Fonte diseguaglianzedisalute.it
Il numero di stranieri presenti regolarmente nel nostro Paese nel 2012 era pari a circa 4 milioni (6,8% della popolazione residente). Nonostante la crisi economica, la quota di immigrati residenti ha continuato a crescere in modo costante: nel 2017, infatti, superava i 5 milioni in termini assoluti (8,3% della popolazione residente) (Istat, 2017)
Secondo stime dell’ISMU, gli stranieri irregolarmente presenti nel nostro Paese, sulla cui presenza non esistono dati ufficiali, si aggirano tra le 400.000 e le 500.000 persone (ISMU, 2017). Si tratta quindi di una quota assai modesta rispetto alla presenza complessiva di stranieri regolari (intorno al 6-8%). La composizione per Paese di provenienza ha subito una forte modificazione a partire dal 2004, in seguito all’inclusione di alcuni Paesi dell’Est Europa nell’Unione Europea, determinando un incremento dei flussi migratori provenienti da tali nazioni: la nazionalità più rappresentata è attualmente la rumena, seguita da quella albanese e marocchina.
Il rapporto “Infortuni nei lavoratori stranieri regolari. Analisi per caratteristiche individuali e lavorative”
ha confrontato i lavoratori di paesi a sviluppo avanzato (PSA), costituiti essenzialmente da italiani, con lavoratori stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria (PFPM), e ha valuto differenze nell’occorrenza di infortuni sul lavoro e nella distribuzione delle caratteristiche individuali e di contesto personale e lavorativo. Le valutazioni sono state fatte separatamente per gli infortuni nella loro totalità e secondo due diverse classificazioni di gravità, basate sulla prognosi assegnata e sulla lesione causata dall’infortunio.Gli stranieri hanno rischi di infortunio più elevati considerando gli infortuni totali e quelli definiti gravi secondo il tipo di lesione
Si è osservata una differenza significativa nel rischio di notifica di infortunio tra i due gruppi di lavoratori (PSA e PFPM) a seconda del livello di gravità identificato dalle due definizioni utilizzate. Infatti, mentre tra i lavoratori PFPM si osservano rischi di infortunio più elevati considerando gli infortuni totali e quelli definiti gravi secondo il tipo di lesione, viceversa tra i lavoratori PSA si sono osservati rischi più elevati considerando gli infortuni definiti grave in base alla prognosi. Tale apparente contraddizione può essere spiegata in base alla differente natura della gravità identificata dalle due definizioni e ai conseguenti diversi comportamenti dei due gruppi di lavoratori in seguito all’infortunio. La classificazione basata sul tipo di lesione, rispetto a quella basata sulla prognosi, identifica un numero minore di infortuni ma più gravi. Poiché la definizione di infortunio grave basata sulla prognosi tiene conto anche del numero di giorni di assenza dal lavoro, è ipotizzabile che i PFPM tendano a rientrare anticipatamente al lavoro rispetto alla durata della prognosi assegnata. Inoltre, la definizione di infortunio grave basata sul tipo di lesione presumibilmente consente di individuare infortuni particolarmente gravi, riducendo il rischio di sottonotifica differenziale tra i due gruppi a confronto, più altro tra i lavoratori PFPM.
Gli stranieri hanno tassi di infortunio più alti anche dopo i 55 anni
Ulteriori differenze tra i due gruppi si sono osservate tenendo conto della distribuzione dell’età degli infortunati, in particolare uomini. Mentre tra i lavoratori PSA i tassi più alti di infortuni totali si osservano per le classi di età estreme, tra i PFPM i tassi di infortuni totali sono più elevati a partire dai 35 anni di età con valore massimo dopo i 55 anni.
Il dato suggerisce che, mentre tra i PSA la mancanza di esperienza dei più giovani può causare il maggior numero di infortuni osservati, tra i PFPM, invece, l’acquisizione di esperienza non compensa l’esposizione a mansioni più pericolose anche in età più avanzate, nelle quali, inoltre, il fisico è maggiormente usurato. Di conseguenza, il divario tra i due gruppi nel rischio di infortunio cresce con l’invecchiamento dei lavoratori, raggiungendo livelli massimi tra le persone con più di 55 anni.
