Niente merita di essere acquistato a prezzo di sangue umano

fonte mentepolitica

di Francesco Domenico Capizzi * – 10.03.2021

Cura Covid

 

 

 

 

Le difficoltà organizzative dell’attuale contingenza sanitaria prende origine dalla riforma del Titolo V mediante la legge costituzionale n. 3 del 2001 che affida alle Regioni e alle Province autonome l’organizzazione e la gestione dei Servizi sanitari già in essere nel Servizio Sanitario Nazionale istituito nel 1978. Alla base di questo stravolgimento istituzionale risiede l’idea portante di uno Stato federale e, secondo le intenzioni, di una maggiore efficienza organizzativo-economica mediata da una vicinanza degli apparati politico-istituzionali locali alle necessità specifiche territoriali.

La modifica costituzionale, da nessuno davvero contestata, ha appesantito le Regioni di un peso pari a circa l’80% delle loro attività primitive ed ha sortito l’effetto di concepire l’azione sanitaria, divenendo nei fatti luogo comune, come diagnosi e cura. Inoltre, ha prodotto venti sistemi sanitari differenti, spesso in conflitto con lo Stato centrale e fra loro per quanto concerne il grado dei livelli essenziali di assistenza, come garanzia inderogabile da offrire alla cittadinanza, e pertanto su budget assegnati e approvvigionamenti le cui discrepanze vengono riassunte nel paradosso delle differenze abissali per “il costo di una siringa fra una Regione e l’altra”.

A questi inconvenienti e tensioni istituzionali, che si aggiungono ad una preesistente eccessiva e inopportuna impostazione aziendalistica del Servizio pubblico dell’intero Paese, va accostata la visione localistico-strutturalistica incentrata sull’Ospedale marginalizzando, spesso estraniando, progettualità di prevenzione primaria (evitabilità della malattia) e di prevenzione secondaria (diagnosi precoce) frequentata dal 60-70% dei potenziali fruitori là dove esiste.

L’emergenza pandemica ha determinato un incremento esponenziale delle diversità regionali, delle tensioni fra Stato e Regioni, delle disuguaglianze legate  a posizione geografica, istruzione, reddito, genere, etnia d’origine, lavoro, disabilità…

Di fatto, nel periodo gennaio-giugno 2020, rispetto al 2019, si è assistito alla riduzione di oltre 3,3 milioni di prestazioni diagnostiche, a circa 10 milioni di visite ambulatoriali e alla riduzione del 70% di prescrizioni mediche. Un fenomeno che si è ripetuto e accentuato a partire dal fine estate 2020, che tuttora si conferma e si protrarrà a lungo perché l’epidemia sta impennandosi: i nuovi casi accertati aumentano del 10-20% al giorno con un totale di contagi accertati di circa 3 milioni, un tasso di positività ai tamponi di circa il 6%, con indice di trasmissibilità che si avvicina e supera l’1.3%, e di decessi che ormai sfiorano i 100 mila, senza contare la quasi raggiunta insostenibilità  degli ospedali, dei reparti Covid e delle terapie intensive (Bollettini di Ministero della salute e Protezione civile, 3.3.2021).

I problemi da affrontare, a parte l’indomita epidemia e le urgenze mediche e chirurgiche ordinarie, sono da tempo molteplici e resi acuti dalle conseguenze emergenziali: intasamento ospedaliero e e ad esso collegato l’impiego pressoché totale delle risorse sanitarie strutturali ed umane. In sostanza, in questa situazione diventa arduo garantire diagnostiche, terapie adeguate e addirittura la sopravvivenza a intere schiere di cittadini portatori di malattie cronico-degenerative e neoplastiche, dovendo nello stesso tempo arginare l’emergenza pandemica.

Una situazione emergenziale dell’oggi che può persistere a lungo, non risolversi del tutto, ripetersi in futuro e restare in agguato per la persistenza dei molteplici fattori che l’hanno favorita: devastazioni ambientali, inquinamenti, modi di produrre e consumare, malattie associate…

L’emergenza ha squarciato il velo dietro cui si nascondevano vasti problemi da affrontare con urgenza e determinazione:

a – reperimento ad ogni costo dei vaccini per l’attuale emergenza, per le prossime indispensabili vaccinazioni e le possibili nuove epidemie, tenendo a riferimento le burrascose vicende dei brevetti sui farmaci-salvavita disponibili a fronte di ingenti spese: nel 1997 il Man­dela Medical Act fronteggiò l’emergenza AIDS con una moratoria verso i brevetti mentre l’azienda farmaceutica indiana Cipla, nonostante le numerose diffide ricevute, offrì ai Governi africani il farmaco al prezzo di 600 $ per ogni malato contro i 10-15.000 $ richiesti dalle grandi industrie occidentali. Tre dozzine di compagnie multinazionali denunciarono sul piano legale il Mandela Act, ma nel 2001 prevalsero gli effetti della pressione pubblica schierata con le ragioni impersonate da Mandela. Bisogna prendere coscienza che “mai e niente merita di essere acquistato a prezzo di sangue umano” (Da J.J. Rousseau a F. Ivernois, Modern Intellectual History,  Cambridge­ University Press, Cambridge 2006).

b – creazione di circuiti ben distinti, solidi e permanenti, dal percorso Covid, e da emergenze simili future, per permettere alle molte persone affette da neoplasie e malattie cronico-degenerative, che stanno subendo contingenti ritardi diagnostico-terapeutici, di rientrare a pieno titolo nel Servizio sanitario;

c – promozione e pratica della cultura della prevenzione primaria attraverso il risanamento ambientale, la produzione sicura di beni di consumo, l’informazione puntuale sugli effetti dei diversi stili di vita;

d – miglioramento nell’efficacia e nell’efficienza dei percorsi di prevenzione secondaria esistenti, in poche Regioni, con la loro estensione a tutto il territorio nazionale;

e – rifondazione del Servizio Sanitario Nazionale ripartendo dalla centralità statale strategica e progettuale.

* Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore di Chirurgia generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna