Fonte : Saluteinternazionale
Autore Claudio Beltramello
Il problema delle infezioni rappresenta solo la punta dell’iceberg di molteplici problemi riguardanti gli operatori del SSN, che vivono questa seconda ondata con due sentimenti prevalenti: la rabbia e la rassegnazione.
Guardando la Figura 1 si resta sconcertati. Il personale sanitario sta pagando ancora il più grande tributo di infezioni di COVID-19 nella nostra società. Pari al 4,3% del totale delle infezioni in Italia. Tenendo conto che il personale sanitario nel nostro Paese è inferiore all’1% della popolazione, significa che il rischio infettivo per i sanitari in questa epidemia è di circa 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Per buona pace di quei Direttori generali (pochi per fortuna) che si sono permessi di affermare che il personale sanitario si infetta per lo più “fuori dal servizio”. Se fosse così avremmo una incidenza sovrapponibile alla popolazione generale e invece tale enorme differenza non può essere spiegata interamente con il numero superiore di tamponi al personale sanitario rispetto alla comunità.
Che cosa dunque non sta funzionando? Vediamo di ripercorrere un po’ di storia: nei primi mesi di epidemia vi era il problema sia materiale che “tecnico” riguardo l’uso delle mascherine. Il primo legato all’assenza di approvvigionamenti e alla difficoltà di reperire sul mercato quantità sufficienti sia delle chirurgiche che delle FFP2/3. (Ricordiamo tutti i proclami della Protezione civile sull’imminente arrivo di quantità enormi di mascherine che si spostava di settimana in settimana come per l’arrivo di Godot).
Il secondo problema, quello tecnico-culturale, era legato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ragionavano sul presupposto (allora non dimostrato) che il COVID 19 fosse una malattia trasmissibile solo con droplet (goccioline grandi) e non invece una patologia “air born pura” (trasmissibile facilmente per aerosol). Veniva dunque indicata come utile la mascherina chirurgica solo nei setting di cura dei pazienti COVID positivi (e l’uso delle FFP2 solo durante le manovre invasive come la broncoaspirazione)[1,2]. Ricordiamo che a maggio il protocollo di protezione degli operatori dell’ISS non indicava come universale l’uso delle mascherine chirurgiche da parte di tutti i sanitari in tutti i setting, tanto che, in alcune Regioni, si era al paradosso che la mascherina chirurgica era già obbligatoria fuori dalla propria abitazione e pertanto un sanitario – per seguire tutte le regole – se la sarebbe dovuta togliere entrando in ospedale… Molte voci, sia nazionali che internazionali[3-8], avevano pragmaticamente lanciato l’allarme e suggerito di avere un atteggiamento prudenziale di fronte alle evidenze di numerosissime infezioni (e decessi!) tra il personale sanitario ma non sono stati ascoltati. Sembra un secolo fa ma è solo l’altro ieri e se non si focalizzano gli errori fatti nel passato difficilmente si riescono ad evitare nel futuro. Ed infatti oggi il personale sanitario continua ad infettarsi. In questo momento possiamo però contare su una informazione nuova ovvero che la trasmissione per aerosol di COVID-19 gioca un ruolo cruciale[9-12]. Fa specie che né OMS né ISS abbiano pubblicamente ammesso l’errore di aver dichiarato in modo apodittico il contrario per mesi! Anzi il protocollo ISS di protezione degli operatori è fermo a maggio 2020[13] e ancora indica di non proteggersi affatto o di sottoproteggersi in molti setting (tra le altre cose è ancora menzionata la distanza di un metro come barriera protettiva quando con le evidenze di trasmissione airborn è diventata una pura fantasia). Probabilmente non lo guarda più nessuno ma sarebbe doveroso aggiornarlo.
La sostanza è che adesso le mascherine e i DPI ci sono ma le infezioni al personale avanzano comunque. Come lo spieghiamo?
