Apocalisse degli insetti nell’Antropocene/4

Fonte : Antropocene che ringraziamo

By Ian Angus

 

Finché una manciata di aziende agrochimiche e commercianti di materie prime controllerà gli input e gli output dell’agricoltura globale, la spinta del capitale a imporre la monotonia monoculturale continuerà – e l’apocalisse degli insetti accelererà.


Nella prima parte si è discusso del forte calo delle popolazioni di insetti in tutto il mondo.
Nella seconda parte si è discusso del ruolo delle monocolture.
Nella terza parte si è discusso della guerra chimica contro gli insetti.
In questa quarta parte si discute di come l’ingegneria genetica e i diserbanti accelerino l’assalto del capitalismo alla vita degli insetti.


 

«Le piante sono, ovviamente, la base di quasi tutte le catene alimentari, e sviluppando metodi di coltivazione che sradicano quasi completamente le erbe infestanti dai campi coltivabili, in modo tale che le colture sono spesso vicine a monocolture pure, abbiamo reso gran parte de lnostro paesaggio inospitale per la maggior parte delle forme di vita». Dave Goulson [1]

 


Per decenni, i sostenitori degli alimenti geneticamente modificati (OGM) hanno promesso colture miracolose che avrebbero salvato vite e sfamato il mondo. Cereali che prosperano durante la siccità. Una migliore nutrizione, fra cui il riso che contiene vitamine che salvano la vista. Mele che non marciscono. Riduzione delle emissioni di CO2. Più cibo da meno terra.

Secondo l’International Service for the Acquisition of Agribiotech Applications (ISAAA), favorevole alla biotecnologie, i benefici della modificazione genetica sono così grandi che la superficie dedicata alle colture geneticamente modificate è passata da zero nel 1996 a 190,4 milioni di ettari (470,5 milioni di acri) nel 2019 – «la tecnologia di coltivazione adottata più rapidamente» nella storia.[2]

Eppure, se guardiamo le statistiche dell’ISAAA, scopriamo che l’85% dell’area dedicata a colture OGM si trova in soli quattro paesi, Stati Uniti, Brasile, Argentina e Canada, e che circa il 99% di tutte le modifiche genetiche nelle colture commerciali oggi rientrano in due sole categorie, la tolleranza agli erbicidi e la resistenza agli insetti, che nulla hanno a che fare con il miglioramento della qualità del cibo. Inoltre, la soia e il mais, che rappresentano oltre il 90% delle colture geneticamente modificate, sono utilizzati principalmente per produrre mangimi e biocarburanti, non per nutrire le persone affamate.

I principali risultati dell’ingegneria genetica in agricoltura sono stati l’espansione delle monocolture nel Nord e Sud America, l’aumento dell’uso di veleni chimici e l’incremento dei profitti per le poche aziende che dominano la produzione di prodotti chimici per l’agricoltura e di sementi OGM. Si discute molto sull’impatto delle colture geneticamente modificate e dei relativi pesticidi sulla salute umana, ma questo articolo si concentra sul loro ruolo nella creazione di massicce monocolture che distruggono la vita.

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Come abbiamo visto, due caratteristiche dell’agricoltura industriale hanno determinato l’apocalisse degli insetti: l’uso massiccio di veleni e la distruzione degli habitat. Miliardi di animali a sei zampe vengono uccisi ogni anno dai veleni chimici che dovrebbero proteggere le colture. E le monocolture su larga scala – terreni e aziende agricole specializzati in un’unica coltura – li privano di cibo e di luoghi in cui vivere e riprodursi. Entrambi sono aspetti di quella che è stata definita la rivoluzione verde, un aumento della produzione attraverso il ricorso a metodi che hanno danneggiato l’ambiente e ridotto la biodiversità.

