D.L 146/2021, salute e sicurezza sul lavoro, un decreto da cambiare in profondità…

 

La sequenza tragica di incidenti mortali sul lavoro che si ripete da molti mesi, dalla ripresa delle attività post fasi acute della pandemia, ha alimentato la richiesta da parte delle organizzazioni sindacali di provvedimenti urgenti.

Le tipologie degli incidenti mortali riportati dalle cronache sono quelle di sempre, dagli anni 50 del secolo scorso: schiacciamento da camion in retromarcia, operai asfissiati in ambienti confinati, cadute da ponteggi in cantieri, corpi di operaie straziati da organi in movimento di macchine non protette, schiacciamenti di magazzinieri dal ribaltamento di pallets impilati male, gruista folgorato perchè con la benna ha sfiorato i cavi AT…..

La stragrande maggioranza di questi incidenti erano e sono evitabili con una corretta organizzazione del lavoro, con pratiche concrete di valutazione e gestione dei rischi, con una formazione professionale  mirata ai rischi specifici connessi alla mansione. La vigilanza da parte dello Stato nelle sue articolazioni è importante ma non potrà mai sostituire il compito delle imprese  nella gestione dei rischi , non vi saranno mai abbastanza ispettori per vigilare che vi sia una corretta gestione della sicurezza a livello aziendale nella miriade d’imprese e microimprese.

La richiesta reiterata da parte dei rappresentanti delle OOSS   di maggiori controlli dopo ogni incidente grave o mortale sul lavoro è più che legittima ma non può essere la sola iniziativa del sindacato in materia. Infatti se esaminiamo le modalità e i contesti in cui avvengono gli attuali incidenti gravi e mortali sul lavoro registriamo assai spesso che i determinanti che hanno causato l’incidente riguardano la precarietà del rapporto di lavoro, la mancata e/o inadeguata formazione alla sicurezza dei lavoratori , la debolezza contrattuale dell’impresa  che fornisce prestazioni in regime di subappalto verso la stazione appaltante, l’informalità maligna che regola l’organizzazione approssimativa del lavoro nelle reti dei subappalti.

Per questi motivi per arrestare e fare arretrare il fenomeno degli incidenti mortali occorre una iniziativa su diversi campi, dalla regolarità del lavoro alle regole sugli appalti, la vigilanza in materia di sicurezza degli Enti preposti è solo uno degli strumenti, importante ma non sufficiente. 

La risposta che vi è stata è un decreto che rende più pesanti le sanzioni alle imprese, una sorta di via penale alla sicurezza che contiene in sè una rappresentazione troppo riduttiva della complessità del fenomeno. Le assunzioni di nuovi ispettori e carabinieri  posti in capo al INL non coprono verosimilmente neppure le  esigenze ispettive riferite alla sola lotta contro il caporalato e le irregolarità del lavoro. Nel contempo vengono assegnate al INL funzioni di vigilanza in materia di sicurezza del lavoro che richiedono competenze specialistiche cui questi ispettori nuovi assunti  dovranno essere formati. La risposte operative su scala ridotta si potranno vedere forse, per essere ottimisti,  tra un paio di anni…

 Quali compiti per il Sindacato dei lavoratori ?

La cultura sindacale in materia di salute e sicurezza maturata negli anni 60 e 70 faceva riferimento al principio della “non delega”: erano i lavoratori che , in assenza dell’intervento dell’Ispettorato del lavoro di allora, assumevano il compito di valutare e intervenire sulle nocività e sui rischi di incidenti con l’aiuto di propri esperti ( ex.art.9 Legge 300/70). Su questa base i lavoratori elaboravano piattaforme con le richieste di miglioramento delle condizioni di sicurezza. Sulla base di quella esperienza  furono istituiti i primi servizi di medicina del lavoro dai quali poi, successivamente,  furono costruiti  i servizi delle ASL con il passaggio delle competenze di vigilanza e ispezione.

Dal principio della “non delega” praticato con successo in quegli anni , siamo passati, purtroppo,  alla “delega in bianco” con la richiesta di più controlli come generica rivendicazione sindacale e con un assenso, sia pure tiepido , dato  ad un D.L. che contiene, assai palese,  una ipotesi di accentramento e di concentrazione degli interventi in materia di salute e sicurezza in un unico ente posto in capo al Ministero del Lavoro.

Nei fatti se dovesse passare  l’impostazione approssimativa e un pò sgangherata  del D.L. 146/21 la vigilanza diventerebbe , nel migliore dei casi, solo generica vigilanza antinfortunistica e gli aspetti di rischio riguardanti le malattie professionali sarebbero posti in secondo, terzo  piano, consegnati , nel migliore dei casi, solo a qualche volonteroso Medico Competente .  E’ vero che i Servizi di Prevenzione negli ambienti di lavoro delle Asl non sono stati istituiti in eguale misura sul territorio nazionale ma nelle  regioni più importanti  hanno lavorato bene , hanno sviluppato metodologie operative e un patrimonio di esperienze gestionali volto alla soluzione dei problemi e non solo alla ricerca dei reati. Le Regioni, per parte loro, hanno una grave responsabilità in quanto, in molti casi, non hanno investito sui Servizi di medicina del lavoro delle Asl , non hanno neppure assunto il personale che doveva  sostituire i pensionamenti mettendo in crisi operativa i Servizi.

Il sindacato su questa tematica da alcuni anni, anche in ragione dei continui processi di ristrutturazione  del sistema produttivo,  è debole, è sulla difensiva, non in grado di sviluppare una propria iniziativa incisiva per la salute e la sicurezza nel lavoro nelle aziende. In diverse realtà non vi è stata da parte sindacale neppure una richiesta alle Regioni  di fare assunzioni per coprire i pensionamenti degli operatori dei servizi territoriali delle Asl.  E’ da questa debolezza che ha origine il disegno sotteso nel D.L.146/21: concentrare e ridurre alla sola vigilanza antinfortunistica  l’intervento dello stato in materia di salute e sicurezza sul lavoro cancellando quel ruolo fondamentale che hanno svolto i servizi territoriali delle Asl sul campo con la interlocuzione con i lavoratori, i Rls, con le piccole imprese, con i professionisti della consulenza alle aziende che tanta parte, nel bene come nel male, hanno nella valutazione e gestione dei rischi.

Il D.L 146/21 deve essere cambiato in profondità prima della conversione in legge, occorre che vi sia un intervento delle Regioni che confermi la volontà politica di investire nei Servizi  delle Asl  come presidio presente a livello territoriale in grado di interloquire con i soggetti imprenditoriali e le organizzazioni dei lavoratori. La lotta contro gli incidenti gravi e mortali  sul lavoro si potrà vincere se si svilupperanno ricerche  di settore, comparto e filiera  che individuino le specifiche anomalie che le attuali forme “liquide e informali” di organizzazione del lavoro producono mettendo i lavoratori e le lavoratrici, assai spesso precari e non formati in modo adeguato, in una condizione di rischio per la  loro salute e incolumità fisica. Per fare questo non serve che i Servizi di prevenzione si dotino soltanto di una “feroce armata” di “cacciatori di reati” ma occorrono gruppi interdisciplinari di operatori intelligenti e preparati  in grado di “leggere” i modelli organizzativi e individuare le anomalie organizzative e gestionali che producono i disastri….

Gino Rubini, editor di Diario Prevenzione, già sindacalista Cgil,  per molti anni si è occupato di salute e sicurezza sul lavoro.