A quando una vera integrazione Ambiente Salute?

di Fabrizio Bianchi e Mauro Valiani

Fonte Quotidiano Salute che ringraziamo 

Il recente decreto legge n.36, che ha perso per strada l’incremento di risorse per il personale dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, merita di essere discusso. Diversi si sono già pronunciati su QS, ad esempio Bisceglia e altri per l’Associazione Italiana di Epidemiologia, noi ci proponiamo di offrire qualche spunto sulla prevenzione necessaria e quindi sui Dipartimenti di Prevenzione (DP) delle ASL, così essenziali e così bistrattati.

 

La pandemia ha evidenziato, ancora una volta, la natura interconnessa dei nostri sistemi planetari, dalle origini zoonotiche delle malattie e la loro relazione con il nostro ambiente naturale e sistemi alimentari, alla maggiore vulnerabilità alle malattie derivante dalla disuguaglianza sociale, dall’inquinamento dell’aria e altri fattori ambientali. Come ci indicano le grandi Agenzie dell’OMS, la strategia One Health è un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Il raggiungimento della visione di sostenibilità dell’UE per il 2050 è veramente messo a rischio dai venti di guerra, ma anche dalla mancanza di volontà politiche e cambiamenti decisivi nel carattere e nell’ambizione delle azioni.

Assai rilevante è la recente approvazione della legge costituzionale che modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione, introducendo tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’attenzione al destino delle future generazioni. Effettivamente, per i costituenti, nel dopoguerra, l’attuale emergenza ambientale e climatica non era immaginabile. Questo nuovo quadro ‘chiama’ una revisione delle politiche e delle pratiche, delle risorse e dell’assetto organizzativo dei servizi pubblici più direttamente connessi con questa materia.

L’approccio fino ad oggi prevalentemente perseguito, e finanziato, è quello basato sulla promozione individuale della salute. Effettivamente esistono prove che alcuni interventi (counselling) sono efficaci quando saggiati in contesti sperimentali, ma vi sono difficoltà organizzative quando li si vuole attuare su larga scala. Benché questi approcci di promozione individuale della salute siano necessari, essi si sono rivelati insufficienti, e in alcune situazioni hanno teso ad ampliare le differenze tra classi sociali per la migliore adesione ad azioni preventive da parte degli strati sociali più istruiti.

La prevenzione delle malattie si deve dunque attuare con una combinazione di interventi strutturali, incluse le politiche non strettamente sanitarie, come la pianificazione del territorio o la promozione di consumi sostenibili, uso di fonti energetiche non impattanti, valutazione preventiva dell’impatto di impianti produttivi e di interventi individuali.

In questo contesto è ancora meno accettabile la marginalizzazione della Prevenzione Collettiva nel contesto organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale. I DP delle ASL sono da tempo stretti tra progressivo depauperamento del personale, carenza di formazione (demandata quasi totalmente ad un’attività FAD dall’efficacia tutta da verificare) e necessità di ‘dimostrare’ la propria funzione con una politica quantitativa delle prestazioni.

Da tempo andiamo sostenendo la necessità di una svolta in questo settore, resa oggi più necessaria se vogliamo che “One Health” non rimanga solo in un artificio retorico. I servizi di Prevenzione Collettiva (sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, inclusi i programmi vaccinali; tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati; sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; salute animale e igiene urbana veterinaria ed anche attività medico legali per finalità pubbliche) hanno da tempo un estremo bisogno di essere implementati in termini di personale, prevedendo le diverse figure professionali necessarie, anche per sanare le grandi difformità sul territorio italiano.

Nei giorni scorsi, è stata pubblicata in GU la precedente delibera del Consiglio dei Ministri, relativa ai «Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale» (decreto Ministro della Salute di concerto con il MEF, prodotta anche senza un pieno accordo in conferenza Stato-Regioni.

