UN PASSO AVANTI O DUE INDIETRO?

Approvata dal Senato la proposta di modifica di alcune parti del DLgs 81/2008, Testo unico sicurezza sul lavoro, ex decreto-legge 21 ottobre 2021, n.146, con previsione dello stesso esito alla Camera. Questo provvedimento contiene diversi aspetti particolari (sulle funzioni del preposto, un certo incremento delle sanzioni, sulla formazione, ecc), ma, in sostanza, opera uno strappo nell’attuale ordinamento giuridico. L’art. 13 del Decreto, infatti, modificando l’art. 13 comma 1 del Decreto 81/2008, estende a tutti i settori lavorativi compiti di vigilanza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), sovvertendo uno dei principali principi fondativi della riforma sanitaria del 78, che assegna al Servizio Sanitario Nazionale i compiti ‘integrati’ di prevenzione, vigilanza e controllo. Su questo provvedimento siamo già intervenuti con rilievi critici circa la sua efficacia nel contribuire alla riduzione dei rischi nei luoghi di lavoro e con proposte di modifica (Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Salute, al Ministro del Lavoro, al Presidente della Conferenza delle Regioni – https://www.diario-prevenzione.it/doc21_tris/def_doc%20salute%20sicur%20lavoro%20post%20146%202.pdf). Sono state raccolte oltre mille firme da parte di operatori, sindacalisti, operatori dei servizi pubblici e cultori della materia.

LO STATO DELLE COSE

Fino praticamente agli anni 70 del secolo scorso gli incidenti sul lavoro hanno costituito una realtà quasi immanente alla condizione dei lavoratori. Ancora dopo il 1945 tre quinti degli ex-voto “per grazia ricevuta” nei santuari piemontesi riguardavano infortuni sul lavoro. Negli stessi anni la salute-sicurezza sul lavoro ha iniziato, invece, ad essere considerata come connessa alla partecipazione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori, all’impegno degli stessi e delle istituzioni per l’incremento della conoscenza – e del cambiamento – delle condizioni di lavoro conseguenti all’organizzazione della produzione e alla fine della cosiddetta monetizzazione del rischio. Dopo gli anni ’80 si sono stabilizzate alcune importanti conquiste legislative sulla salute nei luoghi di lavoro esitate nel DLgs 81/2008 e si è registrato anche un obiettivo miglioramento degli indici infortunistici. Successivamente è incominciato un lungo periodo in cui i rapporti di potere nei luoghi di lavoro hanno visto una certa inversione, in corrispondenza di un incremento generale delle condizioni di precarietà lavorativa e di un indebolimento del movimento operaio e sindacale.

Colpisce particolarmente che i tipi di incidenti mortali sono ancora oggi quelli ‘antichi’, da anni 50 del secolo scorso. La stragrande maggioranza di questi incidenti erano e sono evitabili con una corretta organizzazione del lavoro, con pratiche concrete di valutazione e gestione dei rischi, con una formazione professionale mirata ai rischi specifici connessi alla mansione. La vigilanza da parte dello Stato nelle sue articolazioni è importante, ma non potrà mai sostituire il compito delle imprese nella gestione dei rischi, con il contributo di controllo e partecipazione dei lavoratori. I determinanti che spesso hanno causato lincidente riguardano la precarietà del rapporto di lavoro, la mancata e/o inadeguata formazione alla sicurezza dei lavoratori, l’’informalità maligna’ che regola lorganizzazione approssimativa del lavoro nelle reti dei subappalti, la sostanziale impreparazione tecnica e professionale di talune imprese.

