Dal 26 marzo sarà possibile preparare e distribuire per il consumo di alimenti in cattivo stato di conservazione, insudiciati o invasi da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocivi, con additivi chimici non autorizzati, e con residui di pesticidi tossici per l’uomo; così come scomparirà, tra l’altro, il divieto di importare alimenti non conformi alle nostre leggi.
Verranno abrogate, cioè, tutte le disposizioni della legge alimenti del 1962 che fino ad oggi tutelavano, con sanzioni penali (arresto e ammenda), con la chiusura dello stabilimento per frodi tossiche e con la revoca della licenza o dell’autorizzazione per tutti gli altri casi, la nostra salute, in via preventiva, al fine di «assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura» (Cassazione n. 19686/2018). Lo ha disposto, zitto zitto, il Governo con il decreto legislativo 2 febbraio 2021 n. 27, appena pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’11 marzo, il quale avrebbe, invece, dovuto limitarsi, secondo la legge delega, a dare esecuzione ad alcune disposizioni regolamentari della UE che si occupano solo di disciplinare i controlli ufficiali lungo la filiera agroalimentare e non hanno niente a che vedere con le disposizioni che vengono, invece, abrogate.
Come si sia arrivati a questa abrogazione, non è chiaro. Secondo un tweet della senatrice Loredana De Petris si tratterebbe di un’aggiunta, da eliminare al più presto, voluta dalla Conferenza Stato-Regioni. Di certo, comunque, essa non era contenuta nella bozza di decreto trasmessa dal Governo Conte al Parlamento per il parere prima dell’approvazione definitiva.
Probabilmente non ne sapeva niente neppure il nuovo Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, il quale, due giorni prima della pubblicazione del decreto, il 9 marzo, illustrando alla Commissione Agricoltura del Senato, le linee programmatiche del governo Draghi, si è impegnato, tra l’altro, per «la difesa delle produzioni agroalimentari, la tutela della qualità e della salubrità degli alimenti e il contrasto alle pratiche sleali» nonché a intensificare i controlli antifrode e «per la qualità delle nostre produzioni e per la tutela dei nostri prodotti nel mercato nazionale e sulle piazze»; concludendo che «per migliorare l’attività di contrasto occorre senza dubbio operare una drastica e incisiva semplificazione. In particolare, vi è la necessità di una revisione del quadro di regole sulle sanzioni in modo da renderle più efficaci, maggiormente proporzionate agli illeciti nonché più organiche a livello settoriale. Infatti, occorre riformare il quadro penale dei reati agroalimentari, oggi fermo alle norme del codice del 1930 ed alla legge sull’igiene degli alimenti del 1962». Auspicando, quindi, una sollecita approvazione della proposta Caselli per una incisiva e moderna riforma complessiva del settore agroalimentare; che, però, non può certamente iniziare con l’abrogazione tout court delle uniche norme penali di difesa preventiva oggi esistenti in tema di alimenti.
Ci sarà tempo per capire meglio che cosa è successo e chi è responsabile di questa assurda abrogazione. Ma intanto appare indispensabile rimediare prima che il Paese ne paghi le conseguenze.
Lo si può fare con un decreto legge correttivo; da emanare, però, subito, prima che il 26 marzo, 15 giorni dopo la pubblicazione, il provvedimento di abrogazione diventi operativo. Basterà scrivere che si è trattato di un eccesso da parte del Governo, poiché non aveva ricevuto affatto questa delega da parte del Parlamento; e, quindi, con chiarissima violazione del dettato costituzionale.
Non bastava la pandemia…!
Articolo pubblicato su Il fatto quotidiano