Evidenze solo empiriche (vi sono numerose testimonianze ma nessuno studio disponibile ad oggi) pare indicare che le infezioni sono numerose in chi lavora in setting “misti” come i Pronto soccorsi, Radiologie, Laboratori e reparti (in teoria) non-COVID, anche se non sono certo risparmiati i reparti totalmente COVID e le terapie intensive. Così come sono ancora molto colpiti i professionisti del territorio e delle RSA. Atteso che questi dati dovrebbero essere oggetto di un urgente studio epidemiologico per capire dove ci si infetta esattamente e per quali motivi, vengono riportate di seguito le ipotesi formulate in un forum di discussione lanciato nella pagina facebook “Salviamo il nostro SSN” collegata alla Fondazione GIMBE. (https://www.facebook.com/groups/salviamossn post del 29 novembre):
- Screening al personale con periodicità insufficiente.
- Attenzione dei professionisti che cala in funzione dell’enorme stanchezza e carichi di lavoro oggettivamente insostenibili.
- Procedure inadeguate o applicate in modo difforme.
- Percorsi sporco-pulito non strutturati in modo adeguato o non rispettati.
- Distanziamento non mantenuto tra professionisti durante le pause caffè e pasti.
- Trasmissione per aerosol molto più rilevante di quanto previsto (in particolare da pazienti ospedalizzati ad elevata carica virale).
- Sovraffollamento delle stanze comuni durante le consegne o negli spogliatoi.
- Barriere meno stringenti nei reparti teoricamente non COVD e quando un paziente invece risulta infettato scatta inevitabilmente un cluster che coinvolge professionisti e altri ricoverati.
- Alcuni slot di mascherine senza certificazione europea.
- Troppe indicazioni confusionarie che non distinguono tra elementi fondamentali e elementi marginali.
- Vestizione e svestizione fatte in modo sbagliato e in questo senso poca/nessuna formazione ricevuta “in presenza”.
- Pazienti che omettono di dire al medico sintomi suggestivi di COVID, pur blandi, per paura di non essere visitati per la patologia di base (riferito soprattutto dai MMG).
- Utilizzo del tampone rapido antigenico per i controlli periodici al personale (anche nelle RSA) e per ammettere i pazienti nei reparti non-COVID e per i controlli periodici degli ospiti nelle RSA.
Su questo punto volutamente elencato come ultimo della lista, ma certamente tra i più menzionati, è utile fare qualche specifica considerazione. Vi sono innumerevoli segnalazioni di pazienti e professionisti classificati come negativi al tampone antigenico rapido che si sono dimostrati in realtà positivi al tampone molecolare eseguito solitamente per persistenza o insorgenza ravvicinata di sintomi patognomonici. Sta emergendo che la sensibilità del tampone antigenico non è sufficiente dando come risultato troppi falsi negativi. Nelle RSA sono stati segnalati numerosi focolai sviluppatisi per questo motivo. L’ISS in una sua nota del 4 novembre scjQuery Migrate (Previously known: 1 Discovered on this page: 0)orso riporta una sensibilità compresa tra il 70-86%.[14] ed inoltre una circolare del Ministero consiglia il tampone molecolare come prima scelta per lo screening degli operatori sanitari e non quello antigenico.[15] Anche il Prof. Crisanti in Veneto ha assunto in merito una posizione molto forte e parla di “groviera dei tamponi antigenici”[16] avendo eseguito uno che ha mostrato una sensibilità del tampone antigenico inferiore al 70%. Molto critico in merito ai tamponi rapidi anche il Prof. Danieli.[17] Pertanto, laddove si sta utilizzando il tampone rapido per ammettere i pazienti negli ospedali o nelle RSA oppure per i controlli periodici dei professionisti, si stanno classificando come negativi da 1 a 3 pazienti/professionisti/ospiti su 10 che invece lo sono con enorme contributo ad alimentare cluster intra ospedalieri. Tanto che in Veneto l’ANAAO ha inviato una diffida legale a tutti i Direttori generali delle ULSS e Aziende Ospedaliere riguardo il fatto di non continuare a eseguire i controlli periodici agli operatori sanitari con i test rapidi.[18] Due giorni fa il Ministero ha emanato una nota riguardo la sensibilità e specificità dei tamponi antigenici di ultimissima generazione affermando che sono vicini a quelli molecolari. Staremo a vedere. Questa nota conferma certamente che quelli usati fino ad ora non erano adeguati per il setting ospedaliero e di RSA.
