Italiani consapevoli della crisi ecologica, la maggioranza vuole un deciso cambiamento

Autore: Owen Gaffney, project lead Earth4All, e Luca Miggiano, responsabile “Ecosistema Futuro”, ASviS

Fonte: Asvis che ringraziamo 

Da un’indagine Ipsos per Earth4All risulta che il 62% è consapevole che siamo vicini a un punto di rottura e il 50% si sente esposto a rischi climatici. [Da Repubblica.it9/9/24

Proteggere la natura, anche per le generazioni future

Tra i dati della ricerca emerge, in primo piano, la consapevolezza sulla necessità di proteggere la natura: in Italia nove intervistati su dieci si dichiarano preoccupati della condizione in cui versano gli ecosistemi e il 62% è consapevole che il mondo si sta avvicinando a pericolosi punti di rottura, quelli che gli scienziati hanno definito tipping points, cioè punti di non ritorno oltre i quali i processi di degrado dell’ambiente diventano irreversibili. Due italiane/i su tre (67%) si dichiarano favorevoli rispetto al fatto che la distruzione o il danneggiamento della natura da parte di politici o imprese – il cosiddetto ecocidio, su cui è stato di recente approvata la direttiva Ue – debba essere considerato un crimine penale.

Più della metà (56%) è favorevole al riconoscimento di diritti propri della natura, come già avviene in alcuni Paesi, come per esempio i diritti di un fiume, di una montagna o di una foresta, con l’obiettivo di conservarli meglio. Il 60% degli intervistati è favorevole al riconoscimento di diritti legali per le generazioni future, in continuità con la riforma della Costituzione del 2022 che, anche grazie al lavoro dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), ha introdotto la tutela degli interessi delle future generazioni tra i principi costituzionali, all’articolo 9.

Visto quando accade quotidianamente non sorprende che circa metà degli italiani si senta esposto a rischi ambientali e climatici, come ondate di calore, incendi, alluvioni o frane. A giugno 2024, quando un primo set di dati di questo sondaggio era stato pubblicato, ne abbiamo scritto su Green & Blue, era già emerso che il 62% degli intervistati chiedeva al governo con urgenza una transizione ecologica rapida e incisiva questo decennio.

Un’alleanza tra “protettori del pianeta” e pragmatici

I risultati del sondaggio hanno portato a individuare cinque diverse “visioni del mondo” trasversali al campione intervistati dei diversi Paesi del G20. Un quarto di chi ha riposto dall’Italia (25%) si possono definire “protettori del pianeta”. Persone che comprendono i rischi derivanti dalla distruzione della natura e dall’aumento delle temperature, e sono propense a sostenere una decisa e immediata trasformazione politica ed economica. Il 15% sono “ottimisti preoccupati”, consapevoli dei rischi ma anche convinte che sia possibile invertire la rotta. Un altro 18% è formato da “pragmatici progressisti”, moderati, fiduciosi nella scienza, in cerca di soluzioni bilanciate. Questi tre gruppi chiedono tutti ai governi un’azione robusta e urgente su natura e clima, dimostrandosi molto o estremamente preoccupati della situazione attuale. Solo una piccola minoranza, il 13%, si oppone all’azione climatica e la quota rimanente del campione è disinteressata ai temi sociali e ambientali.

Un futuro che preoccupa

Il sondaggio misura anche come gli italiani guardino al futuro e i risultati sono abbastanza preoccupanti in quanto l’Italia appare uno dei Paesi più pessimisti tra quelli del G20: infatti, solo un italiano su tre è ottimista sul proprio futuro (31%), un quarto (25%) è ottimista sul futuro dell’Italia e solo un quinto (il 20%) è ottimista sul futuro del mondo. I risultati dell’indagine rivelano l’importanza, e l’urgenza, di ridare fiducia a italiane e italiani, offrendo una visione positiva ma realistica del futuro, e investendo seriamente per realizzarla. Questa prospettiva è vista con favore dalla maggioranza della popolazione, che concorda con quanto dice la scienza sullo stato di salute del pianeta ovvero che bisogna agire subito.

