Legambiente Emilia-Romagna esce dal Patto per il Lavoro e il Clima della Regione Emilia-Romagna

 

Fonte Legambiente Emilia-Romagna

Azioni non in linea con gli obiettivi fissati, incoerenza delle politiche pubbliche in materia ambientale e mancanza di coesione tra i firmatari alla base della scelta dell’associazione ecologista

Dopo un’esperienza durata due anni e mezzo, Legambiente Emilia-Romagna ha deciso di uscire dal gruppo di organizzazioni firmatarie del Patto per il Lavoro e il Clima promosso dalla Regione Emilia-Romagna. La scelta, maturata a seguito del confronto tra i livelli dell’associazione, è legata soprattutto alla mancanza di coerenza tra gli obiettivi indicati nel Patto e le azioni realizzate in questi anni dalla Regione.

Nonostante, infatti, gli impegni assunti con la firma del Patto e l’apparente condivisione di finalità dell’azione politica tra i firmatari, non sono però mancate scelte, sia nell’ambito della pianificazione regionale sia nell’autorizzazione a singoli progetti, decisamente in contrasto con tali finalità.

“Avevamo sperato che l’impegno assunto dalla Regione rispetto alle principali questioni ambientali del nostro tempo, che era stato riconosciuto anche dal cambiamento del nome del Patto rispetto al passato, quando non c’era riferimento al ‘Clima’, si concretizzasse in modo decisamente più forte rispetto a quanto è in realtà avvenuto”, dichiara Legambiente. “È evidentemente mancata la capacità di trovare un punto d’incontro tra l’obiettivo di mantenere un sistema economico forte e la necessità di attuare la transizione ecologica nei tempi dettati dalla crisi ambientale in cui ci troviamo.”

L’episodio più emblematico in questo senso, secondo l’associazione ecologista, è stata l’accoglienza che è stata data al nuovo rigassificatore di Ravenna, un impianto che ben poco ha a che fare con la transizione energetica che invece imporrebbe l’abbandono dei combustibili fossili in tempi rapidi: invece di cogliere l’opportunità della crisi russo-ucraina, la Regione (affiancata in questo dai Governi nazionali che si sono succeduti dal 2021 in poi) ha scelto di appoggiare la strategia della diversificazione dei Paesi di approvvigionamento del gas, una strategia che, per i tempi che sono stati indicati nei provvedimenti autorizzativi dei nuovi impianti, vincolerà il Paese per decenni alle risorse fossili.

Allo stesso tempo, è mancato un chiaro indirizzo a supporto degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili: in particolare per quello che riguarda gli impianti eolici, dalla Regione e dai firmatari del Patto è mancata un’azione chiara e coerente finalizzata al miglior inserimento di tali impianti nei contesti territoriali dell’Emilia-Romagna.

“Come è stato evidenziato anche dalle attività di Legambiente a livello nazionale, la transizione energetica incontra numerosi ostacoli su tutti i territori. Nel contesto emiliano-romagnolo è mancata una comunanza d’intenti tra i soggetti che avevano sottoscritto un impegno a favore della transizione energetica: anche nel caso nell’ultima delibera regionale in materia, dedicata alle aree idonee per l’installazione di impianti fotovoltaici, l’impegno dei consiglieri regionali promotori di emendamenti migliorativi rispetto alla proposta iniziale si è scontrato con l’opposizione di chi, pur aderendo al Patto, non sta riconoscendo l’urgenza di ridurre le emissioni climalteranti che tanti danni stanno provocando e provocheranno al nostro territorio.”

L’energia non è però l’unico ambito sul quale l’azione del Patto è stata carente, secondo Legambiente.

“Abbiamo avuto modo di confrontarci con l’Amministrazione regionale e gli altri portatori d’interesse su alcuni strumenti di pianificazione cruciali per lo sviluppo del territorio regionale, come il Piano Integrato dei Trasporti (PRIT) e il Piano Rifiuti (PRRB)”, ricorda l’associazione. “Nel caso del PRIT abbiamo presentato una protesta formale alla luce dell’incoerenza del Piano e delle sue previsioni infrastrutturali rispetto agli altri piani che si occupano di aspetti ambientali: in quell’occasione non c’è stato modo di ottenere alcuna modifica al testo che era stato portato alla discussione dell’Assemblea legislativa.”