Concludendo quello che lascia allibiti è che di fronte a quasi 100.000 infettati, e circa 350 decessi tra i medici, infermieri ed altro personale sanitario (fonte INAIL) nonché di fronte a innumerevoli unità operative messe in crisi a causa dei professionisti malati, non si stia urgentemente e scientificamente affrontando il problema, quasi che tutte queste infezioni e relative malattie e morti siano da considerarsi come un inevitabile effetto collaterale o peggio come una sorta di “rumore di fondo” quasi scontato. Perché da un confronto con numerosi colleghi di tutta Italia Igienisti e Medici del lavoro non risulta che vi sia uno studio approfondito in atto in Italia per comprendere nel dettaglio la questione del personale infettato.
Purtroppo il grave problema delle infezioni rappresenta solo la punta dell’iceberg di numerosi altri problemi riguardanti i professionisti del SSN. Menzioniamo, tra gli altri, quello legato ai carichi di lavoro insostenibili di tutto il personale anche in questa seconda ondata. Vi è una generale percezione di una insufficiente preparazione tecnico-organizzativa messa in atto per affrontare la ripartenza dell’epidemia che ha colto di nuovo tutti impreparati. La carenza di personale resta come il grido d’allarme più frequente ma non sono disponibili dati certi per ogni Regione di quante assunzioni siano state fatte, figura per figura, di quanti siano andati nel frattempo in pensione e di quanti si siano licenziati. Anche su questi dati sarebbe necessaria un’urgente analisi completa del Ministero della Salute. Non è possibile che questi numeri provino a reperirli e a comunicarli solo i Sindacati.
Purtroppo in molti casi, nei mesi estivi si è agito come se la prima ondata avesse generato intrinsecamente esperienza e modalità operative funzionali per l’eventuale arrivo della seconda. E così invece non è stato e ci si è di nuovo ritrovati con lo tsunami a lavorare nell’emergenza assoluta con i casi che in molte Regioni hanno “fatto saltare il banco” e hanno rigettato i professionisti nello stesso – o maggiore – caos della prima ondata.[19] Conseguenza in troppe Regioni: carichi di lavoro ingestibili, monitoraggio dei contatti saltato, assistenza per molti pazienti COVID inadeguata ai bisogni, risposta alle patologie non-COVID ridotta alla gestione delle urgenze. E i conseguenti morti evitabili.[20] A causa delle infezioni e dei carichi di lavoro enormi, nel personale in prima linea si sono generati due sentimenti prevalenti: la rabbia o la rassegnazione verso un sistema incapace di tutelarli e di garantire situazioni lavorative almeno dignitose.[21-23] Pare che i Direttori generali e sanitari, i Direttori di Ospedale, di Distretto, dei Dipartimenti di prevenzione si siano ancora una volta divisi nettamente in due: chi si è messo davvero “al servizio” ed ha fatto l’impossibile per risolvere gli enormi problemi emersi e chi invece si è rinchiuso nelle asettiche torri eburnee ad emanare circolari, ordini di servizio o peggio procedimenti disciplinari (spesso rivolte verso i professionisti che si permetto di dire pubblicamente che il sistema sanitario è al collasso). Dalle narrazioni pare esistere una dicotomia molto polarizzata (bianco o nero) tra i due atteggiamenti quasi che, nell’emergenza, non ci sia spazio per il grigio.
“Non ce la facciamo più” è il grido disperato prevalente dei sanitari impegnati a gestire questa emergenza tanto da arrivare a fare delle richieste ufficiali a Regioni e Ministero di inasprire le restrizioni nella comunità al fine di contenere i contagi.[24] I medici anestesisti hanno dovuto riprendere in mano il documento per la “selezione dei pazienti” per gestire il sovrannumero di persone da intubare rispetto ai posti letto liberi in Terapia intensiva.[25] A tutto questo si è aggiunto in alcuni casi anche il voltafaccia della popolazione che dal considerare eroi il personale sanitario ha iniziato (grazie ai negazionisti dell’epidemia) a considerarlo come nemico. Questa seconda ondata sembra aver sgretolato la fiducia nel sistema pubblico da parte del personale sanitario. Sembra aver annientato la speranza che qualcosa possa migliorare, funzionare a dovere, che i decisori (di tutti i livelli) possano avere sufficienti competenze e autorevolezza per svolgere adeguatamente il loro ruolo. Molti professionisti hanno già lasciato e altri promettono di farlo appena l’emergenza sarà conclusa. Uno studio appena diffuso dall’ANAAO[26] basato su un recente sondaggio nazionale riporta che “solo il 54,3% dei medici ospedalieri di oggi pensa di lavorare ancora in un ospedale pubblico nei prossimi 2 anni. E oltre il 75% ritiene che il proprio lavoro non sia stato valorizzato a dovere durante la pandemia”.
