Convivere con il Coronavirus. Cronache da Berlino di Franco Di Giangirolamo

 

Street photo in Berlin – 2019 foto gierre

Ridotta finalmente ad una ristretta minoranza gli oltranzisti del confinamento e convinti che la lotta contro l’epidemia non potrà essere completamente vittoriosa, certamente nel breve e forse anche nel lungo periodo, indipendentemente dalla scoperta del vaccino, ci si è avviati, quasi ovunque in Europa, verso una difficile e problematica convivenza con il coronavirus, con l’obiettivo di mettere in campo il massimo e il meglio delle risorse umane e materiali disponibili per contrastarne la diffusione e la virulenza.

I principi di precauzione e di rischio accettabile (calcolabile ma non ancora ben calcolato) si stanno facendo largo a fatica, dopo l’enfasi delle parole d’ordine della “lotta per la vita e la salute a qualsiasi costo“, emersa da una cultura che pensava ad una società al servizio della guarigione, che, insieme alla retorica di stampo bellicista, ha prodotto effetti Nocebo che non poteva che scontrarsi con i “fatti“ (economici, psicologici, sociali, etc.) che hanno sempre, come si sa, la testa dura.

D’altra parte la Convivenza dell’essere umano con i virus non è, nè sarà, una stranezza o una novità a meno che non si neghi che buona parte della storia umana possa essere letta come coevoluzione tra uomo e animali e loro habitat (compresi virus, batteri, microbi, etc.) in una relazione stretta e di dimensione planetaria, oggi giorno amplificata prevalentemente dalla esplosione demografica e dall’urbanizzazione eccessiva.

Pochissimi virus sono stati debellati (quasi) definitivamente, per quanto ne so, senza disporre di una cultura specifica. Forse quello della poliomielite con il vaccino Sabin e il vaiolo, dichiarato dall’OMS non più pericoloso per l’uomo da non molti decenni. Non sarà per caso che nei primi 4 mesi del 2020 a livello mondiale siano morte 237.469 persone per (o con) coronavirus, poco meno di quante ne sono morte per malaria (327.267) e 17 volte di meno di quante ne sono morte per malattie infettive (4.331.251). Pur tralasciando i 3.731.427 morti per fame (evitabili, tra cui moltissimi i minori), i morti per tumore (2.740.193), e quelli per incidenti stradali (450.388) e per suicidio (357.785), mi pare di poter dire che la convivenza con i rischi e con i virus sia un fatto assodato anche se le principali stragi di esseri umani sono passate del tutto inosservate o siano state moltissimo sottovalutate dai sostenitori della “supremazia assoluta e indiscutibile della salute sulla economia“, probabilmente perchè si trattava in gran parte della salute degli “altri“ e della “econo-nostra“ e forse anche perchè per salute si alludeva non già alla definizione che ne dà l’Organizzazione Mondiale della Sanità ma, operando una scissione cartesiana,la pura e semplice sopravvivenza del corpo materiale, meccanico, oggettivo della società contagiata.Certamente una notevole quantità di morti dovuta ad una pandemia di cui si ignora quasi tutto, che colpisce persone già deboli, che li tormenta dolorosamente nell’isolamento dal contesto di vita e familiare, accompagnata freddamente all’incenerimento senza alcun conforto, così come è accaduto in Italia, desta maggiore attenzione perchè opera nel Nord del Nord, ovvero nel territorio più ricco di una nazione abbastanza ricca in una Europa relativamente benestante e non in un oscuro angolo della terra dove gli ultimi degli ultimi si ostinano a vivere una vita “indegna di essere vissuta“.

Ciò ha consentito ai media e ai poteri pubblici di trasformare una motivatissima paura in un grande, ingiustificato terrore, con tutto ciò che ne è conseguito. Fortunatamente questa ulteriore e non necessaria sofferenza, che ha un impatto anche sulla salute pubblica, in Germania ci è stata risparmiata, grazie ad una gestione complessiva, sia delle politiche sanitarie che della politica comunicativa, molto più avveduta, anche se non prive di contraddizioni e problemi.Non so qual’è il clima nel paese, ma a Berlino questa settimana di risveglio mi è parsa tutto sommato tranquilla. Più gente per la strada, poche mascherine all’aria aperta e tutti mascherati al chiuso o sui mezzi. pubblici, un certo rigore per il rispetto delle norme di prevenzione in tutti i negozi aperti, pratiche di disinfezione diffuse e norme dettagliate per gran parte delle attività lavorative. Attitudine al distanziamento senza ossessione e clima tranquillo. In ogni caso Berlino è una città dagli ampi spazi e mantenere le distanze e sedersi tranquillamente a prendere un caffè nei tavoli esterni di un bar non è cosa nè pericolosa nè impossibile .Di quanto si ridurrà il rischio di contagio non si sa, che ci saranno ancora contagiati, ammalati e una percentuale di morti è sicuro, che siano “accettabili“ dipende da vari fattori, non tutti sanitari.
Girano ancora pochi trolley, segno che il turismo e il movimento nazionale, pure libero, è ancora in letargo. Oltre al pendolarismo interno, mancano dalle strade solo i turisti stranieri, le persone spaventate che continuano la quarantena anche se non obbligatoria, i quarantenati obbligatori, e coloro che si sono abituati alle gioie della casa. Quando, come nel mio caso, si ha un figlio cuoco di professione e in cassa integrazione, a casa si resta volentieri perchè farsi coccolare con dei buoni bocconi senza l’obbligo di cucinarseli, diciamolo!!!! è una fortuna da nababbi!!!!
Dimenticavo che tra i noncuranti disinteressati alla prevenzione non ci sono solo persone marginali, machisti di varie specie, ma anche “oppositori“ politico ideologici che con un multiforme varietà di motivazioni ritengono inutili, dannose e pericolose le misure adottate in quanto frutto di complotti internazionali, capitanati dai più svariati soggetti e con finalità antidemocratiche, assolutistiche,dittatoriali, sia di portata politica che economica. Fare un quadro dei soggetti che ogni fine settimana organizzano manifestazioni di protesta mi è difficile, per ora, ma cercherò di impegnarmi a capire.Per il momento, da quelle statistiche che essi definiscono tutte bugie, leggo che nella capitale i decessi restano sotto il livello di 190, con circa 6.500 contagiati e poco meno di 6.000 guariti e non vedo motivo di allarme anche se bisognerà attendere la fine del mese per valutare l’esito combinato delle norme di prevenzione con il comportamento dei cittadini prima di altre decisioni su apertura delle frontiere (ilGoverno sta lavorando per una proposta unitaria dei paesi di Schengen).