“In merito al Piano Rifiuti avevamo invece presentato osservazioni relative alle previsioni di evoluzione dei quantitativi di rifiuti prodotti: le previsioni contenute nel Piano non erano in linea con l’ipotesi di applicare le migliori pratiche a disposizione per ottenere una riduzione significativa dei rifiuti stessi, un requisito necessario per poter ipotizzare di chiudere un impianto di incenerimento” continua Legambiente. “In questo caso si è voluto mantenere un obiettivo decisamente meno ambizioso, sulla scorta di indicazioni di livello nazionale: questo obiettivo non è però in linea con i risultati ottenuti nei territori che hanno adottato il sistema di tariffazione puntuale, che hanno ottenuto performance molto migliori di quanto prevede oggi il Piano.”

Tema ulteriore rispetto al quale Legambiente ha manifestato preoccupazione nel tempo è il consumo di suolo. Nonostante le finalità enunciate in fase di approvazione della legge urbanistica regionale 24/2017, tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale., come ricordato recentemente da Paolo Pileri.

“Come era stato preventivato da esperti e organizzazioni ambientaliste, la legge urbanistica non ha consentito di interrompere il consumo di suolo in Emilia-Romagna: secondo i dati ISPRA, i processi di copertura e impermeabilizzazione del suolo proseguono a ritmi elevati e i casi di grandi espansioni delle superfici urbanizzate non si sono fermati. Resta particolarmente critico il tema dei poli logistici, la cui realizzazione sul territorio continua a sfuggire alle logiche della pianificazione, a partire dalla mancanza di connessione con le infrastrutture ferroviarie. Ha costituito un segnale particolarmente negativo in questo senso l’approvazione di proroghe ai termini di attuazione delle previsioni urbanistiche previgenti alla nuova legge che, negli anni passati, hanno consentito di prolungare la validità dei vecchi PRG e PSC: questo ha portato alla prosecuzione di interventi urbanistici previsti da anni che, tra l’altro, non verranno nemmeno computati nell’ammontare del consumo di suolo consentito dalla nuova legge.”

Anche gli eventi estremi verificatisi nel mese di maggio in Romagna sono stati motivo di riflessione per Legambiente Emilia-Romagna.

“Abbiamo assistito con sgomento a quanto accaduto sul territorio e crediamo sia necessario procedere quanto prima non solo alla ricostruzione, ma anche a una trasformazione del sistema di gestione delle precipitazioni e di quello fluviale”, rimarca l’associazione. “Come ha sottolineato giustamente il segretario dell’Autorità Distrettuale di Bacino del Po, non occorre ripristinare la situazione preesistente, ma è necessario riprogettare e ampliare gli spazi a disposizione dei fiumi in modo da ridurre il rischio: questo significa rivedere le logiche che hanno guidato la pianificazione territoriale in passato, e quindi restituire spazio ai fiumi anche delocalizzando insediamenti oggi collocati in aree prossime ai corsi d’acqua.”

“Non abbiamo apprezzato il riferimento sprezzante di amministratori pubblici alle organizzazioni ambientaliste additate come responsabili di ostacoli alla realizzazione di opere per la sicurezza del territorio”, aggiunge Legambiente. “Addossare le responsabilità del mancato adattamento delle infrastrutture al cambiamento climatico a chi proprio di cambiamento climatico si occupa tutti i giorni è una palese contraddizione e il segno che la protezione dell’ambiente continua ad essere trattata come un elemento secondario, il contrario di ciò che il Patto per il Lavoro e il Clima avrebbe dovuto realizzare.”

Legambiente ribadisce infine il proprio sostegno alle politiche ambientali e di sviluppo sostenibile promosse sul territorio dell’Emilia-Romagna: “Continueremo a svolgere il nostro lavoro di analisi e di stimolo affinché la Regione, gli enti pubblici e il settore privato compiano rapidamente la transizione verso un modello socioeconomico a basso impatto ambientale. La nostra disponibilità al confronto resta immutata, serve però chiarezza da parte dei decisori politici ed economici: la crisi climatica richiede risposte immediate e non contraddittorie.”