Già prima di COVID il problema della carenza di personale, della cattiva gestione e della scarsa valorizzazione dello stesso era un leitmotiv trasversale a tutti i sistemi sanitari regionali italiani. COVID rischia di portarci all’implosione con una fuga dal pubblico di professionisti esperti tale da mettere in crisi irreversibile il sistema. È urgente una task force nazionale per un piano di rilancio del personale sanitario. Fondamentali le nuove assunzioni, i nuovi contratti collettivi e gli spazi e tecnologie in linea con l’evoluzione scientifica (da cui deriva l’importanza fondamentale di utilizzare il MES) ma non sarà comunque sufficiente se non vi sarà un cambio di paradigma riguardo l’empowerment e lo sviluppo professionale per gli operatori sanitari a tutti i livelli.
Nel pre-epidemia era già evidente in Italia il fenomeno dei “magnet hospital” ovvero strutture o unità operative capaci di attrarre e mantenere professionisti laddove altre dello stesso ambito, anche vicine, faticano a reperire personale ed hanno tassi di fuga elevatissimi. Tutto è già stato ampiamente studiato da trent’anni in altri Paesi e sono studiati gli elementi che “rendono felici” i professionisti a lavorare in un determinato servizio.[27] Citiamo solo i principali:
- Obiettivi definiti, chiari e condivisi e nessuna “agenda nascosta”.
- Meritocrazia come unico parametro per gli avanzamenti di carriera e la premialità in genere.
- Possibilità di esprimere al massimo le proprie potenzialità, interessi ed inclinazioni.
- Ruoli di potere molto chiari ma con possibilità di proposta ed ascolto bottom-up.
- Clima di stima e collaborazione con i colleghi di tutte le professioni presenti nell’U.O.
- Carichi di lavoro elevati ma sostenibili (anche lavorare troppo poco è demotivante).
- Misurazione dei risultati (outcome in particolare) e feedback costante.
Prima di COVID quanti ospedali, distretti, dipartimenti di prevenzione o singole unità operative garantivano ai propri professionisti tutto questo? Quanti Dirigenti, Direttori e Coordinatori sono stati formati e poi valutati nelle cosiddette soft skills per svolgere al meglio il loro ruolo di “gestori di persone”? (Per soft skills si intendono: leadership, teamwork, coaching, problem solving, delega, ascolto attivo, decision making, gestione della riunione, change management e motivazione del personale). L’emergenza COVID ha fatto emergere in modo palese se “chi comanda” ha o meno queste competenze e capacità. E se prima il personale riusciva a tollerare un capo scelto per ragioni “altre”, dopo il COVID questo sarà molto più difficile: tutti i re nudi si sono palesati.
Sarebbe opportuno agire in modo proattivo, anticipare la crisi estrema del personale che verrà completamente a galla alla fine di questa drammatica emergenza COVID che speriamo il vaccino porti presto. Dovremmo prendere atto (prima di sbatterci contro come ad un muro di cemento) che sviluppi di carriera legati ad affiliazioni, raccomandazioni, ecc. a partire dal Coordinatore fino al Direttore generale non saranno più compatibili con la sopravvivenza del sistema. Il “popolo dei professionisti” della Sanità non ci sta più a subire queste ingiustizie e farà sentire la propria voce. (O chi si è rassegnato fuggirà dal sistema, che è peggio).
La rinascita del nostro SSN non potrà certo avvenire se si rinuncerà ai 37 miliardi di euro del MES per la Sanità o in alternativa se si destineranno solo 18 miliardi sui 209 del PNRR (piano nazionale ripresa e resilienza noto come recovery fund). In tal caso addio SSN, si salvi chi può (con la Sanità privata).