Negli anni ’90 è iniziata una seconda e più distruttiva fase dell’agricoltura industriale, una fase che potremmo chiamare quella della rivoluzione genetica. Le sementi geneticamente modificate hanno cambiato le regole del gioco, ampliando notevolmente le aree riservate alle monocolture ostili agli insetti. La transizione è stata avviata nel 1996 dall’azienda chimica Monsanto di St. Louis, il cui prodotto più importante è il diserbante Roundup.

“Erba” non è una categoria scientifica. Un’erbaccia è una pianta indesiderata, che cresce nel posto sbagliato, in competizione con specie più desiderabili per lo spazio, i nutrienti, l’acqua e la luce del sole. Tradizionalmente, gli agricoltori limitavano la crescita delle erbe infestanti utilizzando colture di copertura, la pacciamatura e una frequente rotazione delle colture, ma era necessaria anche la loro rimozione fisica per ucciderle ed evitare che contaminassero il raccolto. Per millenni, sradicare le erbacce è stata una parte necessaria e laboriosa dell’agricoltura, e lo è ancora in gran parte del mondo.

All’inizio del XX secolo, alcuni agricoltori in Europa e Nord America usavano acido solforico e composti dell’arsenico per eliminare le erbacce, ma le applicazioni chimiche sono diventate comuni solo alla fine degli anni ’40, quando la sostanza chimica diserbante 2,4-D, sviluppata dalle forze armate statunitensi come arma biologica, divenne generalmente disponibile.[3] Essa fu ben presto affiancata da altri erbicidi sintetici, tra cui il 2,4,5-T, il Dicamba e il Triclopir*, come armi fondamentali in quello che Rachel Carson definì «l’ariete del controllo chimico diretto contro gli esseri viventi»**.[4] Questi prodotti furono ampiamente adottati, scrive Jennifer Clapp, per il fatto di rendere più facile l’agricoltura.

«Questi prodotti chimici avevano successo nell’uccidere le piante indesiderate su vaste aree ed erano popolari perché facevano risparmiare manodopera. Quando le dimensioni delle aziende agricole cominciarono ad aumentare con la crescente meccanizzazione dell’agricoltura a metà del XX secolo, l’uso di erbicidi si espanse notevolmente e divenne la norma per il controllo delle erbe infestanti».[5]

Monsanto ha introdotto il Roundup nel 1976. Il suo ingrediente principale era il glifosato, una sostanza chimica che uccide le piante bloccando la loro capacità di creare proteine essenziali. Era usato principalmente per ripulire i campi prima della semina e per uccidere le erbacce sui prati e lungo le strade, ma uccideva i raccolti in crescita se spruzzato sopra o vicino ad essi.

Nel 1996 la Monsanto ha cambiato le cose ricorrendo all’ingegneria genetica: invece di cambiare il veleno, ha cambiato le sementi. Le sue due famiglie di semi geneticamente modificati hanno avuto un grande successo.

• I semi Roundup Ready (RR) sono stati progettati per tollerare il glifosato: il Roundup spruzzato sui campi di colture RR avrebbe ucciso tutte le altre piante lasciando  intatte le colture. Inizialmente, è stato proposto per soia e colza, poi per il mais, l’erba medica, il cotone e il sorgo.

• I semi di mais e di cotone della Monsanto sono stati modificati per contenere i geni del Bacteria thuringiensis (Bt), un organismo tossico per alcuni bruchi e coleotteri che si nutrono di queste colture. In effetti, le colture cresciute da semi modificati Bt producono i propri insetticidi.

La Monsanto ha successivamente introdotto semi di mais e cotone che contenevano entrambi i tratti genetici. Secondo l’ISAAA, il 45% delle colture geneticamente modificate è oggi dedicato a colture “impilate” con geni per la tolleranza agli erbicidi e la resistenza agli insetti.

