Cato maior, “l’hommes machines” e il ministero alla solitudine

di Francesco Domenico Capizzi * – 30.09.2020

Old Lives Matter

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ogni periodo di vita possiede un suo proprio carattere: la delicatezza dei fanciulli, la baldanza dei giovani, la serietà dell’età adulta e la sapienza della anzianità e della vecchiezza che portano un loro frutto naturale che, nel loro tempo, va raccolto” (N. Flocchini, Cato maior: de senectute, Mursia 2015).

La testimonianza di Cicerone su Marco Porcio Catone ottantacinquenne rivela la scansione della sua vita di vegliardo assimilabile a quella dei tanti di ogni epoca: da giovane “censore”, da adulto “sapiente” , da anziano “antico e  vecchio” ben consapevole che “opporsi alla natura è come combattere gli dei nelle vesti dei titani…la smemoratezza, tipica dell’età avanzata, è maggiore in chi non si dedica a una qualche operosa attività”. Nessuna traccia di compatimento, anzi la constatazione benevola delle varie fasi della sua lunga vita fino a prospettare un ruolo attivo nell’età attempata. Al contrario, l’odierno ageismo, moda minoritaria ma in ascesa, intenderebbe discriminare sulla base dell’età: colpisce quasi un europeo su tre al di sopra dei 60 anni, ben constatabile nel corso della pandemia, tanto che la Società Francese di Geriatria e Gerontologia (SFGG) e le Società omologhe europee, americane ed asiatiche hanno lanciato un allarme promuovendo “#OldLivesMatter” per sensibilizzare cittadini ed Istituzioni trascorsi due decenni dalla promulgazione dell’art. 25 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che riconosce “il diritto degli anziani a condurre una vita dignitosa e indipendente e a partecipare alla vita sociale e culturale”. Catone e Cicerone continuano ad ispirare una “qualche operosa attività” e l’abbattimento di ogni pregiudizio?

Nel 2050 gli ultrasessantenni assommeranno ad oltre due miliardi nel Mondo, in Italia raggiungeranno i 20 milioni con oltre 1/3 di ultrasessantacinquenni e 1/5 di ultraottantacinquenni a fronte di una riduzione numerica della popolazione di almeno 2 milioni e mezzo.

I problemi che le previsioni pongono devono articolarsi in un quadro prospettico di sostenibilità strutturale per l’intero Paese ( dati ISTAT 2019):

– già oggi tre lavoratori supportano lo Stato sociale di un pensionato, nel prossimo futuro saranno in due a sostenerlo;

– una popolazione attempata risulta anche essere più malata a causa di un graduale declino fisico e ad una accresciuta vulnerabilità a causa degli effetti negativi sulla idoneità a nutrirsi, deglutire, mantenere un cor­retto apporto dietetico, sulle capacità di parlare, sorridere e restare in rela­zione con altre persone.

– circa la metà degli anziani soffre già di patologie gengivali e della sindrome delle fauci secche, non possiede la dentizione ritenuta appena sufficiente che è di almeno venti denti, subisce l’incremento e l’accumulo di patologie cronico-degenerative quali ipertensione arteriosa, malattie cardio-vascolari e respiratorie, diabete, obesità, neoplasie, deficit cognitivi, senza contare gli effetti della solitudine e non autosufficienza, ecc. con relativi incrementi esponenziali di necessità assistenziali di diagnosi e cura;

– bisognerà rispondere, iniziando fin da subito, a ricercare soluzioni adeguate economico-organizzativo-strutturali. Oltretutto gran parte degli anni di vita acquisiti dopo gli ottantacinque, persistendo l’attuale situazione, rischiano di essere impegnati a combattere contro più comorbilità;

– è chiaro che, per il numero e la qualità dei potenziali cittadini-utenti-pazienti-malati-clienti non è neppure pensabile gravare troppo sugli attuali Presidi ospedalieri, poliambulatori, medicina territoriale e case protette pubbliche e private: le città si vedrebbero trasformate gradualmente in nosocomi e ospizi a cielo aperto;

– neppure è possibile, data la dubbia sostenibilità, poggiare un peso eccessivo sulla Sanità territoriale considerando che in Italia nel 2030 gli anziani che vivono in solitudine potrebbero raggiungere i 4 milioni e mezzo a fronte del 10% assegnato dal budget sanitario nazionale attualmente riservato all’assistenza e solo dell’1,3% alle cure  domiciliari, con consistenti disomogeneità regionali, mentre nei Paesi del nord Europa supera il 25%;

– potranno subire incrementi e miglioramenti le attuali Strutture sanitarie avvalendosi della erogazione prossima dei fondi europei, ma la soluzione principe sta nel guidare, per quanto possibile secondo Leggi e Costituzione, il processo generale di invecchiamento della popolazione nel solco della difesa della salute cercando di invecchiare tutti in buona salute;

– la vera novità, dunque, si chiama prevenzione primaria, iniziando a rifiutare che l’anzianità sia già per sé stessa, come tradizione vuole, una malattia. Basti questo dato: oltre un terzo delle demenze senili può subire una significativa riduzione mediante la correzione precoce di obesità, ipertensione,  depressione, sordità, disturbi della masticazione, dell’udito e della mobilità, abolizione di tabagismo e consumo smodato di alcool, incremento dell’attività fisica e mentale, miglioramento del rapporto sociale e familiare, superamento della solitudine e del senso dell’abbandono mediante il rilancio di uno spirito di comunità…e intanto in Gran Bretagna si istituisce il Ministero alla solitudine preso atto che oltre un milione e 200.000 persone soffrono di solitudine permanente. In Italia il 13% della popolazione non può contare su nessuno per ogni necessità intervenuta e il 12% non ha parenti prossimi ed amici con i quali confidarsi (Eurostat 2019). Da aggiungere un dato significativo: Telefono amico riceve ogni anno oltre 50.000 telefonate con una tendenza all’incremento delle richieste di aiuto.

E’ indispensabile, pertanto, superare la strategia sanitaria a posteriori che, posta come unica via da seguire, condurrebbe ad incompatibilità economiche straordinarie oltre che a distorsioni culturali, fra cui la medicalizzazione di disagi e malattie evitabili ab initio, e ad errori progettuali di tipo sanitario senza neppure poter contrapporsi con risoluta efficacia al lievitare delle malat­tie cronico-degenerative e all’impennarsi della spesa sanitaria ed assistenziale.

Diviene, dunque, mandatorio e subordinato al concetto di prevenzione primaria, valorizzata e rilanciata anche la prevenzione secondaria, non concepire la corporeità come aggregazione di cellule, organi ed apparati con il rischio di  confluire nel binario morto del darwinismo (fisico e sociale) e nel materialismo meccanicista di de La Mettrie (1747) che considerano le persone-individui hommes machines dai com­plessi meccanismi fisiologici e atavismi fisio-gnonomici. Su questa via si giunge a rilanciare, spesso inconsapevolmente, concezioni antropologiche di tipo lombrosiano.

* Già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e Direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna