Cronache di vita a Berlino – di Franco Di Giangirolamo – 12/10/2020

Foto di gierre 2020

Berlino, 12.10.2020

Mi mancava qualcosa stamattina, al risveglio. Non sentivo il rumore quotidiano dei ragazzi che arrivano a scuola. Non è venerdì e Fridayforfuture non manifesta. Mi concentro: sono cominciate le vacanze autunnali. Dovevo saperlo perchè è stato l’oggetto delle preoccupazioni di giornali e TV al seguito di altrettanti preoccupati virologi e politici. Quesito: ma lasciamo libertà di viaggiare all’interno della Germania, o precludiamo le zone che hanno un tasso di infezione superiore al 50/100.000 abitanti? I virologi non hanno dubbi; essi vivono una vita infernale avendo un grado di preoccupazione costante, relativamente indipendente dalla quantità di virus che circolano. Per credere, basta leggere i giornali degli ultimi mesi. I politici sono normalmente divisi, come in Italia: col Ministro della Salute iperpreoccupato e i presidenti regionali che pensano al voto degli albergatori e ristoratori che dopo la fine del turismo straniero si beccano anche la limitazione di quello interno. Sarà che il bavarese Soeder e il Ministro Spahn non mi sono gran che simpatici, condivido il Presidente dell NordRehin Westfalia che ammonisce: impegnare i cittadini con norme confuse, contraddittorie e dalla dubbia efficacia, impedisce di concentrarsi sui provvedimenti più efficaci ed importanti per la prevenzione.

E’ una bella giornata di sole e dare troppa attenzione al virus non è nè salutare, nè saggio.

Perciò mi avvio lungo Karl Marx Allee per guardare con calma le trasformazioni avvenute in questi mesi.

Non si può essere allegri con tante attività chiuse e con quelle aperte in gran parte senza vita. Punto al Caffè Sybille, luogo storico di animazione culturale, dove un cartello dice che solo mercoledì sarà aperto. Anni fa volevo eleggerlo come luogo di incontro per l’ANPI Berlino, ma non è andata bene. Dall’Ovest all’Est non si viene così volentieri e riunirsi tra le vestigia del socialismo reale (di cui il bar era ridondante) e l’immagine di Stalin alta due metri che ti guarda mentre esprimi le tue (e non le sue) opinioni politiche, non è proprio una rilassante goduria.

Anche il simpatico presidio sanitario che si occupa del mio udito opera in maniera ovattata. Ritardi di mesi sui controlli, come per qualsiasi altra prestazione per qualsiasi altro problema, sia per i limiti della „modalità Covid“ a cui tutto si conforma, sia per scelte personali dei pazienti. Io come altri anziani parimenti suonati, che non abbiamo prenotato, ci becchiamo un „ahahah“ da parte della teutonica addetta che compensiamo con un gesto di colpevole contrizione che le permette di sentirsi umana attraverso il perdono e l’accettazione degli indisciplinati. Mi becco qualche indicazione su cosa dovrei fare con gli apparecchi acustici, capisco la metà di ciò che mi dice ma, per carità di patria, non le chiedo di ripetere per evitare di fare il profugo e me ne vado tranquillo, sperando che i terminal del mio cervello si adattino al suono artificiale che ricevono e che mi facciano capire di che si tratta.

Bello, questo viale di trionfo di Karl Marx Allee, oggi patrimonio dell’umanità e un tempo coperto di infamia come „architettura socialista“. Non mi torna il conto se penso che nel 1956 queste erano „case popolari“, ma lascio la riflessione e mi viene in mente che non molto lontano proprio la settimana scorsa la polizia, in forze come non mai, ha sgomberato gli edifici occupati di RigaerStrasse (Liebig34), dopo una lotta durata decenni che continuerà non so in quali forme. Me ne dovrei interessare di più, ma non ora.