Il punto 14 del documento (che ‘costituisce la Riforma di settore del PNRR – M6C1) è dedicato alla ‘Prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico’ e si rivela assai meno incisivo di quanto sarebbe necessario. Viene sostanzialmente ribadito l’assetto organizzativo attuale. Un eccesivo standard massimo (DP = 1 ogni 500.000 abitanti) sta insieme ad alcune valide sottolineature (…”il DP, quale parte della costituenda rete del Sistema Nazionale di Prevenzione Salute, Ambiente e Clima – SNPS, garantisce il supporto, nell’ambito delle predette risorse disponibili, al raggiungimento dell’obiettivo salute nelle azioni di controllo sulle matrici ambientali attraverso interventi di analisi e di monitoraggio in stretto raccordo con le Agenzie del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente con l’obiettivo di valutare i rischi per la popolazione e per gli ecosistemi”’. Alcuni altri generici elementi di novità come, ad es., la “collaborazione, anche attraverso la previsione all’interno di ogni DP di esperti in tematiche che riguardano la salute l’ambiente e le loro connessioni che funga da elemento collettore presso le Case della Comunità…” seguono al preoccupante incipit del capitolo: … “nei limiti degli obiettivi e delle risorse attribuite” (d’altronde, anche per le nuove strutture socio-sanitarie territoriali è la carenza di spesa corrente, cioè di personale, il tratto negativo che comporta previsioni preoccupanti).

Negli stessi giorni è stato emanato il decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36 ed all’art.27 si istituisce il ‘Sistema Nazionale Prevenzione Salute dai rischi ambientali e climatici’. Riteniamo di per se positiva l’introduzione del nuovo organismo SNPS nel sistema sanitario, allo “scopo di migliorare e armonizzare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie acute e croniche, trasmissibili e non trasmissibili, associate a rischi ambientali e climatici”.

Tuttavia, non pensiamo sia positiva la eccessiva struttura verticale e l’assenza di funzioni partecipative lungo il percorso che porta dalle decisioni alla loro messa in pratica. Inoltre, è assai preoccupante che, rispetto alla bozza già fatta circolare precedentemente, nella stesura definitiva scompaiono le modifiche al Dlgs 502/92 sui compiti dei Dipartimenti di Prevenzione, così come i finanziamenti per il loro potenziamento. In particolare è stato cancellato lo stanziamento di 50.190.000 euro “a valere sulle risorse ordinarie previste dalla legislazione vigente per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, da destinare al reclutamento con contratti a tempo indeterminato di due professionisti sanitari ogni 200.000 abitanti, di cui uno con qualifica dirigenziale e uno di categoria D, anche in deroga ai vincoli di spesa per il personale stabiliti dalle disposizioni vigenti“, una misura che sarebbe stata fondamentale per non rendere vane le affermazioni generali.

Infatti, proprio il ministro Speranza ha recentemente ribadito il suo impegno per l’abbattimento dei tetti di spesa per il personale nel settore sociosanitario (anche se ben sappiamo che è il MEF ed il capo del governo che determinano maggiormente). Quindi non possiamo che manifestare profonda insoddisfazione dell’esito di questi provvedimenti relativi al fondamentale settore della prevenzione.

Invece del piccolo cabotaggio e una certa retorica, sarebbe urgente un vero cambio di paradigma. Ancor più con le grandi emergenze ambientali e climatiche che avanzano ed il degrado dei rapporti di lavoro, è il momento di ripensare la rottura fatta a metà anni ’90 tra servizi ‘per la salute’ e servizi ‘per l’ambiente’. Come pure dovrebbe essere ricucito lo strappo fra il dentro e fuori i luoghi di lavoro, come risulta che stia avvenendo in altri paesi (vedi ad es., il caso della Francia).

È necessario attivare una seria discussione per la costruzione di nuove entità organizzative integrate ambientali-sanitarie a livello locale, regionale e nazionale per il potenziamento della prevenzione primaria, per assicurare livelli d’intervento professionale ed etico appropriati ai problemi e ai bisogni territoriali, che susciti una rinnovata partecipazione degli operatori e una nuova riconoscibilità delle strutture della Prevenzione e Tutela Ambientale da parte delle varie istanze della società. Senza adeguati luoghi di scambio e di lavoro tra reti SNPA e SNPS e – aggiungiamo noi – anche con le reti cliniche e con le nuove strutture sociosanitarie territoriali, i propositi dichiarati nell’introduzione del decreto 36, sono destinati a sciogliersi come neve al sole. E di questi tempi sappiamo che si sciolgono anche i ghiacciai.

Fabrizio Bianchi – Epidemiologo, IFC-CNR Pisa

Mauro Valiani – Già direttore Dipartimento Prevenzione ASL Empoli