Lista d’attesa in sanità, ennesima puntata!

autore Jean Olivier Mallet

I medias riscoprono il tema delle liste di attesa nel SSN italiano. Uno degli argomenti nei discorsi sulla sanità, accanto a quello dei tickets e a quello delle nomine “politiche”regionali dei direttori e dei primari. E ovviamente la malasanità. E il pagamento “sotto banco” di prestazioni complesse o urgenti.
Espressione di disfunzioni reperite da tempo: attorno al 1999, la ministra Rosy Bindi cercava già di governare il doppio esercizio dei medici ospedalieri tra pubblico e privato col l’uso dell’intramoenia. Con risultati variabili.
A fine Novecento, era un luogo comune dell’economia sanitaria che i sistemi sanitari universalistici (“beveridgiani” come nel Nord Europa, nelle Isole britanniche o in Italia ed altri Paesi del Sud-Europa) si regolavano per parte attraverso un razionamento di risorse, di cui le liste d’attesa erano una espressione. Mentre i sistemi sanitari mutualistici “particolaristi-selettivi” (“bismarckiani” come la Francia e la Germania) e liberali (USA) usavano piuttosto lo strumento della compartecipazione (tickets, supplemento di onorari medici…) o di assicurazioni differenziate secondo i bisogni o le tariffe. Oggi i sistemi sanitari si sono mischiati e i primi conoscono anche i tickets, mentre i secondi non ignorano più le liste d’attesa nel settore pubblico o convenzionato.

A lungo, nel NHS britannico, le liste d’attesa sono cosi state un indicatore della efficienza dei presidi ospedalieri: le riforme erano considerate riuscite se si riducevano le liste
Certo, in Italia, i tagli degli organici, l’assunzione di personale durevolmente a tempo determinato, l’obsolescenza e il logoramento dei materiali in mancanza di investimenti sufficienti hanno prolungato le liste d’attesa anche in Regioni considerate a lungo efficienti (per esempio, il Veneto). Le persistenti migrazioni sanitarie provenienti dal Sud aumentano la domanda di esami e interventi. Le liste di attesa possono limitarle per una priorità nuova accordata agli assistiti delle Regioni del Centro-Nord.

Per poter rispondere uniformemente sul territorio nazionale ai LEA (anche nuovamente aumentati), qualcuno ha proposto di affiancare al finanziamento pubblico del SSN e ai suoi presidi dei finanziamenti privati intermediati con o senza scopo di lucro ed eventualmente altre nuove strutture private convenzionate oltre a quelle già esistenti, numerose e ampiamente utilizzate (dalle tariffe spesso appena superiori ai super-tickets). L’apporto privato permetterebbe di sollevare l’SSN dalla pressione di domanda che subisce fornendo agli assistiti risorse supplementari dentro o fuori il sistema pubblico e magari di accorciare le liste d’attesa. Cosi, nella lettura italiana, l’assistenza sanitaria integrativa (e per parte sostitutiva di fatto: dentistica, ottica, dispositivi medici) soprattutto aziendale francese è guardata spesso come un esempio da seguire: riduce infatti la spesa out of the pocket delle famiglie intermedi-endo una parte crescente della spesa ambulatoriale, farmaceutica e specialistica. Ma (a parte il fatto che può anche amplificare l’aumento delle tariffe mediche extra-convenzionali rimborsate da certe coperture mutualistiche/assicurative delle grandi aziende), non offre una solidarietà estesa come la copertura pubblica (assurance maladie de la sécurité sociale) ma mutua-lizza soltanto tra categorie professionali (più o meno privilegiate) e lascia da parte altre categorie socio-professionali, che devono ricorrere all’assistenza a finanziamento statale col rischio del ritorno a un dispositivo selettivo stigmatizzante per indigenti tipo legge francese del 1893 o Medicaid statunitense. Per certi economisti francesi, al contrario di essere una soluzione ai tagli del finanziamento pubblico, l’assistenza sanitaria integrativa (“generalizzata” e parzialmente defiscalizzata sotto Hollande a tutt i dipendenti) per coprire il riflusso progressivo della copertura pubblica universalistica sarebbe un cavallo di Troia di una privatizzazione temporaneamente subdola.

Le liste d’attesa dunque come un indicatore del fallimento della sanità pubblica?
Certo, le politiche di austerity e di tagli trasversali (spesso altro che spending review rigorosa) hanno ridotto la qualità del servizio in molte realtà locali: con la corruzione persistente, col corporativismo di una parte del personale sanitario, con la demotivazione di una altra parte, tali politiche non potevano che portare al peggioramento del servizio. Spingendo molti pazienti a ricorrere al privato intramoenia, convenzionato, low cost o magari al nero. Una sconfitta dunque? Non per tutti, se pensiamo che il Presidente Mario Monti nel novembre 2011 preconizzava “altri fonti di finanziamento del SSN” (capire: assicurazioni e mutue private), e che la Ministra Beatrice Lorenzin in un documento del 2015 prevedeva l’auspicabile calo della spesa sanitaria pubblica al 6% del PIL (invece del 7% attuale circa). “Mettere i conti pubblici a posto” secondo i criteri di Maastricht-Amsterdam-Fiscal Compact (o “fare i compiti a casa” secondo l’espressione infantilizzante di Mario Monti, internizzando la troika), diventa più facile, se si restringe l’area dell’intervento pubblico, sempre sospettoso in Europa del Sud di essere fonte di inefficienza e di corruzione. Per far posto alle assicurazioni, fondi aziendali e “mutue” private, è necessario che il ruolo del pubblico sia ridimensionato. Meglio se diventa una domanda degli assistiti spinti dalla necessità di far fronte alle disfunzioni del SSN: il livello elevato dei tickets (anche se modulati secondo il reddito fiscale come in Toscana, a rischio di provocare la de-solidarietà dei ceti agiati ) e le liste d’attesa disperanti sono strumenti di sfiducia efficaci per minare il consenso nella sanità pubblica. Non c’è bisogno di essere complottisti: in una economia finanziarizzata come quella odierna, il Welfare (sanitario) è un gigantesco mercato potenziale che gli operatori finanziari guardano con avidità senza preoccuparsi minimamente di giustizia sociale. Per loro forse ben vengano le liste di attesa, che permettono di denunciare un sistema pubblico “politicizzato” e inefficiente e di indirizzare quote di clientela solvibile verso strutture private finanziate da polizze assicurative, magari defiscalizzate ? A rischio però, per diversi pazienti, di sostituire le lunghe e pesanti liste d’attesa con la “rinuncia alle cure” (IRDES institut de recherche et documentation en économie de la santé e CENSIS), foriera di posteriori aggravi delle patologie e di costi ulteriori (pubblici)….

Jean-Olivier, Pisa, 19.1.2018