MODIFICHE INEFFICACI AL DLgs 81/2008

A fronte di questa ‘realtà effettuale’ il decreto-legge 146/2021 rischia di essere un passo falso perché crea una condizione di non chiarezza sul ‘chi fa che cosa’ circa l’attività di vigilanza sul rispetto delle misure di sicurezza svolte dalle istituzioni di controllo, tende a disgiungere la stessa vigilanza dalla prevenzione. Appare sostanzialmente orientato alla mera repressione ed opera uno strappo nell’ordinamento giuridico vigente. Per la prima volta dall’entrata in vigore della riforma sanitaria (legge 833/1978) si mette in crisi quella che è stata una delle innovazioni più importanti della riforma stessa, che consisteva nell’assegnare le competenze relative alla salute dei lavoratori al Servizio sanitario nazionale come una delle funzioni comprese nella promozione della salute del cittadino. La riforma sanitaria produsse in questo settore effetti positivi legati al fatto che le misure di prevenzione utili alla tutela della salute dei lavoratori potevano essere non solo individuate dai servizi pubblici, ma successivamente anche imposte con poteri dispositivi e prescrittivi, realizzando quindi una continuità tra prevenzione, vigilanza e repressione (vi è infatti un forte legame tra legge 833/78 che stabilisce i principi e decreto legislativo 81/2008 e D.L.vo 758/94 che forniscono gli strumenti per applicare tali principi).

L’INL non possiede al proprio interno competenze specifiche per esercitare le nuove funzioni che gli vengono attribuite dal decreto, svolgendo oggi attività di controllo e prevenzione sulla regolarità del lavoro che richiedono professionalità di tipo legale ed amministrativo. Professionalità invece presenti negli operatori dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL (Tecnici della Prevenzione, Medici del lavoro, Ingegneri, Assistenti sanitari, Chimici, Biologi, Psicologi del Lavoro, ecc).

La necessità di avere un coordinamento e un indirizzo nazionale del tema salute e sicurezza sul lavoro, di un controllo della coerenza tra principi e modelli organizzativi regionali, da molto tempo carente in sanità pubblica, è indubbia. Da questo punto di vista la parte del decreto che indica il rafforzamento di un unico sistema informativo nazionale, è positiva. Tuttavia, per quanto riguarda la vigilanza (verifica del rispetto della normativa vigente sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e conseguente applicazione di sanzioni in caso di inadempienza), ciò che occorreva ‘con urgenza’ – insieme al certamente necessario incremento del personale dell’Ispettorato Naz. del Lavoro finalizzato al controllo del lavoro nero e rapporti di lavoro irregolari – era, piuttosto, porre rimedio alla situazione di abbandono nella quale i governi e le regioni hanno tenuto gli organi delle aziende sanitarie incaricati della prevenzione e della vigilanza, (gli addetti ai Servizi di Prevenzione delle ASL sono passati da 5.060 operatori nel 2008 a 3.246 nel 2018). Depauperamento che ha inciso sulla qualità delle prestazioni dei servizi territoriali di prevenzioni, con la difficoltà ad affrontare la complessità delle condizioni di lavoro e temi come quelli della salute, del disagio psicosociale, dello stress correlato al lavoro, delle malattie da lavoro.

Né i ministeri interessati, né il parlamento sembra aver considerato gli emendamenti proposte dal Coordinamento Tecnico delle Regioni, Area Prevenzione e Sanità Pubblica (“L’azione di vigilanza avrebbe potuto ricevere ulteriore (e facile) impulso rafforzando le ASL e non già affiancando l’INL, Ente che, considerati i profili professionali del personale che lo sostanzia (legali, amministrativi), possiede abilità per i soli controlli formali (e non sostanziali) che si tradurranno in un mero intervento repressivo a danno (anche economico) alle imprese, peraltro in una fase in cui – superata auspicabilmente l’emergenza pandemica – l’impegno del Paese è supportare la ripresa”… “la presenza di un secondo organo di vigilanza costituisce essenzialmente elemento di forte criticità dell’azione di coordinamento che il nuovo art. 13 comma 4 DLgs 81/08, per il solo livello provinciale, pone in capo sia alle ASL che all’Ispettorato (“A livello provinciale, nell’ambito della programmazione regionale realizzata ai sensi dell’articolo 7, le Aziende Sanitarie Locali e l’Ispettorato nazionale del lavoro promuove e coordina sul piano operativo l’attività di vigilanza esercitata da tutti gli organi di cui al presente articolo. …”).

