Fonte SMIPS
di VINCENZO BALZANI *
Le Conferenze delle Parti sul clima (Cop) sono incontri negoziali annuali, organizzati dalle Nazioni Unite, per arginare la crisi climatica. Queste conferenze sono iniziate nel 1994 e sono giunte alla ventinovesima edizione, conclusa il 22 novembre scorso a Baku, Azerbaijan. In alcune di queste conferenze si sono raggiunti importanti risultati, primo fra tutti l’accordo di massima fra 195 nazioni nella Cop21 di Parigi nel 2015 per limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5°C, per porre termine all’uso dei combustibili fossili entro il 2035 e per costituire un fondo di 100 miliardi di dollari al fine di far fronte ai danni causati dal cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Di fatto, però, le emissioni globali di gas serra sono state in continuo aumento e le previsioni indicano che nel 2100 il riscaldamento globale supererà 2,9°C, con disastrose conseguenze. La Cop29 si è svolta in un insieme di condizioni sfavorevoli: in uno Stato (e quindi con un presidente della conferenza) molto interessato alla produzione di combustibili fossili; alla presenza di 1700 lobbisti dell’«Oil& gas» , più numerosi della somma dei delegati dei dieci Paesi più vulnerabili; con tensioni geopolitiche per motivi storici fra Azerbaijan e Francia e con la ri-elezione negli USA del presidente Trump che ha minacciato di ritirare la delegazione americana. La Cop29 avrebbe dovuto contribuire al conseguimento, almeno parziale, del «New collective quantified goal», un piano di aiuti finanziari che i Paesi più industrializzati e, quindi, più responsabili del cambiamento climatico, dovrebbero fornire ai Paesi meno sviluppati e più danneggiati. Uno studio indipendente, compiuto da tre economisti di vaglia, ha stimato il fabbisogno dei Paesi in via di sviluppo in 1.000 miliardi di dollari annui a partire dal 2030 e 1.300 miliardi annui a partire dal 2035. Fin dall’inizio, però, si è capito che i Paesi sviluppati non avevano alcuna intenzione di fornire somme così ingenti. È iniziato, quindi, un difficile negoziato terminato alle tre di notte dell’ultimo giorno. Si è riconosciuto che i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di 450-600 miliardi di dollari all’anno, ma ne riceveranno solo 300 fino al 2035. Questa somma, che è tre volte quella dell’accordo di Parigi del 2015, verrà fornita, però, solo in parte dai bilanci dei Paesi donatori e, per il resto, da «altre fonti» non meglio definite, sotto forma di prestiti agevolati o da finanza privata. Tale conclusione è stata fortemente e giustamente contestata dai Paesi meno sviluppati, particolarmente dai piccoli stati insulari che sono quelli in maggior pericolo a causa del cambiamento climatico. È ormai evidente che le conferenze Cop non sono più adatte per raggiungere l’obiettivo di porre fine al cambiamento climatico, tanto è vero che un gruppo di autorevoli scienziati e politici, guidati dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, ha inviato una lettera aperta a tutti gli Stati per procedere a una riforma delle Cop. Tra i firmatari della lettera figurano l’ex segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e l’ex presidente dell’Uncff, Christiana Figueres.
* docente emerito di Chimica Università di Bologna