P.S.: La cosa incredibile in Italia è che le cose più sensate e serie le dobbiamo ascoltare da chi è pagato per farci ridere: “Un pensiero va a tutti gli operatori sanitari che si fanno un mazzo a capanna tutti i giorni, che rischiano la vita per curarci. Supereroi, altro che Spiderman e Hulk. Io fossi la Marvel a Natale farei uscire ‘I fantastici Asl’ tratto da una storia vera, perché dopo 20 anni di tagli alla sanità, nel momento del bisogno i nostri eroi sono lì, senza orario, senza risparmiarsi, per salvare tutti noi. Tutti, anche quelli che non pagano le tasse. È questo il bello della sanità pubblica, che cura tutti. Stai male? Sei povero? Sei ricco? Eccomi. Sei in regola con l’Irpef? Non sai cos’è un F24? Eccomi. La sanità pubblica non guarda il 730, guarda se hai 37,5. È quasi un paradosso, il nostro servizio sanitario è molto migliore di noi.” Maurizio Crozza.
Claudio Beltramello, Medico Igienista consulente e formatore
Bibliografia
- Istituto Superiore di Sanità. INDICAZIONI AD INTERIM PER UN UTILIZZO RAZIONALE DELLE PROTEZIONI PER INFEZIONE DA SARS-COV-2 NELLE ATTIVITÀ SANITARIE E SOCIOSANITARIE (ASSISTENZA A SOGGETTI AFFETTI DA COVID-19) NELL’ATTUALE SCENARIO EMERGENZIALE SARS-COV-2. ISS, 28 marzo 2020
- WHO. Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease (COVID-19) and considerations during severe shortages. World Health Organization (WHO): Geneva, April 2020
- Giovanni Leoni. Morti evitabili, quelle degli operatori sanitari? Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 28.03.2020
- Nicola Preiti. L’importanza di proteggere gli operatori sanitari. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 24.03.2020
- Proposta di modifiche al documento Rapporto ISS COVID-19 n. 2/2020. Fondazione GIMBE, 23.04.2020
- Chang D, Xu H, Rebaza A, Sharma L, Dela Cruz CS. Protecting health-care workers from subclinical coronavirus infection. The Lancet, February 13, 2020 https://doi.org/10.1016/S2213-2600(20)30066-7
- Fiona Godlee. Protect our healthcare workers. BMJ 2020;369:m1324 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.m1324
- Editorial. COVID-19: protecting health-care workers. The Lancet 2020; 395(10228): p921-1010, e52-e53. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30644-9
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- Istituto Superiore di Sanità. Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-CoV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-10 maggio 2020
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- Carlo Bonini, Michele Bocci, Tommaso Ciriaco, Annalisa Cuzzocrea, Elena Dusi, Giuliano Foschini, Fabio Tonacci, Giovanna Vitale, Corrado Zunno. Perché la seconda ondata della pandemia Covid ha travolto l’Italia. Inchiesta di Repubblica 05.11.2020.
- Monchiero G. Morti che parlano Panorama della Sanità 04.12.2020
- Covid: stressati e frustrati, anche gli endocrinologi a rischio burnout. Panorama della Sanità 30.11.2020
- Antonino Mazzone. Io, medico internista, positivo al Covid ricoverato nel mio reparto. Ecco la mia storia. Quotidiano Sanita’ lettere al direttore del 05.11.2020
- Marco Ceresa. Covid: perché questa volta, per noi operatori, è diverso. Quotidiano Sanita’ lettere al direttore del 16.11.2020
- Intersindacale della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria. Ospedali sovraccarichi non allentare le restrizioni. Panorama della Sanità 27.11.2020
- Covid-19 e gestione del paziente critico. Dalla Siaarti le nuove Raccomandazioni. Panorama della Sanità 04.12.2020
- ANAAO-ASSOMED Covid-19: la grande fuga dagli ospedali. Analisi di un questionario datato 19 dicembre 2020 e divulgato il 7 gennaio 2021
- Sharp R. Maximum employee engagement 2018 (book available at sharpmedicalrecruiting.com )