Le opportunità per il governo

I tempi sono stretti ma le opportunità per intervenire sono concrete. Il governo italiano, nelle prossime settimane, dovrebbe: presentare all’Unione Europea un Piano fiscale strutturale di medio-termine che acceleri le riforme in favore della transizione energetica, proteggendo le fasce più deboli e più esposte della popolazione; approvare una Legge sul Clima, sul modello di quanto fatto da altri importanti Paesi; mettere in pratica la Direttiva europea sul Ripristino della Natura, attraverso un piano nazionale credibile e adeguatamente finanziato; promuovere i diritti delle future generazioni, approvando il Disegno di Legge sulla valutazione di Impatto Generazionale delle nuove normative, ora in Parlamento. Siamo a pochi giorni dal Summit sul Futuro dell’Onu che vedrá i governi del mondo approvare un Patto in cui si rilanciano gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e una “Dichiarazione sulle generazioni future”. Sappiamo che è ancora possibile generare un benessere durevole, per tutte e tutti, all’interno dei confini planetari. La dimensione ambientale, quella economica e quella sociale dello sviluppo possono e devono diventare obiettivi sempre più interconnessi e conciliabili.

 

di Owen Gaffney, project lead Earth4All, e Luca Miggiano, responsabile “Ecosistema Futuro”, ASviS

 

Mario Agostinelli: Negazionismo climatico, una merce inesauribile, antiscientifica e fuorviante

Autore :Mario Agostinelli che ringraziamo

Fonte: Inchiestaonline 

 

Pubblichiamo con il consenso dell’autore e preceduto da una sua premessa questo articolo di Mario Agostinelli apparso sul blog de il fatto quotidiano del 16 luglio.

Mentre siamo sollecitati a arrovellarci sulla composizione dei governi dei potenti del mondo, da cui siamo esclusi, nessun atto di democrazia che punti alla pace, al contrasto del cambiamento climatico,  alla giustizia sociale, rischiara un orizzonte che si rabbuia di giorno in giorno. L’inerzia nella reazione ad una situazione di emergenza dissimulata dipende, a mio avviso, anche da quanto sottovalutiamo il ruolo di continuo e martellante negazionismo, che alla fine può trovarci impreparati, dato che è organizzato con grande coinvolgimento di poteri economici, istituzioni, think tank sovvenzionati e, addirittura partiti e istituzioni complici.

In questo post pubblicato dal fattoquotidiano ( v. https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/07/16/il-contrasto-ai-fossili-e-sempre-stato-blando-ecco-uno-studio-sulle-attivita-di-ostruzione-climatica/7624262/)

riprendo un importante studio europeo  che riassumo e commento nella parte che riguarda il caso del clima in Italia. Gli accademici, che ne hanno compilato una ricostruzione anche per periodi storici, sono docenti e ricercatori dell’Università milanese della Bicocca che lavorano in un contesto internazionale.

Queste note giustificano e preludono all’ultimo articolo che invierò prima delle vacanze per rendere noto e visibile l’ostruzionismo alle rinnovabili che è in corso anche nel caso di Civitavecchia e a cui, come per tutto l’eolico offshore italiano, ha dedicato due severe pagine l’inserto Affari e Finanza di Lunedì 15  della Repubblica.

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Negazionismo climatico: una merce inesauribile, antiscientifica e fuorviante.

 Sono ormai più di 30 anni, dagli anni 90 allo scoppio della pandemia e fino ai giorni nostri, che un insistito tentativo di rallentare o bloccare deliberatamente l’azione per il clima, porta la vita sul nostro Pianeta a virare bruscamente verso limiti invalicabili di conservazione e riproduzione della vita,  che si manifestano di anno in anno in modalità imprevedibilmente peggiori. Un coacervo di interessi, una irresponsabilità delle classi dirigenti, un ruolo complice di gran parte dei media e l’invasione dell’economia di guerra accelerano il degrado della biosfera e provano a depotenziare sul nascere la reazione delle nuove generazioni e delle popolazioni maggiormente esposte.

Prendo spunto da una recentissima pubblicazione della Oxford University Press (v. https://caad.info/wp-content/uploads/2024/05/2024-climate-obstruction-across-europe-brief.pdf ) che traccia una documentazione dello sviluppo e della natura delle attività di ostruzione climatica estesa a tutta Europa. In essa – per lo specifico del caso italiano – hanno redatto osservazioni di grande interesse Marco Grasso, Stella Levantesi e Serena Beqja. Qui riprendo alcune loro analisi, integrate da mie brevi considerazioni a supporto delle loro allarmate denunce.

Secondo l’European Severe Weather Database (https://eswd.eu/  ), il Paese ha subito 3.191 eventi meteorologici estremi nel 2022, rispetto ai 2.072 dell’anno precedente e ai 380 del 2010. Intanto, in un crescendo disastroso per il 2023 e il primo semestre  del 2024, la già tiepida transizione verso “net zero al 2050”, è stata ulteriormente diluita dalla coalizione di destra alla guida del Paese, che, nel PNIEC in approvazione, ha ridotto dal 30 al 40%  il proprio contributo agli obbiettivi di Parigi.

