Edward Jenner fra obtorto collo e terrapiattismi

Francesco Domenico Capizzi * – 02.12.2020

Edward Jenner

 

 

 

 

 

 

 

L’ultimo e principale argine contro il Sars-2 Covid 19, da tutti invocato, meno qualche sparuto gruppo di irriducibili fatalisti, complottisti e terrapiattisti, è il vaccino sperimentato (per primo sul figlio) nel 1798 da un oscuro medico della campagna inglese, Edward Jenner, dapprima disprezzato dagli indispettiti snob e cenacoli accademici londinesi, poi guardato di sbieco e con il naso all’insù, tollerato, scetticamente esaminato e, infine, accettato obtorto collo ed utilizzato in ogni parte del Mondo, con circa mezzo secolo di ritardo nel Regno Unito e in alcuni Paesi d’Europa. In Italia quasi un secolo dopo. Servendosi della sola osservazione, oggi aggiungeremmo clinica, il medico-scienziato aveva constatato che gli addetti alla mungitura delle vacche (da cui, appunto, “vaccino”), le cui mammelle visibilmente presentavano pustole diagnosticate, con il solo metodo galileiano dell’intuizione obbiettiva, come vaiolose, risultavano esenti da forme gravi di vaiolo che a quel tempo, e per parte del secolo successivo, mieteva vittime fra gli infettati in misura di circa il 50% e, fra i sopravvissuti, lasciava tracce di cicatrici permanenti, deformazioni di arti e, addirittura, la cecità. Quel medico scoprì in una sola volta la via della protezione contro la variola vera e, in sostanza, l’immunità individuale e di gregge, quest’ultima invocata ancor oggi come l’assoluta panacea da parte di persone irresponsabili, sparsi in vari ruoli sulla crosta terrestre, che ignorano quale possa essere elevato il prezzo da pagare per ottenerla in assenza di un vaccino efficace, sicuro e concesso a tutti.

A parte l’attuale e comprensibile corsa affannosa alla sperimentazione di un vaccino anti-Covid ed anche la gara a spararle grosse sulla possibilità di poterlo ricevere ed utilizzare entro poche settimane (v. le famose promesse elettorali di Nixon e Berlusconi di “sconfiggere il cancro entro tre anni”), questo periodo pandemico virale (“virale”, è bene precisarlo perché in atto esistono altre parecchie pandemie, neglette) ha fatto emergere la centralità della Politica e delle Istituzioni nel contrasto alla diffusione del virus e l’altrettanta loro potenziale efficacia nel prevenirne l’insorgenza e attenuarne gli effetti con provvedimenti strutturali e di ampio respiro mediante la salvaguardia dell’ambiente, la riconversione di ampie porzioni della produzione energetica, industriale ed agricola, il sostegno alla qualità dei consumi, la ricerca e l’attuazione di una giustizia sociale. Attraverso le varie fasi dell’emergenza si cominciano a percepire le strette connessioni esistenti fra le scelte politiche, la salute, intesa come benessere della persona e non soltanto come assenza di malattia, le crescenti diseguaglianze, l’organizzazione sanitaria, il possibile conflitto fra produzione industriale, posti di lavoro, fonti di reddito e possibili e prevedibili danni alla salute…

In vari modi e tendenze tutti guardano alla Politica e alle Istituzioni, ne discutono gli orientamenti, ne attendono e commentano i Decreti, forse come da molti anni non accadeva, avendo preferito nel passato recente affidarsi all’idea metodologica di un’assoluta tecnicalità nelle decisioni, alla loro pretesa oggettività e neutralità. I cittadini discutono nel merito gli orientamenti politici emanati dalle Istituzioni e si propongono portatori di scelte e soluzioni da adottare nell’emergenza pandemica. Molti sono divenuti consapevoli che il momento è particolarmente grave, che l’intero globo e tutti i suoi abitanti sono in pericolo non a causa di fattori ignoti e per pura fatalità, ma per il saccheggio perpetrato nell’ambiente, per una produzione di beni, e l’invito a consumare sempre più, allineata alla pretesa sovranità del profitto con conseguenti sperequazioni e contraddizioni, anche nella difesa dei posti di lavoro, guerre e migrazioni forzate.

Oltre al nuovo bisogno di scelte politiche dirimenti è da segnalare, con favore, che la maggioranza degli italiani (oltre il 70%) manifesta una maggiore fiducia, come mai era accaduto, nel vaccino anti-influenzale  e che questo tema ha raggiunto il terzo posto fra i più trattati nei social-media (facebook, twitter, instagram, blog)  allorché si parli del binomio malattia-salute (fonte: Health Web Observatory settembre 2020). Il medesimo effetto di forte attesa e di speranza si registra nei confronti del vaccino anti-Covid riducendo all’irrilevanza gli argomenti tradizionali, quanto irrazionali, dei gruppi spontanei e organizzati in movimenti no-vax.

Resta nell’ombra, stesa dall’emergenza pandemica, una problematica di enorme grandezza ed importanza: in Europa: la mortalità prevista per neoplasia del colon-retto raggiungerà un incremento dell’11,9% secondo la stima sugli effetti collaterali prodotti dall’emergenza in cui ci dibattiamo. La causa: il rallentamento involontario ma nei fatti impresso ai programmi di screening. L’impatto previsto sarà piuttosto grave in quanto la patologia neoplastica del colon-retto rappresenta già la seconda causa di morte fra le malattie oncologiche con 375.000 nuove diagnosi ogni anno nell’Unione Europea che, purtroppo, comportano oltre 170.000 vittime del tumore. Ritardi nello screening da 7 a12 mesi e superiore ad un anno producono ritardi nella diagnosi rispettivamente del 3% e 7% e pertanto, appunto, il peggioramento della prognosi come sopra riportato (fonte: United European Gastroenterology Week, Virtual 2020).

E’ raccomandabile che le misure adottate dalle Istituzioni politiche e dalle Organizzazioni sanitarie regionali non producano una serie di involontarie limitazioni all’accesso a diagnostiche e terapie necessarie per le malattie classificabili come, per intenderci, come “comuni”, e non scalfiscano le regolari funzioni e cadenze degli screening neoplastici, anche perché, perdurando a lungo i rischi del contagio in assenza di un vaccino efficace, le malattie cronico-degenerative comunque vanno crescendo e diffondendosi angustiando e aggiungendo altro panico per l’assunzione di caratteri, anch’esse, epidemici e pandemici sebbene la loro origine spesso non risalga all’infezione di un virus.

* Già docente di Chirurgia nell’Università di Bologna e direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna