostenibilità del nostro pianeta.

Gli scenari descritti nel volume “Come on!” mostrano una crisi ambientale strettamente connessa a quella sociale, politica, economica e morale. Sistemi economici stretti dai dettami della finanza, guerre e lotte intestine, povertà, disoccupazione e migrazioni di massa: tutto concorre ad aggravare le disuguaglianze e gli squilibri ecologici, lasciando milioni di persone in uno stato di paura e di disperazione.

Come descritto da Ernst Ulrich von Weizsäcker, co-presidente del Club di Roma, siamo passati in poco tempo da un mondo “vuoto” ricco di natura e con scarsa presenza umana, ad uno “pieno” povero di biodiversità e straripante di esseri umani, prodotti tecnologici e rifiuti. A partire dalla metà del secolo scorso, è iniziata la cosiddetta “grande accelerazione” (the great acceleration), che ha portato il mondo ad un incremento continuo e straordinario  del numero di esseri umani, allo sfruttamento energetico, alla crescita delle aree urbane, dei veicoli, dell’uso dell’acqua, alla deforestazione e alla  perdita di suolo. Nonostante i grandi progressi scientifici dell’umanità, non sappiamo come potrebbe reagire il pianeta se supereremo quella soglia critica oltre la quale si possono innestare effetti devastanti.

Cinque sono le azioni urgenti da mettere in campo, secondo Jorgen Randers, accademico norvegese tra gli autori di “The limits to Grow” nel 1972. Smettere di usare combustibili fossili entro il 2050, trasformare in modo sostenibile l’agricoltura, combattere la povertà utilizzando il metodo cinese – ad oggi il più efficace in base ai dati empirici, operare una ridistribuzione del reddito (basterebbe utilizzare l’1-2% del Pil globale), così che l’aumento del benessere produca una riduzione della fertilità anche nei paesi in via di sviluppo.

Molte delle sfide ambientali si giocano nei paesi in via di sviluppo e, come ha sottolineato Anders Wijkman, politico svedese co-presidente del Club di Roma, è interessante quanto sta facendo l’Italia con accordi di partnership  per aiutare alcuni paesi del sud del mondo a tagliare le emissioni. Necessaria una rivoluzione in molti settori, dai combustibili fossili all’agricoltura.

Il Sistema nazionale per la Protezione dell’Ambiente è convinto sia urgente operare una riflessione sullo sviluppo sostenibile del nostro Paese, inserito nel contesto europeo e mondiale, a partire dagli scenari globali descritti in “Come on!”.

Prossimo appuntamento preparatorio verso la Conferenza nazionale Snpa è a Palermo il 5 e 6 dicembre 2018 per parlare di servizi ai cittadini, livelli essenziali di tutela e sfide ambientali del Mezzogiorno.

Clima: la cura non sia peggiore del male

fonte Ambienteinforma-sinpa

Entro ottobre il nuovo rapporto IPCC, il panel di scienziati che per conto delle Nazioni Unite segue le vicende dei cambiamenti climatici, sarà pronto.
Un articolo di Micron evidenzia, comunque che, anche per combattere il cambiamento climatico occorrono strumenti sostenibili, ecologicamente e socialmente.

Lo avevano chiesto a Parigi nel dicembre 2015 i rappresentanti dei governi di tutto il mondo. Ora l’IPCC, il panel di scienziati che per conto delle Nazioni Unite segue le vicende dei cambiamenti climatici è pronto. Ed entro il prossimo mese di ottobre rilascerà un rapporto, ci si augura molto dettagliato, su come fare a mantenere l’aumento della temperatura media del pianeta ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era preindustriale e, possibilmente, non superare il livello di 1,5°.

A beneficio di inventario, occorre ricordare che la temperatura è già aumentata di un grado rispetto a duecento anni fa. I margini per un ulteriore aumento senza (troppi) danni è davvero minimo. E gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change avranno da studiare molto per trovare le migliori strategie di prevenzione del cambiamento del clima. Tra queste ci sono, certamente, le “negative emissions technologies”, letteralmente le tecnologie a emissione negativa. Si tratta, in altre parole di strumenti, di diversa natura, che non solo non emettono gas serra, ma li assorbono, sottraendoli all’atmosfera e/o agli oceani.

Ma non tutte le strategie, anche se si dimostrassero efficaci, a iniziare proprio dalle “negative emissions technologies”, sono desiderabili. Mette infatti (giustamente) le mani avanti Dominic Lenzi, un ricercatore del Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change di Berlino, che con un gruppo di colleghi ha scritto un commento o, se volete un avvertimento, sulla rivista scientifica inglese Nature.

Attenzione: prima di consigliare e, soprattutto, di implementare nuove tecnologie – siano esse a emissione negativa o semplicemente carbon free – occorre una sorta di valutazione etica, che tenga conto sia delle possibili conseguenze ambientali che di quelle sociali.

Detto in altri termini: non si può prevenire un evento non desiderato con strumenti non desiderabili. Anche per combattere il cambiamento climatico occorrono strumenti sostenibili, ecologicamente e socialmente.

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Legambiente presenta il rapporto Ecomafia 2018

fonte Legambiente

Nel 2017 boom di arresti per crimini contro l’ambiente e di inchieste sui traffici illegali di rifiuti. Campania ancora una volta in testa per il numero di reati, concentrati per il 44% nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa. Nel settore dei rifiuti la percentuale più alta di illeciti su scala nazionale 17mila le nuove costruzioni abusive. Il fatturato dell’ecomafia sale in un anno del 9,4%, a quota 14,1 miliardi. “Completare la rivoluzione avviata con la legge sugli ecoreati e affidare allo Stato la competenza sulle demolizioni degli abusi edilizi”

Mai nella storia del nostro Paese sono stati effettuati tanti arresti per crimini contro l’ambiente come nel 2017, mai tante inchieste sui traffici illeciti di rifiuti. Dal Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente, presentato questa mattina a Roma, spiccano infatti le 538 ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali nel 2017 (139,5% in più rispetto al 2016). Un risultato importante sul fronte repressivo frutto sia di una più ampia applicazione della legge 68, come emerge dai dati forniti dal ministero della Giustizia (158 arresti,  per i delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, con ben 614 procedimenti penali avviati, contro i 265 dell’anno precedente) sia per il vero e proprio balzo in avanti dell’attività delle forze dell’ordine contro i trafficanti di rifiuti: 76 inchieste per traffico organizzato (erano 32 nel 2016), 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati (otto volte di più rispetto alle 556 mila tonnellate del 2016). Il settore dei rifiuti è quello dove si concentra la percentuale più alta di illeciti, che sfiorano il 24%.

A completare il quadro, un fatturato dell’ecomafia che sale a quota 14,1 miliardi, una crescita del 9,4%, dovuta soprattutto alla lievitazione nel ciclo dei rifiuti, nelle filiere agroalimentari e nel racket animale.

La corruzione rimane, purtroppo, il nemico numero uno dell’ambiente e dei cittadini, che nello sfruttamento illegale delle risorse ambientali riesce a dare il peggio di sé. L’alto valore economico dei progetti in ballo e l’ampio margine di discrezionalità in capo ai singoli amministratori e pubblici funzionari, che dovrebbero in teoria garantire il rispetto delle regole e la supremazia dell’interesse collettivo su quelli privati, crea l’humus ideale per le pratiche corruttive.

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