A proposito di prevenzione, infortuni sul lavoro e indicatori

Nota di Editor. Riteniamo per davvero importante questo articolo pubblicato sul sito della Società Nazionale Operatori della Prevenzione. L’articolo fa chiarezza sul sistema delle responsabilità in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e sulla necessità di indicatori appropriati per valutare il fenomeno e l’efficacia degli interventi che una pluralità di soggetti, dalle imprese ai decisori politici sono tenuti a intraprendere. Condividiamo in pieno il fatto che :……“Ferme restando le sue prerogative e responsabilità, lo Stato attribuisca l’obiettivo (sacrosanto) di “riduzione degli infortuni sul lavoro” anche alle Regioni in maniera che queste lo perseguano con le proprie politiche, mettendo in atto con le parti sociali e gli enti deputati azioni complessive che coinvolgano tutti, ciascuno per le proprie responsabilità: legislatori e amministratori, imprenditori, lavoratori e sindacati, enti pubblici (ASL in testa), INAIL …” 

A proposito di prevenzione, infortuni sul lavoro e indicatori
FONTE  SNOP.IT

Il 24 ottobre 2019, nel corso della comunicazione sulle linee programmatiche del suo Dicastero alle Commissioni Igiene e Sanità del Senato e Affari Sociali della Camera (https://www.senato.it/15501) , il Ministro della Salute ha tra l’altro affermato che la prevenzione è un punto fondamentale dell’agenda di Governo. Nel ricordare l’avvio di uno specifico tavolo di lavoro promosso da lui stesso e dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali con l’obiettivo di costruire una risposta organica ai problemi relativi alla sicurezza sul lavoro, ha sottolineato le competenze in materia del Ministero della Salute  – in relazione alla funzione delle ASL – ed ha affermato di considerare “particolarmente rilevante” il lavoro da portare avanti in questo campo: dichiarazioni che apprezziamo, anche e soprattutto perché raramente rilasciate dai precedenti Ministri della Salute. Nella stessa occasione, il Ministro ha annunciato che sta per divenire operativo il nuovo sistema di garanzie (NSG) per il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA), che sostituirà l’attuale “griglia LEA”.

Le finalità, le fonti di riferimento e gli indicatori del NSG per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria sono contenute nel Decreto del Ministero della Salute del 12 marzo 2019. Il Decreto delinea un “sistema descrittivo, di valutazione, di monitoraggio e di verifica dell’attività sanitaria erogata da soggetti pubblici e privati accreditati di tutte le regioni”, prioritariamente finalizzato a mettere in relazione i LEA effettivamente assicurati con le “dimensioni da monitorare”, quali: efficienza ed appropriatezza organizzativa, efficacia ed appropriatezza clinica, sicurezza delle cure.

I dati per la costruzione degli indicatori vengono raccolti attraverso i flussi informativi correnti del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), integrati da “altre fonti informative, esaustive o campionarie, a copertura nazionale”, individuati in modo che consentano di “leggere, per ciascun LEA, le dimensioni dei processi di erogazione, tali da evidenziare le singole criticità e rendere possibili interventi puntuali, fornendo le basi per il miglioramento del sistema”.

L’indicatore per il “monitoraggio delle attività (ispezioni, controlli, sorveglianza sanitaria) finalizzate alla “prevenzione degli infortuni sul lavoro” è individuato nelle “denunce di infortunio sul lavoro”: una scelta che non può che suscitare non poche perplessità – anche sulla base di quanto enunciato nell’articolato dello stesso Decreto – e richiede una profonda e articolata riflessione.

Misurare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici mediante indicatori che registrano solo gli infortuni sul lavoro (indicatori, perlomeno, di incidenza) è certamente riduttivo rispetto alla complessità dei temi legati alla salute occupazionale, ma è purtroppo pratica comunemente accettata, senza più preoccuparsi delle diverse limitazioni che li caratterizzano. Anche senza sottolineare i problemi legati alla aderenza di questi indicatori alla realtà degli eventi infortunistici (grado di denuncia, lavoro nero o “grigio”, reale copertura assicurativa, sotto denuncia, fattispecie riconosciute e, a livello internazionale, comparabilità delle definizioni e delle modalità di registrazione), oggi più che mai esprimere un giudizio sul complesso delle condizioni di salute dei lavoratori con il solo dato infortunistico appare riduttivo e insoddisfacente.

Indubbiamente una realtà lavorativa con infortuni frequenti svela un’organizzazione generale che poco tutela il lavoratore: dall’altra parte, però, una situazione silente o poco significativa dal punto di vista dei dati infortunistici non ci rassicura sullo stato reale dell’organizzazione di tutela e sulla salute dei lavoratori, a maggior ragione quando prevalgono fattori di rischio diversi da quelli infortunistici.

Detto questo, e considerato che gli infortuni sono certamente fra i maggiori responsabili dei “danni” alla salute da lavoro, ma non i soli – nemmeno per dimensione e diffusione -, si concorda di utilizzarli per misurare, per esteso (come proxy?), lo stato della salute e della sicurezza sul lavoro.

In quest’ottica, quindi, quello della riduzione degli infortuni sul lavoro (che intendiamo, in realtà, indicativa del generale miglioramento delle condizioni di SSL) è indubitabilmente un obiettivo che le comunità (nazionali, locali) devono porsi nel loro insieme. Giustamente, tali obiettivi hanno costituito parte predominante di strategie e campagne di prevenzione a livello nazionale e sovranazionale (v. Unione Europea) e, anzi, l’andamento del fenomeno infortunistico – pur alla luce del progressivo miglioramento registrato nel lungo periodo – richiede ancora la loro riproposizione e il loro rafforzamento.

Nel tradurre questi obiettivi in strumenti e interventi finalizzati al loro raggiungimento e nel decidere a chi attribuirne la realizzazione, dobbiamo necessariamente tener conto che la tutela della salute e sicurezza sul lavoro è frutto di un complesso numero di fattori, interni ed esterni al mondo del lavoro.

Un’indagine dell’EU-OSHA di molti anni fa aveva provato a mettere insieme i fattori “che funzionano” nel garantire sicurezza e salute sul lavoro, chiedendolo alle imprese e agli esperti: ne trasse un quadro variegato di azioni/interventi che coprono un ampio spettro di ambiti e strumenti (citati non in ordine gerarchico di importanza):

  • Legislazione
  • Imposizione/vigilanza
  • Adozione di sistemi di gestione della sicurezza
  • Formazione dei soggetti aziendali
  • Cooperazione/partecipazione dei lavoratori
  • Buone pratiche
  • Disponibilità di strumenti applicativi (assistenza, linee guida)
  • Professionisti della sicurezza
  • Controllo dei fattori organizzativi
  • Campagne di sensibilizzazione
  • Incentivi finanziari alle imprese/Sistemi premianti
  • Certificazione

Il quadro conferma che i soggetti che agiscono sulla SSL sono numerosi e appartengono ad ambiti diversi, da quello imprenditoriale a quello dei lavoratori, da quello dei professionisti a quello dei progettisti e costruttori, da quello della formazione a quello sindacale, dalle leggi alla politica, dal privato al pubblico. La sicurezza sul lavoro si fa sul luogo di lavoro, si fa dove si lavora e la fa chi lavora: in un contesto fatto di regole e leggi, di relazioni, competenze, stimoli, indirizzi, responsabilità …

Il ruolo dell’ente pubblico in questo quadro è certamente fondamentale, in quanto garante che gli interessi in gioco vengano declinati secondo la salute dei lavoratori e della comunità. Non a caso la stessa Direttiva 391 (che il nostro D.Lgs 81/2008 ovviamente ricalca con le dovute specificità del sistema nazionale) basa la strategia della legislazione europea di prevenzione nei luoghi di lavoro su un sistema complesso che va dalla organizzazione aziendale alla responsabilizzazione, dalla formazione alla partecipazione, fino al ruolo del sistema pubblico di supporto e di controllo.