Si avverte un rischio di scivolamento burocratico verso un ruolo pressoché esclusivo di «ispettore» e non anche di «tecnico della produzione di salute», con un’attenzione orientata più alla verifica del rispetto del dettato normativo e non anche alla ricerca condivisa di soluzioni ai problemi di salute e sicurezza. Non si comprende il motivo per cui il Governo abbia deciso di duplicare i soggetti che intervengono nella vigilanza su salute e sicurezza sul lavoro anziché realizzare condizioni per permettere ai servizi di prevenzione collettiva delle aziende sanitarie di essere maggiormente operativi in termini di personale e di presenza sul territorio nazionale. La duplicazione dei soggetti che intervengono non si traduce in migliori e maggiori interventi di vigilanza, anzi, è possibile ipotizzare conflitti di competenze e/o interventi duplicati.

PROPOSTE ‘MINIME’

Prendendo atto dell’esito di questa ‘riforma’ permane l’urgenza di rafforzare gli organici dei Servizi di Prevenzione Collettiva delle ASL stanziando apposite risorse nella Manovra di bilancio attualmente in discussione in Parlamento, controllandone (da parte del Ministero della Salute) l’effettivo utilizzo da parte delle Regioni e delle ASL. Necessario, inoltre, definire degli standard di personale per gli stessi servizi in modo da garantire omogeneità delle strutture territoriali e assicurare loro la formazione necessaria, alla luce delle importanti modifiche del tessuto produttivo. Ciò è indispensabile per assicurare uno sviluppo efficace del Piano Nazionale della Prevenzione e relativi piani regionali, e non dimentichiamo che un bisogno assoluto di risorse in questo settore sussiste anche per assicurare una maggiore capacità di tracciamento dei contagi (insieme ad un suo riassetto complessivo, nell’impostazione della cosiddetta ‘One Health’).

Ciò potrebbe avvenire in sede di emanazione del provvedimento di riassetto della sanità territoriale in corso di costruzione, in applicazione del PNRR.

Inoltre, all’interno del Ministero della Salute devono essere rafforzate/costituite le funzioni relative al governo della prevenzione nei luoghi di lavoro, con compiti di indirizzo e verifica delle attività svolte dalle varie strutture e delle risorse impegnate.

CONCLUSIONE

‘Rivoluzione passiva’ è un famoso termine che si riferisce al mutamento significativo, lento e graduale, del contesto sociale, economico e politico. Pensiamo che quest’ultimo intervento legislativo del governo in materia possa essere considerato un passaggio di questo tipo di involuzione.

Sul tema salute e sicurezza del lavoro si giocano i caratteri fondanti della dignità delle persone che lavorano e, più in generale, del grado di incivilimento di un paese. I soggetti collettivi devono riaprire una discussione, un confronto, con i lavoratori, i servizi pubblici, le istituzioni, per definire una nuova politica, un complesso ‘organico’ di provvedimenti, per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Alla base ci deve essere piena consapevolezza di alcune peculiarità dell’Italia – come la prevalenza della microimpresa, la massiccia estensione del subappalto e del lavoro precario e nero – che rendono più impegnativa la costruzione di veri sistemi aziendali di gestione del rischio. Questo rende particolarmente forte il bisogno di ‘assistenza’ e ‘formazione’ e la necessità di un rinnovato controllo delle inappropriatezze mercatiste delle consulenze private in questo campo, insieme, naturalmente, alla irrinunciabile deterrenza della vigilanza e repressione dei reati.

Mauro Valiani

(medico del lavoro, già direttore di Dipartimento della Prevenzione della Toscana)