Anche il Kosmos, luogo di fiere, spettacoli, mostre, eventi, è chiuso e senza manifesti sui programmi futuri. Non entro nel negozio di 4 piani dell’Humana. La visiterò verso dicembre perchè penso che la troverò molto più affollata. Vendono di tutto, di seconda mano, per fini solidaristici. Non robaccia, ma oggetti rimessi a nuovo e a prezzi dimezzati. Con la crisi economica che la Germania potrà solo lievemente contenere ma non schivare, ho l’impressione che l’impoverimento a Berlino si farà sentire prestissimo e pesantemente, e che l’Humana diventerà una boutique molto frequentata.

Voglia di caffè, il Bar Tasso è la migliore destinazione. Non è solo uno dei miei luoghi di incontro preferito da questa parte di Berlino, ma un bar con le sue attrattive. Bacheche con libri all’esterno che limitano un piccolo resort, che d’estate è una meraviglia per catturare il sole tra gli alberi del viale, spazio interno non grande ma attrezzato per spettacoli serali, grande biblioteca formata da libri donati che vengono venduti per 1,50 euro. Dopo averli letti molti lo riconsegnano per altri utenti. Vi lavorano alcuni ragazz* diversamente abili. E’ quasi pieno e mi dà una certa soddisfazione. La clientela abituale non molla neanche durante il Covid e resta fedele ad un luogo che è soprattutto cultura e solidarietà. Mentre prendo il caffè senza particolare entusiasmo, sfoglio un giornale scoprendo che il sistema di sorveglianza Covid (ovvero il tracciamento), nonostante l’impegno massiccio di scout di contenimento e di militari (1.300) e nonostante gli orari straordinari cui sono sottoposti, non riescono a far fronte alle esigenze. In alcune regioni perfino la scarsità di personale e la difficoltà di trovarne oltre alla fragilità del sistema comunicativo (pare basato sul fax) hanno portato in ebollizione il sistema. Strategia efficace quella delle TTT ma ci vuole una organizzazione adeguata che, al momento, pare sia tarata su numeri bassi di contagiati.

Ormai arrivano i tedeschi che pranzano alle ore 11,30 e „faccio su le canne“. Saluto e mi viene la domanda: perchè si chiama Tasso? Potrei chiederlo ma mi reprimo, come ho fatto altre volte: voglio che resti una sopresa. Quando, per caso, lo apprenderò, verificherò se le ragioni del nome sono un motivo in più per la simpatia che provo per questo locale.

La U-Bahn 5 con il suo carico di mascherati, mi porta vicino casa. Acquisto la mia quotidiana „baghette“, uno dei pochissimi tipi di pane che riesco a mangiare senza pentirmi di essere emigrato. Non senza malizia la commessa mi fa notare silenziosamente che si è un poco piegata in cima e con altrettanta malizia accenno con rassegnazione alla mia barba bianca e annuisco come dire che la prendo lo stesso. Mi fermo poco a parlare con John, statunitense di origine africana, che porta la mascherina da sempre per difendersi dall’inquinamento ambientale e che non dà al nuovo virus una grande importanza. Molto dignitoso e con una cultura sulle tematiche ambientali veramente notevole, vive di scambio tra qualche moneta ed educazione ambientale del popolo che entra e esce dal supermarket. Tutto sommato svolge una funzione sociale e nel dargli il solito euro penso che sto comperando il bollettino informativo sulle condizioni ambientali del globo terracqueo. Non ho mai capito in che lingua parliamo, e spesso il suo inglese tedeschizzato è un mistero per me. Non so se riesce a capire il mio tedesco. Ne dubito ma abbiamo un feeling e ci sorridiamo sempre con aria di intesa, soprattutto quando passa di là un neonazi intollerante che abita nei pressi e che ci tiene a manifestare sempre la sua qualità di bullo represso a due stranieri, seppure di diverso colore, che se fosse per lui……

Nonostante le sue luci e le sue ombre, una giornata d’autunno accettabile.

Franco Di Giangirolamo