Nessuno oggi può quindi pensare che ci siano degli strumenti e dei soggetti che da soli possano incidere in maniera così forte sul “fenomeno infortunistico” da poter o dover esserne ritenuti unici responsabili. Per questo, l’obiettivo di “riduzione degli infortuni” non può che essere in capo al “governo” (sovranazionale, nazionale e locale), il quale avrà il compito di mettere in fila strategie, politiche, risorse, soggetti utili al suo perseguimento, anche definendone ambiti di azione e responsabilità.

L’indicatore dello stato di raggiungimento dell’obiettivo non potrà che essere attribuito a livello “centrale”, in quanto sarà misura complessiva della bontà delle politiche adottate e della loro capacità di far lavorare tutti i soggetti interessati.

In questo quadro, pur non scevro di debolezze e contraddizioni (al netto delle risorse disponibili, ovviamente), riesce invece davvero incomprensibile e sbagliata la scelta di adottare le “denunce di infortunio sul lavoro” quale indicatore LEA per l’azione delle ASL, che sono sì principali titolari delle funzioni pubbliche di prevenzione in materia di SSL, ma non certo responsabili dirette dell’outcome “infortuni”.

Non che la riduzione degli infortuni non debba essere un obiettivo anche dei Servizi PSAL, ma non è ragionevole pensare che la loro azione possa essere misurata con un indicatore di outcome che dipende in gran parte da fattori esterni e di cui sono responsabili per una parte che risulta di entità difficilmente quantificabile.

Pare quasi che, differentemente da quello che succede per altri organi pubblici, per gli SPSAL si voglia fare valere una valutazione di “corresponsabilità” negli infortuni sul lavoro. E’ un approccio che non si applica tale e quale ad altri settori, né della sanità né di altri ambiti: misurare i Vigili del fuoco con il numero di incendi (non hanno anche funzioni di prevenzione?), misurare la polizia della strada con il numero di incidenti stradali, i servizi di igiene pubblica con quello delle tossinfezioni alimentari, i medici veterinari con quello delle zoonosi …

Tornando all’indagine EU-OSHA su quanto “funziona” nell’OSH: le ASL non fanno le leggi, non si attribuiscono le risorse, non erogano incentivi, non producono in proprio formazione, non vendono sistemi di gestione della sicurezza (promuoverli, sì), non creano relazioni aziendali o sovra aziendali tra parti sociali, non certificano, non creano buone pratiche (le possono sostenere, scoprire) …  Non controllano i fattori economici e sociali che modulano approcci e atteggiamenti delle imprese verso la sicurezza o che condizionano (vedi effetti della “crisi” economico finanziaria dell’ultimo decennio) l’andamento infortunistico.

Abbiamo, a livello nazionale e anche localmente, combattuto contro la facile equazione “infortuni-controlli”, da più parti sostenuta, obiettando che non può esserci una univoca relazione consequenziale tra i due elementi, quella di cui è invece convinto chi chiede “più controlli” per ottenere “meno infortuni”, ogniqualvolta si ripresenti una emergenza.

Per ridurre gli infortuni in maniera duratura è necessario mettere in campo in maniera sistematica tutta una serie di azioni, che spettano ai numerosi soggetti interessati.

L’azione dei servizi pubblici, che – a livello operativo (escludendo qui quella più prettamente politica e regolamentare) – è di promozione, di supporto e di vigilanza, costituisce un fattore fondamentale e irrinunciabile, ma il suo ruolo non può essere dissociato dall’insieme degli interventi e dei ruoli di tutti i soggetti.

Le ricerche a questo proposito non sono molte – anche nella sola Europa i sistemi pubblici di prevenzione presentano approcci differenti – ma quelle esistenti sono ben lontane dal descrivere una correlazione lineare tra “controlli” o azioni pubbliche da una parte e, dall’altra, entità del fenomeno infortunistico: spesso i risultati in termini di sicurezza hanno presentato andamenti in parte disgiunti dalle modalità e dalla entità degli interventi pubblici. E questo è comprensibile se consideriamo quanti e quali sono i fattori che “lavorano” per la SSL nel reale.