Una ricostruzione delle azioni di blando contrasto alle emissioni viene esaminata dai tre ricercatori in diverse fasi. La sottovalutazione va ricercata fin dalla fine del secolo scorso nel ruolo di ENI, partecipata dal Governo e dalla Banca Depositi e Prestiti, che, nella limitata consapevolezza del cambiamento climatico da parte dei cittadini, ha insistentemente negato il contributo umano al riscaldamento terrestre. Il compito di cancellare la questione dal dibattito pubblico è stato affidato ai media mainstream, mentre la narrativa berlusconiana relegava il clima ai margini di qualsiasi necessità di azione.

Dal primo decennio del nuovo millennio fino agli anni che precedettero la pandemia, nonostante il risveglio delle nuove generazioni e la forza e l’insistenza del messaggio di Greta e di Francesco, anche i governi successivi, come quelli di Renzi e poi di Draghi, liberavano incentivi per la combustione di biomasse e inceneritori, togliendo sostegni alle rinnovabili e favorendo ulteriori attività estrattive di fossili sul territorio e nei mari nazionali.

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Quasi la metà dei giornalisti che si occupano di crisi climatica è stata minacciata

Fonte Lavoro e Salute

Secondo una nuova ricerca, quasi 4 giornalisti su 10 che si occupano di crisi climatica e questioni ambientali nel mondo hanno subito minacce a causa del loro lavoro, con l’11% vittima di violenze fisiche

Secondo una nuova ricerca, quasi 4 giornalisti su 10 che si occupano di crisi climatica e questioni ambientali nel mondo hanno subito minacce a causa del loro lavoro, con l’11% vittima di violenze fisiche.

L’indagine

L’indagine globale condotta da Internews’ Earth Journalism Network (EJN) e dall’Università di Deakin, che ha coinvolto oltre 740 reporter e redattori di 102 paesi, ha rivelato che il 39% dei giornalisti minacciati “a volte” o “frequentemente” è stato preso di mira da persone coinvolte in attività illegali come disboscamento e estrazione mineraria. Circa il 30% è stato minacciato con azioni legali, riflettendo una tendenza crescente delle aziende e dei governi ad utilizzare il sistema giudiziario per limitare la libertà di espressione.

La copertura mediatica è ancora inadeguata

Il rapporto “Covering the Planet” include interviste con 74 giornalisti di 31 paesi su come migliorare la copertura di eventi meteorologici estremi, inquinamento da plastica, scarsità d’acqua e attività minerarie, mentre il riscaldamento globale e l’avidità aziendale mettono a rischio il pianeta. La maggior parte dei giornalisti ha riferito che le storie su clima e ambiente sono diventate più rilevanti rispetto a un decennio fa, ma la copertura della crisi climatica non è ancora proporzionata alla gravità del problema.

Le comunità più colpite

Come ricorda il quotidiano inglese The Guardian, che riporta la notizia, le temperature record, le tempeste, le inondazioni, la siccità e gli incendi stanno colpendo con crescente intensità in tutto il mondo, con le comunità a basso reddito, i popoli indigeni e le persone di colore, tra le più vulnerabili agli impatti climatici. Disastri a lento sviluppo come l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani e la desertificazione stanno inoltre causando migrazioni forzate, fame e altre crisi sanitarie.

L’autocensura per paura

Nonostante l’ampiezza e la gravità dei problemi, il 39% dei giornalisti intervistati ha ammesso di aver praticato l’autocensura, principalmente per paura di ritorsioni da parte di “coloro che svolgono attività illegali” o del governo. Inoltre, il 62% ha riferito di includere dichiarazioni di fonti scettiche sul cambiamento climatico di origine antropica o sulla scienza climatica, nella convinzione errata che ciò fosse necessario per garantire un equilibrio.

La necessità di risorse maggiori per le redazioni

L’indagine ha anche evidenziato un bisogno di maggiori risorse per le redazioni che coprono le questioni ambientali e la crisi climatica: il 76% degli intervistati ha indicato che risorse insufficienti limitano la loro copertura, identificando maggiori finanziamenti per il giornalismo approfondito, la formazione in presenza e i workshop, e un accesso più ampio a dati rilevanti ed esperti del settore come tra le loro principali priorità. Molti giornalisti dipendono da finanziamenti di organizzazioni non profit spesso legati a temi specifici, ma preferirebbero avere la libertà di coprire i temi ambientali più rilevanti a livello locale. Non solo i giornalisti ambientali sono sotto minaccia: almeno 1.910 difensori della terra e dell’ambiente sono stati uccisi nel mondo dal 2012.

Lorenzo Misuraca