Per la scuola (problema esemplare: se si infetta una insegnante si mette in quarantena tutta la scuola, visto che il suo intorno è di quella dimensione, o solo lei?). Altre scelte dovranno essere prese per le manifestazioni e le iniziative pubbliche (che sono numerose nella capitale), per le manifestazioni artistiche (il pane dello spirito di Berlino), sportive e culturali e per il turismo. Questi ultimi, sono i settori più penalizzati in assoluto.

A proposito di penalizzazioni, sarà dura fare il bilancio dell’area metropolitana di Berlino per il 2020-2023. Si calcola che il deficit in quel periodo aumenterà di 8,35 miliardi di euro rendendo vani gli sforzi che nel periodo dal 2011 al 2019 hanno consentito di ridurre il deficit annuo dai 62,91 Mld ai 57,56 Mld.Come ha detto qualcuno: Die fetten Jahre sind vorbei (finiti gli anni grassi, ovvero quelli degli investimenti miliardari).

Per l’Inca, il Patronato della Cgil, è necessario assicurare le giuste tutele ai contagiati

FONTE  COLLETTIVA.IT

Chi chiede uno scudo penale generalizzato per le imprese o è in mala fede oppure non sa leggere le disposizioni dei protocolli sottoscritti con le parti sociali. Per il Patronato della Cgil, è importante assicurare le tutele individuali ai lavoratori e alle lavoratrici contagiati da Covid-19 rispettando la normativa sulla prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il principio ispiratore delle norme, contenute nell’articolo 2087 del codice civile, nel Testo Unico 1124/65 e nei Decreti legislativi 38/2000 e 81/2008, è che il datore di lavoro è responsabile e garante della salute e della sicurezza dei lavoratori e che, pertanto, è tenuto ad assicurare la loro integrità psicofisica adottando ogni misura necessaria allo scopo.

Pur comprendendo la drammatica situazione economica causata dalla pandemia da Coronavirus, non si capisce perché nell’attuale emergenza sanitaria si voglia rimuovere ogni possibile responsabilità in capo alle aziende, consentendo loro di non rispondere di eventuali inadempienze che, proprio in ragione dell’altissimo rischio di contagio nei luoghi di lavoro, possono aggravare la diffusione del virus, mettendo a repentaglio non soltanto la salute di quei lavoratori, che non possono lavorare in smart working, ma anche delle loro famiglie. Chiedere, come fanno le associazioni datoriali, che i casi di contagio da Coronavirus in occasione di lavoro siano da considerare come malattia comune e non infortunio, significa, di fatto, che chi ha contratto il virus debba essere trattato alla stregua di chi ha una semplice influenza, senza la copertura assicurativa antinfortunistica Inail, escludendo ogni possibile aggravamento, che pure in questi casi, è quanto di probabile possa accadere.

Richiamare le difficoltà di dimostrare l’origine professionale dei casi di coronavirus non è sufficiente a giustificare la richiesta di uno scudo penale generalizzato. Vorrei ricordare che il nostro Paese ha bandito la commercializzazione dell’Amianto nel 1992, dopo la chiusura per fallimento dello Stabilimento Eternit di Monferrato (1986), a cui sono seguiti numerosi processi, alcuni dei quali ancora in corso. A oltre trent’anni di distanza, nessuno mette più in dubbio l’origine professionale del mesotelioma pleurico e, nonostante i numerosi sforzi, ancor oggi dobbiamo aggiornare costantemente la lista dei decessi per amianto: c’è una ricca legislazione al riguardo che assicura le tutele Inail non soltanto per i lavoratori ex esposti, ma anche per chi è venuto a contatto con l’amianto per motivi ambientali o familiari.

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