I semi brevettati erano più costosi, ma semplificavano la produzione. Il glifosato poteva ora essere spruzzato durante la stagione di crescita senza danneggiare le colture, producendo monocolture pure, campi in cui non potevano crescere piante concorrenti. Le aziende agricole che coltivavano colture Roundup Ready potevano essere quasi interamente meccanizzate, riducendo al minimo la manodopera. E, come la Monsanto sottolineava nella sua pubblicità, poiché il Roundup era letale per tutte le piante non OGM, era «l’unico diserbante di cui avete bisogno». Un sito web dell’azienda descriveva la combinazione di glifosato e semi resistenti al glifosato come «il sistema che vi rende liberi». [6]

Allo stesso tempo, la Monsanto si è mossa per bloccare il mercato degli input agricoli acquisendo oltre trenta aziende di sementi indipendenti, diventando nel 2005 il più grande venditore di sementi al mondo. Il controllo dei prodotti chimici, delle sementi e dei canali di distribuzione ha dato all’azienda un enorme vantaggio nel settore degli input agricoli. «L’azienda si è vantata con gli azionisti di aver registrato un aumento del 18% nel volume dei prodotti a base di glifosato venduti solo dal 1999 al 2000». La metà dei suoi 5,5 miliardi di dollari di entrate nel 2000 provenivano dal glifosato. [7]

Per oltre due decenni, il glifosato è stato l’erbicida più utilizzato al mondo. Il glifosato rappresentava l’1% degli erbicidi spruzzati sulle quattro principali colture statunitensi nel 1982, il 4% nel 1995, il 33% nel 2005 e il 40% nel 2012.[8] «Entro il 2020, il 90% di tutto il mais, il cotone, la soia e le barbabietole da zucchero piantati negli Stati Uniti [saranno] geneticamente modificati per tollerare uno o più erbicidi». [9]

Questo grafico illustra in modo lampante come il ricorso alle sementi geneticamente modificate della Monsanto abbia portato a un aumento delle vendite e dell’uso del diserbante della Monsanto negli Stati Uniti.


Uso del glifosato in agricoltura (per acri) negli Stati Uniti, 1990-2014. (Fonte: Stacy Malken, Merchants of Poison, Friends of the Earth, 2022, p. 14)

La soia e il mais sono di gran lunga le colture più estese negli Stati Uniti: insieme occupano quasi 190 milioni di acri (77 milioni di ettari),[10] oltre il 90% dei quali è coltivato con semi geneticamente modificati. Se si aggiungono aree più piccole di cotone, barbabietole da zucchero, erba medica e colza geneticamente modificate e oltre dodici milioni di acri di colture OGM in Canada, si ottiene un’area immensa e profondamente inospitale per gli insetti.


Sud America

La spinta alle vendite di Monsanto per la soia Roundup Ready non si è limitata al Nord America. Nel cono meridionale del Sud America, dove la proprietà terriera è molto più concentrata rispetto al Nord del mondo, i grandi proprietari terrieri hanno adottato rapidamente la combinazione di sementi/erbicidi, a partire dal 1996 in Argentina e diffondendosi nel decennio successivo in Paraguay, Uruguay, Brasile e Bolivia meridionale. I proprietari terrieri hanno espulso a milioni i piccoli agricoltori affittuari, sostituendoli con immense piantagioni di soia gestite da gruppi di investimento: per ogni lavoratore agricolo impiegato nella produzione di soia in Brasile, undici sono stati sfollati.[11]


Dichiarando «La soia non conosce confini», il gigante agrochimico Syngenta, in una pubblicità del 2003, ha definito quest’area la  «Repubblica Unita della Soia».

