FONTE AREAONLINE.CH
di Veronica Galster
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Schiena a pezzi, problemi alle mani, alto rischio di infortunio, vita privata inesistente per l’impossibilità di pianificare qualsiasi cosa al di fuori del lavoro e il tutto per un misero salario. C’è da chiedersi se un impiego così non sia meglio perderlo che trovarlo. Fra le testimonianze raccolte, c’è chi in effetti il lavoro l’ha lasciato e chi invece continua a lavorare lì nella speranza che qualcosa cambi.
«Ho lavorato due anni da Hilcona come temporanea tramite Adecco. Ero da poco arrivata nella regione, cercavo un lavoro e mi sono detta: da qualche parte devo pur cominciare, e mi sono ritrovata da Hilcona», ci racconta una ex lavoratrice che preferisce restare anonima.
La chiameremo Laura*. Dopo due anni alle condizioni imposte da questa azienda con sede a Orbe, leader svizzero nel settore dei “prodotti freschi”, il suo medico le ha però detto che doveva scegliere tra la salute e il posto di lavoro: «Non è stato facile: il salario mi serviva, ma la mia schiena era davvero messa male, ero sempre stanca e anche la psiche cominciava ad accusare i colpi, non riuscivo più a stare con la mia famiglia, perciò ho deciso che era meglio smettere», ci racconta a pochi mesi di distanza.
Anche Marc* vuole restare anonimo, lui lavora ancora da Hilcona, è lì da diversi anni e fa prevalentemente i turni di notte. Secondo lui le condizioni di lavoro nell’azienda non sono propriamente in regola: «Io maneggio prodotti chimici e fino a circa un anno fa non ci avevano dotato degli occhiali di protezione, ad un collega è schizzato del prodotto nell’occhio, era pericoloso», racconta. Senza contare la mancata sostituzione di scarpe da lavoro rovinate, o locali nei quali manca la ventilazione e l’aria risulta irrespirabile per l’alta concentrazione di prodotti chimici e per l’umidità.
Le condizioni di lavoro sono fisicamente pesanti, e questo ha portato ai problemi di salute di Laura, ma non è solo questo aspetto che rende la vita difficile ai lavoratori di Hilcona: «Dal momento che entri lì ti puoi scordare di avere una vita privata», ci dicono entrambi. Per Hilcona ogni lavoratore deve essere a disposizione 24 ore su 24 per tutti i giorni della settimana, domenica compresa. «Quando ho iniziato a lavorare lì, il primo giorno mi hanno spiegato come funzionava il lavoro in ditta, le regole base di igiene, i vestiti eccetera. Quando siamo arrivati davanti all’albo con il planning mi è stato chiaramente detto che il mio giorno di libero non era da considerare come giorno di libero, a meno che io non l’avessi bloccato», ma bloccare un giorno non è evidente e soprattutto non lo si può fare spesso, pena il rischio di ammonimento, spiega Laura.
Marc, oltre alla questione dei turni e al fatto che il conteggio delle ore a suo modo di vedere non sia fatto in modo trasparente, denuncia anche una mancanza cronica di personale, soprattutto durante l’estate.
I turni di lavoro mattutini da Hilcona iniziano tra le 4.30 e le 6, a dipendenza di vari fattori, ma è capitato di persone arrivate convinte di dover iniziare a lavorare, che hanno invece scoperto un cambiamento del planning e di avere libero quel giorno. Succede però anche il contrario: «Quando andavo a dormire alla sera non potevo mai sapere con certezza se il giorno seguente avrei davvero avuto libero o se mi avrebbero chiamata alle 4.30 di mattina per dirmi di presentarmi al lavoro», racconta ancora Laura, che con due bambini in età scolastica faticava non poco a gestire questi turni che cambiavano in continuazione e ci confida di non aver mai tenuto in considerazione pianificazioni oltre le 24 ore che seguivano il momento in cui le stava guardando: «Magari arrivavo al mattino e c’era una certa pianificazione per le due settimane successive, ma quando uscivo al pomeriggio questa era già cambiata». Eppure la Legge impone di avvisare il personale con almeno due settimane di anticipo, cosa che, secondo le testimonianze, da Hilcona non avviene mai. Inoltre i turni vengono affissi solo all’albo dell’azienda, non c’è alcuna comunicazione personale, perciò, se non si vogliono avere brutte sorprese, conviene recarsi tutti i giorni in ditta per verificare il planning, anche quando si ha libero.