Nelle regioni del Nord Est in Italia si registrano tassi di infortunio più alti sia per gli italiani sia per gli stranieri
Uno spunto di particolare originalità è dato dall’analisi delle differenze nei tassi di infortunio tra le aree geografiche del Paese. In generale, i risultati osservati sono fortemente condizionati dalla maggior presenza di lavoratori stranieri nel Nord Italia e dalla minore propensione in quest’area alla sottonotifica, non solo per gli italiani. In particolare, nel Nord-est si rilevano i tassi di infortunio più alti rispetto alla media nazionale, sia tra gli italiani che tra gli stranieri, con ogni probabilità come conseguenza di una maggiore propensione alla notifica, non di una più elevata occorrenza di infortuni. L’ipotesi sembrerebbe avvalorata dall’osservazione che nel Sud i tassi di infortuni, sia totali che gravi, risultano essere di molto inferiori alla media nazionale;in questo caso si può ipotizzare un diffuso fenomeno di sottonotifica, in particolare tra i lavoratori stranieri, ma anche tra gli italiani, per i quali i tassi osservati sono particolarmente bassi.
Le differenze nel rischio di infortunio osservati tra lavoratori italiani e stranieri a seconda del settore economico sono in parte ascrivibili alla diversa distribuzione dei lavoratori stranieri sul territorio nazionale, collocazione geografica che condiziona anche quella per settore economico, essendo non omogenea nel Paese la presenza dei vari gruppi etnici e delle attività produttive. Ancora una volta l’area di lavoro sembra essere il determinante più rilevante della probabilità di notifica di un infortunio, come suggerito dalle differenze osservate nei tassi di infortuni gravi secondo le due definizioni, indipendentemente dal settore economico.
Nel complesso, tra i lavoratori italiani i tassi di infortuni totali sono inferiori a gli stranieri in tutti i settori, tranne quello “Servizi finanziari, monetari e immobiliari” che include tutti i lavoratori interinali, indipendentemente dal settore economico nel quale sono stati effettivamente impiegati.
Più infortuni gravi in aziende di medie dimensioni
Altra valutazione che è stata effettuata riguarda il ruolo della dimensione dell’impresa dove si lavora sul rischio di infortunio, tra i due gruppi a confronto. Indipendentemente dalla dimensione dell’impresa, i lavoratori stranieri fanno registrare un tasso più elevato di infortuni gravi in base alla lesione, in particolare in imprese con numero di dipendenti intermedio, compreso tra 10 e 199. Invece, tale tipologia di infortunio è osservata meno frequentemente per le imprese molto piccole (fino a 9 dipendenti) e quelle molto grandi (oltre 200 dipendenti). Tale andamento è in controtendenza rispetto a quello degli infortuni totali e gravi classificati in base alla prognosi, per i quali i tassi più elevati si sono osservati nelle imprese con oltre 200 dipendenti.
Il più basso tasso di infortuni particolarmente gravi definiti per tipo di lesione registrato nelle aziende molto grandi fa ipotizzare una maggiore attenzione alla prevenzione e a più strutturate procedure di organizzazione del lavoro. Inoltre, in aziende molto grandi sono meno evidenti fenomeni che possono condizionare sia la stima degli infortuni totali (maggiore sottonotifica) sia quella degli infortuni gravi secondo la definizione basata sulla prognosi (casi più frequenti di anticipato ritorno al lavoro).