Già nel 2005, due importanti ecologi hanno riferito della massiccia dislocazione sociale e ambientale causata dall’adozione da parte dei proprietari terrieri della soia geneticamente modificata:

«Nel 1998 c’erano in totale 422.000 aziende agricole in Argentina, mentre nel 2002 erano 318.000, con una riduzione del 24,5%. In un decennio la superficie coltivata a soia è aumentata del 126% a scapito dei terreni destinati alla produzione di latte, mais, grano e frutta…

«In Paraguay la soia è coltivata su oltre il 25% di tutti i terreni agricoli del paese e in Argentina la superficie coltivata a soia ha raggiunto nel 2000 quasi 15 milioni di ettari, producendo 38,3 milioni di tonnellate. Tutta questa espansione sta avvenendo drammaticamente a scapito delle foreste e di altri habitat. In Paraguay stanno tagliando gran parte della foresta atlantica. In Argentina sono stati abbattuti 118.000 ettari di foreste per coltivare la soia, a Salta circa 160.000 ettari e a Santiago del Estero un record di 223.000 ettari. In Brasile, il Cerrado e le savane stanno cadendo vittime dell’aratro a un ritmo rapido».[12]

Allo stesso tempo, in tutta la regione, i produttori di soia hanno ampliato le loro proprietà attraverso il disboscamento e la deforestazione su larga scala.

Il Brasile e gli Stati Uniti sono oggi i maggiori produttori di soia al mondo, con un ampio margine: insieme coltivano più del doppio della soia rispetto al resto dei primi dieci paesi messi insieme.

Nel 2016, il giornalista ambientale Nazaret Castro ha scoperto che «circa il 60% della terra arabile dell’Argentina, una percentuale simile nel Sud del Brasile e quasi l’80% in Paraguay, è già coltivata a soia, che è praticamente tutta geneticamente modificata».[13]

Secondo un recente studio che ha fatto ricorso alla mappatura satellitare:

«Dal 2000 al 2019, l’area coltivata a soia è più che raddoppiata, passando da 26,4 milioni di ettari a 55,1 milioni di ettari. La maggior parte dell’espansione della soia è avvenuta su pascoli originariamente convertiti dalla vegetazione naturale per la produzione di bestiame. L’espansione più rapida si è verificata nell’Amazzonia brasiliana… In tutto il continente, il 9% della perdita di foreste è stato convertito alla produzione di soia nel 2016. La deforestazione provocata dalla soia si è concentrata alle frontiere attive, quasi la metà delle quali si trova nel Cerrado brasiliano».[14]

Come in Nord America, la produzione di soia in Sud America è accompagnata da un uso massiccio di erbicidi, in particolare di glifosato. In Brasile, le colture di soia GM vengono irrorate con glifosato in media tre volte per ogni ciclo di crescita: solo nel 2019, i coltivatori brasiliani hanno utilizzato 218 mila tonnellate di diserbante.[15]

Resistenza e tapis roulant

In Primavera silenziosa, Rachel Carson descrisse come l’uso estensivo di pesticidi avesse causato l’evoluzione di insetti ed erbacce che le sostanze chimiche non erano in grado di uccidere.

«Lo stesso Darwin non avrebbe saputo trovare un esempio di come agisca la selezione naturale migliore di quello che ci viene mostrato dal meccanismo con cui opera la resistenza… quelli deboli vengono uccisi dalla disinfestazione. Gli unici superstiti sono gli insetti che possiedono le qualità necessarie per sfuggire al danno. … [Ne risulta] e resistenti».[16]

Il risultato, ha scritto, è stato quello di intraprendere la «pericolosa strada del controllo chimico»***, che dipende dall’uso sempre maggiore di veleni sempre più letali.[17] Altri hanno descritto la conseguenza dell’evoluzione dell’agricoltura guidata dalla chimica come una corsa agli armamenti senza possibilità di vittoria fra pesticidi e parassiti.

Quando la Monsanto ha chiesto l’approvazione del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti per le sementi Roundup Ready, sembrava sostenere che il glifosato fosse in qualche modo immune all’evoluzione, a causa di alcune imprecisate «proprietà biologiche e chimiche». La petizione affermava che «il glifosato è considerato un erbicida a basso rischio di resistenza delle erbe infestanti», per cui «è altamente improbabile che la resistenza delle erbe infestanti al glifosato diventi un problema a seguito della commercializzazione della soia tollerante al glifosato». Piuttosto che causare resistenza, «l’uso totale di erbicidi potrebbe essere ridotto».[18]

Pochi scienziati sono d’accordo. L’ecologo Miguel Altieri, ad esempio, ha previsto nella rivista socialista «Monthly Review» nel 1998 che «queste colture probabilmente aumenteranno l’uso di pesticidi e accelereranno l’evoluzione di ‘superinfestanti’ e di ceppi di insetti resistenti».[19]

È esattamente quello che è successo.