Laura ha lavorato in diversi settori della produzione, tra cui il settore frigo, per il quale ha ricevuto un’apposita formazione: cosa vuol dire lavorare “in frigo”? «Significa lavorare a una temperatura costante di 2 gradi per tutta la giornata lavorativa, estate e inverno. Io ho avuto la fortuna di ricevere dalla ditta, assieme alla giacca, una cuffia e dei guanti, ma non è per tutti così e bisogna arrangiarsi, visto che, per ragioni igieniche, il regolamento vieta di indossare ad esempio guanti e cuffia portati da casa». Normalmente per lavorare a queste temperature bisogna uscire dai locali freddi per dieci minuti ogni due ore «ma non era mai così, non c’era il tempo», confida. Anche fuori da questo reparto il freddo la fa da padrone: avendo a che fare con prodotti alimentari deperibili, le temperature non sono mai superiori ai 6 gradi. I vestiti forniti dall’azienda sono una tuta in cotone e guanti da chirurgo per chi maneggia il cibo. «Bisogna vestirsi bene sotto alla tuta che forniscono loro se non si vuole patire il freddo», continua Laura.
Una giornata lavorativa alla Hilcona di Orbe dura tra le 9 e le 11 ore di solito: «Sai quando entri, ma non quando esci. Bisogna rimanere finché si è evasa l’ordinazione», ci dicono. Un altro ostacolo alla gestione della vita privata e alla conciliazione lavoro-famiglia, in un’azienda che impiega prevalentemente personale femminile.
Chi denuncia le cose che non vanno e “fa rumore”, ci dicono Marc e Laura, viene facilmente minacciato di licenziamento: a tutti e due è successo di essere ripresi perché secondo i loro capi “parlavano troppo”. Marc ci racconta che in occasione di una visita in reparto di un membro della direzione ha osato parlare di alcune cose che non andavano: «In seguito sono stato convocato e mi è stato detto che non andavo nella stessa direzione dell’azienda. Fanno pressione su chi denuncia, per farci tacere».
Prima di salutarci, Laura si vuol togliere l’ultimo sassolino dalla scarpa dicendoci che non sa come mai, da gennaio 2018, è stata tolta la formazione “igiene e sicurezza” per i nuovi assunti interinali, una formazione di una giornata che lei ha ricevuto e che dice esserle stata molto utile: «Adesso a chi inizia a lavorare da Hilcona non vengono più insegnate le regole base di igiene, come evitare i contagi, come si formano i batteri… trovo che sia molto grave perché si maneggia cibo e ne va della salute dei consumatori».
Secondo Marc, la direzione è cosciente dei problemi in ditta, ma non fa molto per trovare delle soluzioni, anche se a suo giudizio le cose stanno iniziando a cambiare da quando è intervenuta Unia: «È solo l’inizio – ci dice –, ma qualcosa si sta muovendo».
* nomi noti alla redazione
Alcuni dati sull’azienda
Hilcona è leader sul mercato dei prodotti freschi pronti in Svizzera, Germania e Austria. Dal 2011 ha progressivamente perso lo statuto di azienda familiare che la caratterizzava dalla sua creazione nel 1935 e oggi appartiene interamente a Bell Food Group, di cui i 2/3 delle azioni sono detenute da Coop. Bell rappresenta più di un quarto della cifra d’affari del commercio all’ingrosso di Coop. La sua cifra d’affari nel 2016 è stata di oltre 500 milioni di franchi e tra il 2014 e il 2017 ha conosciuto un incremento del 60%, anche grazie alla sua espansione in Europa, dove esporta principalmente verso Germania, Francia, Austria, Paesi del Benelux e, dal 2013, Polonia. La sede principale di Hilcona si trova nel Lichtenstein, dove è stata fondata, ma la maggior parte della sua produzione avviene in Svizzera, tra la sede di Orbe e quella di San Gallo. Lo stabilimento di Orbe produce ogni giorno più di 550.000 tra panini, pizze e insalate pronte. Vi lavorano circa 600 persone, delle quali quasi 200 sono lavoratori temporanei. La produzione svizzera si concentra essenzialmente su Coop, con il marchio Betty Bossi, ma i prodotti di Hilcona sono in vendita anche da Manor, Aldi e molti altri negozi e rappresentano la maggior parte dei prodotti freschi e pronti che troviamo in commercio.