Gli infortuni tra i lavoratori stranieri aumentano con l’anzianità lavorativa
Un fattore che sembra differenziare fortemente il rischio di infortunio dei lavoratori stranieri rispetto a quelli italiani è l’anzianità in azienda. Infatti, se si considerano gli infortuni gravi classificati in base alla prognosi, i tassi dei lavoratori italiani diminuiscono leggermente all’aumentare dell’anzianità in azienda, mentre quelli dei lavoratori stranieri aumentano fortemente per un’anzianità in azienda di 5-10 anni e soprattutto se superiore ai 10 anni. Il divario tra i due gruppi di lavoratori è particolarmente accentuato in corrispondenza delle classi estreme di anzianità in azienda: fino a un anno il rischio di infortunio degli stranieri è più basso, probabilmente per un fenomeno di sottonotifica, mentre oltre i 10 anni esso è decisamente superiore a quello degli italiani. Nel complesso, si può ipotizzare che mentre i lavoratori italiani, all’aumentare dell’età e dell’anzianità in azienda svolgono mansioni meno rischiose, questo non accade per gli stranieri. La conferma sembra arrivare anche dall’osservazione tra i lavoratori stranieri di un tasso più elevato di infortuni gravi definiti in base alla prognosi, a partire dal quinto anno di anzianità in azienda. Inoltre, il più elevato tasso tra gli stranieri di infortuni gravi classificati in base alla lesione, indipendentemente dall’anzianità in azienda sembrerebbe supportare anche l’ipotesi di una esposizione a mansioni più rischiose e/o di una minore formazione nell’ambito della sicurezza.
Gli infortuni diminuiscono dal 2001 al 2012, ma sono comunque più alti tra gli stranieri
La disponibilità nell’archivio WHIP di dati relativi a 4 trienni, che abbracciano il periodo 2001-2012, ha consentito anche una valutazione dell’andamento temporale degli infortuni sul lavoro in Italia che risultano in decisa diminuzione. Tra gli uomini, si osserva una notevole diminuzione dei tassi di infortunio nel periodo 2001-2012 particolarmente evidente per i lavoratori dell’Africa mediterranea, che decrescono da 120 a 72, ma che presentano comunque valori molto più elevati di tutte le altre aree, fino a un eccesso di rischio del 70% rispetto agli Italiani. I lavoratori italiani hanno i tassi di infortuni totali più bassi nell’intero periodo (in diminuzione del 40%), se non si considerano quelli dei lavoratori provenienti dall’Asia (sub continente indiano escluso), per lo più cinesi e filippini, per i quali si può ipotizzare un fenomeno di sottonotifica.
In conclusione,
I dati analizzati per il presente rapporto confermano che anche in Italia i lavoratori stranieri sono esposti a un rischio di infortunio più elevato, soprattutto se riferito a quelli particolarmente gravi e come tali anche a minor rischio di sottonotifica. Le differenze osservate in relazione alle dimensioni aziendali sembrano suggerire che un’organizzazione del lavoro più attenta alla sicurezza dei lavoratori sia fondamentale nel contrastare il fenomeno, tanto più che gli stranieri restano esposti ai rischi legati a mansioni più pericolose e faticose anche quando sono più in avanti con l’età, a differenza di quanto generalmente si verifica tra i lavoratori italiani.
La pubblicazione di questo primo rapporto derivato dall’analisi dei dati WHIP dimostra l’importanza di tale fonte integrata di dati per il monitoraggio del fenomeno infortunistico in Italia, in particolare tra i lavoratori stranieri per i quali la valutazione delle sue dimensioni risulta essere più difficile, a causa della sottonotifica che, soprattutto la Sud, influenza la validità delle stime.
Ulteriori sviluppi delle analisi dei dati WHIP potrebbero prevedere uno studio dei ricoveri ospedalieri successivi a infortuni, in particolare di quelli seguiti ad accesso in pronto soccorso con una valutazione dei costi, anche di quelli legati alla morbilità. Infine, si potrebbe ipotizzare una indagine delle malattie professionali, almeno tra i gruppi di lavoratori stranieri con più antica presenza in Italia.
In questo documento vengono presentati i principali risultati del progetto “Contributo del sistema longitudinale Whip-Salute per l’osservatorio della sicurezza e infortuni nei luoghi di lavoro per la popolazione immigrata”, frutto della collaborazione tra U.O.S. Epidemiologia (INMP) e dal SCaDU Servizio Sovrazonale di Epidemiologia (ASL TO3).
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