Nel giro di pochi anni, le erbe infestanti che il glifosato non è in grado di fermare hanno iniziato a diffondersi in Nord e Sud America – la resistenza al glifosato è stata confermata in circa cinquanta specie. Alcune sono particolarmente distruttive: la crescita incontrollata dell’amaranto di Palmer, ad esempio, può ridurre dell’80% la resa della soia e del 90% quella del mais. Come mostra lo studio di Jennifer Clapp sull’adozione del glifosato, quest’ultimo è diventato l’ennesimo motore della corsa al controllo chimico.

«Di fronte alla crescente resistenza delle erbe infestanti, gli agricoltori hanno inizialmente spruzzato il glifosato in quantità maggiori sulle stesse colture per controllarle. Poiché le erbe infestanti resistenti al glifosato continuano ad emergere, gli agricoltori, incoraggiati dalle aziende produttrici di erbicidi, stanno applicando sempre più spesso prodotti chimici più vecchi e più tossici, come il Dicamba e il 2,4-D, per controllare le erbe infestanti nei loro campi.»[20]

Allo stesso modo, l’aggiunta di geni Bt al mais e al cotone ha aumentato la resistenza agli insetti e l’uso di pesticidi. Il Pesticide Atlas del 2022 riporta che:

«Negli Stati Uniti, gli esemplari della diabrotica del mais occidentale sono già resistenti a più di una tossina Bt. All’inizio della coltivazione delle colture Bt, il numero di pesticidi utilizzati è effettivamente diminuito. Ma solo in modo temporaneo: le vendite di insetticidi per la produzione di mais negli Stati Uniti sono aumentate in modo significativo. Nel 2018, gli agricoltori indiani hanno speso il 37% in più per ettaro in insetticidi rispetto a prima dell’introduzione del cotone geneticamente modificato nel 2002».[21]

Fino a poco tempo fa, i semi GM contenevano al massimo tre modifiche genetiche, ma la Bayer, che ha acquisito la Monsanto nel 2018, ha recentemente alzato la posta con otto modifiche genetiche nel suo mais Smartstax Pro. Questi semi altamente ingegnerizzati tollerano i diserbanti glifosato e dicamba, producono cinque diverse tossine Bt che uccidono gli insetti e utilizzano una nuova tecnologia di interferenza a RNA per bloccare la produzione di proteine essenziali nei vermi delle radici, il parassita del mais più dannoso.

La corsa agli armamenti continua.

Monoculture e capitalismo

Nel 1859, nel paragrafo finale dell’Origine delle specie, Charles Darwin descrisse il mondo naturale come «una rigogliosa ripa fluviale, coperta di molte piante appartenenti a molti tipi, con gli uccelli che cantano tra i cespugli, i diversi insetti che svolazzano intorno e con i vermi che strisciano nel terreno umido… [piena di] forme dalla struttura così complessa, tanto differenti le une dalle altre e dipendenti le une dalle altre in modo talmente complicato».****

Se Darwin potesse vedere ciò che l’agricoltura capitalistica ha fatto alle rigogliose rive del nostro tempo, sarebbe senza dubbio d’accordo con l’ecologo della conservazione Ian Rappel: «la sostituzione della meravigliosa biodiversità con la monotonia monoculturale è diventata centrale nel metabolismo socio-ecologico del capitalismo».[22]

«L’ecologia che viene attivamente progettata nel capitalismo è determinata dalle aspirazioni di profitto della classe dirigente. …

«Il capitalismo è stato in grado di sostenere il suo rifiuto della natura e la sua tendenza ecologica distruttiva solo attraverso la produzione di beni ecologici artificiali da parte di vari rami dell’industria capitalistica, ad esempio l’agricoltura. Questo crea una tendenza ecologica disfunzionale verso l’uniformità e la semplicità ecologica che inevitabilmente porta alla perdita di biodiversità e all’estinzione».[23]

Miguel Altieri collega il rapido declino della biodiversità alla globalizzazione dell’agricoltura capitalistica alla fine del XX secolo.