Del resto, come leggere la cospicua riduzione del numero degli infortuni negli anni 2008-2016 se non come i fattori economico-sociali possano agire in maniera rilevante, anche in coincidenza con una (documentata) contrazione delle risorse dei SPSAL?

Non si tratta di sostenere che i servizi pubblici di prevenzione e controllo “non servono”, ma che invece sono semplicemente uno dei fattori efficaci e che il loro peso relativo dipende dalle condizioni complessive e dalla prevalenza o meno di altri fattori.

Quello della riduzione dell’incidenza e della gravità degli infortuni è un obiettivo doveroso (umanamente, eticamente, politicamente … economicamente) e SNOP si è battuta sempre perché fosse posto nella giusta posizione dell’agenda nazionale e regionale. Oggi finalmente abbiamo piani di prevenzione, generali e di settore, che impegnano, a cascata o a rete, una varietà di soggetti, spesso sotto la regia dell’Ente Pubblico. Da anni stiamo promuovendo e sviluppando metodologie di intervento che si basano proprio sulla costruzione di alleanze con i vari portatori di interesse, imprese, lavoratori e sindacati, organismi paritetici, enti pubblici vari … con i quali operare in sinergia, cercando di migliorare anche le stesse azioni di controllo, rendendole più mirate ed efficaci e adeguate alle nuove realtà del lavoro.

Sono anni che coltiviamo approcci che garantiscano accountability, efficacia delle azioni e misurabilità dell’attività che viene svolta. Gli SPSAL devono rendere conto di quanto fanno e di come lo fanno (con le risorse che hanno) e oggi, su questo, i Servizi presentano diverse difficoltà.  Anche il precedente LEA specifico non ha forse aiutato: dover garantire un puro numero di controlli (slegato da qualsiasi considerazione di complessità, di merito e di qualità) può aver spinto ad una programmazione “numerica” piuttosto che mirata al rischio o all’efficacia. Il sistema informativo SPSAL è debole: non a caso, quando si mettono insieme tutti i dati di attività delle ASL delle regioni, qualche dubbio rimane, tra completezza e congruenza dei dati. Occorre considerare che abbiamo a che fare con decine di sistemi diversi di registrazione e produzione dei dati, che risentono spesso di confrontabilità e … e spesso anche di modalità di intervento.

E’ necessario produrre per gli SPSAL indicatori “propri” e misurabili, costruendo un sistema univoco di registrazione. Se il problema è quello dei flussi informativi, della loro validità e uniformità, perché non lavorare finalmente su obiettivi legati a questo? Sarebbe un buon obiettivo da PNP.

Ferme restando le sue prerogative e responsabilità, lo Stato attribuisca l’obiettivo (sacrosanto) di “riduzione degli infortuni sul lavoro” anche alle Regioni in maniera che queste lo perseguano con le proprie politiche, mettendo in atto con le parti sociali e gli enti deputati azioni complessive che coinvolgano tutti, ciascuno per le proprie responsabilità: legislatori e amministratori, imprenditori, lavoratori e sindacati, enti pubblici (ASL in testa), INAIL …

Si costruisca finalmente un sistema informativo che permetta di “contare” e verificare, tra le altre, le attività – che riteniamo cospicue e rilevanti – dei Servizi PSAL e dei Dipartimenti di Prevenzione, ma non si creda di valutarne l’apporto alla riduzione degli infortuni attribuendo loro la responsabilità complessiva del raggiungimento dell’obiettivo.

Così come non possiamo considerare la prevenzione responsabilità unicamente della Sanità, altrettanto non dobbiamo commettere l’errore di pensare gli infortuni come dipendenti prevalentemente dall’azione delle ASL. Lavoriamo per una salute (sul lavoro) in tutte le politiche e misuriamo ASL e SPSAL per il contributo che riescono a dare, con le risorse assegnate.

Ultimo aggiornamento Sabato 23 Novembre 2019 17:15