«La natura stessa della struttura agricola e le politiche prevalenti in un contesto capitalistico hanno portato alla crisi ambientale favorendo le grandi aziende agricole, la produzione specializzata, le monocolture e la meccanizzazione. Oggi, con l’integrazione di un numero sempre maggiore di agricoltori nelle economie internazionali, l’imperativo biologico della diversità scompare a causa dell’uso di molti tipi di pesticidi e fertilizzanti artificiali, e le aziende agricole specializzate sonopremiate dalle economie di scala».[24]

La massimizzazione della produzione di poche piante che possono essere vendute con profitto sui mercati mondiali ha portato alla creazione di vaste monocolture, aziende agricole simili a fabbriche che avvelenano e affamano l’intricata riva di Darwin. Il mantenimento di queste monocolture richiede quantità sempre maggiori di prodotti chimici, intrappolando gli agricoltori su un tapis roulant molto redditizio per l’industria agrochimica. Si stima che le vendite globali di erbicidi siano state pari a 39 miliardi di dollari nel 2021 e che probabilmente raggiungeranno i 49 miliardi di dollari nel 2027. Le cifre equivalenti per gli insetticidi sono 19,5 miliardi di dollari e 28,5 miliardi di dollari.[25]

Finché una manciata di aziende agrochimiche e commercianti di materie prime controllerà gli input e gli output dell’agricoltura globale, la spinta del capitale a imporre la monotonia monoculturale continuerà – e l’apocalisse degli insetti accelererà.

Note

* N.d.T. L’acido 2,4,5-triclorofenossiacetico è un acido carbossilico, il suo nome comune è 2,4,5-T. Viene utilizzato come diserbante e con l’acido 2,4-diclorofenossiacetico, anche conosciuto come 2,4-D, prende parte alla miscela conosciuta come Agente Arancio, sempre un diserbante. Un tempo commercializzato col nome Tormoca. (Wikipedia) Il Dicamba è un erbicida ad ampio spettro, il Triclopir è un composto organico nel gruppo delle piridine che viene utilizzato come erbicida e fungicida fogliare sistemico. (Wikipedia)

** N.d.T. Abbiamo riportato qui naturalmente la traduzione dell’edizione italiana, citata nelle note, la Carson però usa l’espressione «the chemical barrage against the fabric of life», cioè «lo sbarramento chimico contro il tessuto della vita», metafora a nostro avviso più efficace.

*** N.d.T. La Carson scrive più efficacemente «turned their backs on all biological methods and set foot on ‘the treadmill of chemical control’», cioè «volsero le spalle a tutti i metodi biologici e misero piede sul “tapis roulant del controllo chimico”». Per adottare la traduzione italiana, citata in nota, abbiamo dovuto modificare leggermente il testo di Angus.

**** N.d.T. Charles Darwin, L’origine delle specie, Newton Compton, Roma, Ottava edizione, Dicembre 2010, p. 428.

[1] Dave Goulson, Silent Earth: Averting the Insect Apocalypse, HarperCollins, 2021, p. 123.

[2] ISAAA, ISAAA Brief 55-2019: Executive Summary, ISAAA Inc., 2019.

[3] 2,4-D è l’abbreviazione dell’acido 2,4-diclorofenossiacetico – C8H6Cl2O3.

[4] Rachel Carson, Primavera silenziosa, Universale Economica Feltrinelli/Saggi, Milano, Nona edizione, Aprile 2019, p. 302.

[5] Jennifer Clapp, Explaining Growing Glyphosate Use: The Political Economy of Herbicide-Dependent Agriculture, «Global Environmental Change» 67, 24 Febbraio, 2021.

[6] Bartow J. Elmore, Seed Money: Monsanto’s Past and Our Food Future, W. W. Norton, 2021, pp. 186, 187.

[7] Carey Gullam, Whitewash: The Story of a Weed Killer, Cancer, and the Corruption of Science, Island Press, 2017, p. 46.

[8] Jennifer Clapp, Explaining Growing Glyphosate Use, op. cit.

[9] Erica Borg e Amedeo Policante, Mutant Ecologies: Manufacturing Life in the Age of Genomic Capital, Pluto Press, 2022, p. 124.

[10]
 Crop Production Historical Track Records, United States Department of Agriculture, 2019, pp. 31, 164.

[11] Miguel A. Altieri e Walter A. Pengue, Roundup Ready Soybean in Latin America: A Machine of Hunger, Deforestation and Socio-Ecological Devastation, «Biosafety Information Centre», 8 Agosto 2005.

[12] Miguel A. Altieri and Walter A. Pengue, Roundup Ready Soybean in Latin America: A Machine of Hunger, Deforestation and Socio-Ecological Devastation, op. cit.

[13] Nazaret Castro, ‘United Republic of Soyabeans’ and the Challenge to Agriculture, «Equal Times», 12 Dicembre 2016.

[14] Xiao-Peng Song et al., Massive Soybean Expansion in South America since 2000 and Implications for Conservation, «Nature Sustainability» 4, no. 9, 7 Agosto 2021, p. 784. Nel 2006 è stata imposta una moratoria sulle nuove coltivazioni di soia nell’Amazzonia brasiliana: lo sviluppo si è quindi spostato verso una produzione su scala ancora più ampia nella regione tropicale del Cerrado, nel Sud-Est del paese.

[15] Aldo Merotto et al., Herbicide Use History and Perspective in South America, «Advances in Weed Science» 5, 15 Settembre 2022.

[16] Rachel Carson, Primavera silenziosa, op. cit., pp. 278-279.

[17] Rachel Carson, Primavera silenziosa, p. 283.

[18] Petition for Determination of Nonregulated Status: Soybeans with a Roundup Ready™ Gene, 1993, pp. 56, 55.

[19] Miguel A. Altieri, Ecological Impacts of Industrial Agriculture and the Possibilities for Truly Sustainable Farming, in Fred Magdoff (a cura di), Hungry for Business: The Agribusiness Threat to Farmers, Food, and the Environment, Monthly Review Press, 2000, p. 86. L’articolo originale è stato pubblicato su «Monthly Review», Luglio-Agosto 1998.

[20] Jennifer Clapp, Explaining Growing Glyphosate Use: The Political Economy of Herbicide-Dependent Agriculture, «Global Environmental Change» 67, Marzo 2021.

[21] Atlante dei Pesticidi 2022Heinrich-Böll-Stiftung, Friends of the Earth Europe, PAN Europe, 2022, ediz. italiana a cura di Cambiamo Agricoltura, p. 45.

[22] Ian Rappel, The Habitable Earth: Biodiversity, Society and Rewilding, «International Socialism», 2021.

[23] Ian Rappel, Capitalism and Species Extinction, «International Socialism», 2015.

[24] Miguel A. Altieri, Ecological Impacts of Industrial Agriculture and the Possibilities for Truly Sustainable Farming, in Fred Magdoff (a cura di), Hungry for Business, op. cit., p. 78.

[25] https://www.statista.com/statistics/1350387/herbicides-market-size-globally/;
https://www.statista.com/statistics/606103/value-of-the-global-insecticide-market/.

Ian Angus

Traduzione di Alessandro Cocuzza – Redazione di Antropocene.org

Fonte: Climate&Capitalism 19.04.2023