Cronache da Berlino di Franco Di Giangirolamo (12)

 

Gita sulla Sprea con barca d’epoca ( Foto Editor )

 

E’ un venerdì santo di festa in Germania. Berlino è assolata come da ormai un mese e ormai temo più la siccità che il corona virus. Poche notizie, se non che questo lungo weekend di 4 giorni sarà anche una prova di tenuta della politica del Sozialdistanzierung.  Poca gente in giro, ma se il Ministro degli interni del Brandeburgo dice che a Pasqua attende le visite dei berlinesi (è una tradizione come quella della pasquetta fuori porta degli italiani) significa che non tutti resteranno a casa, come suggeriscono il prudente direttore dell’Istituto Koch e il Governo. D’altra parte l’epidemia, anche se se ne parla molto ovunque, pare sotto controllo. Dal 30 marzo si fanno oltre 8.000 test al giorno, i letti sia per cure intensive che per cure lievi sono occupati al 70% al netto dei posti letto che sono in allestimento per eventuali ulteriori emergenze (1.050). I contagiati sono circa 4.000, I morti complessivamente registrati dall’inizio dell’epidemia sono una trentina, e i cittadini sono rassicurati no solo economicamente ma anche sotto il profilo sanitario. I dati nazionali confermano visto che i morti sono ancora meno di 2.000 e i guariti più di 36.000, anche se gli esperti di fiducia del Governo non si abbandonano a facili illusioni e tirano il freno su proposte di riapertura a breve delle scuole e delle attività produttive. Domenica 19 è il termine di scadenza dei primi provvedimenti di chiusura e si deciderà la settimana prossima se e come riprendere le attività.
Non senza una certa soddisfazione per aver fatto una facile previsione, ovvero che le tre donne (Merkel, Van den Layen, Lagarde) sarebbero state le artefici di un compromesso europeo per affrontare gli effetti del virus, al di sopra e al di là delle migliaia di sciocchezze sparate su tutto e in ogni dove, avanzo qualche osservazione personale su ciò che riesco, non senza difficoltà, a comprendere delle scelte tedesche per il futuro.

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LA VALUTAZIONE DEI RISCHI NON BASTA PIU’ di Giuseppe Patti

 

[ Nota di Editor ] Riteniamo importante questo articolo di Giuseppe Patti che affronta con decisione i limiti dell’adempimento burocratico rispetto alle fasi più qualificanti dell’intervento di prevenzione in azienda: la valutazione dei rischi .Senza il  coinvolgimento dei lavoratori, della loro soggettività è molto improbabile che la valutazione dei rischi possa rappresentare uno strumento efficace per la gestione degli stessi…

Non si può non condividere questa seria riflessione che rappresenta il perno dell’articolo di Giuseppe Patti:

” Le aziende che hanno abbandonato il concetto di stabilità lavorativa devono trovare strumenti di implementazione alla valutazione dei rischi che ad oggi non risulta più sufficiente. Per rendere il lavoro più sicuro è necessario innovare l’organizzazione del lavoro, ridisegnarne i processi e puntare al pieno coinvolgimento dei lavoratori. Se davvero vogliamo cambiare marcia è necessario che l’attuale modello di leadership, ancorato prevalentemente ad un sistema burocratico e direttivo, passi ad un modello partecipativo che valorizzi il patrimonio di esperienze di ogni lavoratore a partire da quelli più anziani. I quadri direttivi aziendali devono creare le condizioni per un supporto autorevole sia nel settore tecnologico che in quello delle risorse umane mettendo in atto procedure concordate con i lavoratori e mai calate dall’alto….”  

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LA VALUTAZIONE DEI RISCHI NON BASTA PIU’ di Giuseppe Patti

Gli attuali strumenti di valutazione e l’importanza della soggettività: limiti e opportunità

“Pensavamo di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Papa Francesco, preghiera speciale per l’emergenza del coronavirus.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

 Fernand Leger, Builders, 1951. (Mosca, Pushkin Museum)

In tutte le aziende la valutazione dei rischi è l’elemento cardine del sistema di prevenzione e consiste in un procedimento di analisi finalizzato all’individuazione di tutti i potenziali fattori di rischio presenti. Questa valutazione è oggi lo strumento che permette al datore di lavoro di individuare le misure di prevenzione e protezione e pianificarne l’attuazione, il miglioramento ed il controllo. Per far questo è necessario partire dall’individuare le mansioni che sottopongono alcuni gruppi di lavoratori a rischi specifici e che richiedono misure specifiche e particolari. Una corretta metodologia adottata nel processo di valutazione non può però prescindere dalla stima dei rischi legati al fattore umano. Ai corsi di formazione sulla sicurezza abbiamo imparato che il rischio (R) è dato dal prodotto tra probabilità (P) e danno (D). Abbiamo inoltre imparato che la prevenzione ha priorità sulla protezione e che con essa andiamo, o cerchiamo, di portare il rischio a livelli accettabili. La protezione la attuiamo invece per limitare i danni dai rischi residui che non siamo riusciti ad eliminare. Visto che dalla formula risulta assente il comportamento (la soggettività) del lavoratore sarà necessario valutarlo in separata sede in quanto esso non dipende dalla realtà oggettiva, ma dall’interpretazione soggettiva di una determinata situazione. Il rischio è strettamente connesso alla soggettività e pertanto i concetti legati alla percezione soggettiva del rischio, devono essere il punto di partenza di ogni intervento di prevenzione. Resta inteso che esistono una serie di fattori favorenti di tipo strutturale e organizzativo: aspetti che la valutazione dei rischi deve necessariamente considerare. Esistono diverse tecniche che trattano il tema dell’analisi dell’affidabilità umana (HRA) e queste sono state sviluppate per fornire valori di probabilità di errore, connessi ai compiti degli operatori, da inserire nel più ampio contesto di valutazione di rischio del sistema. Da queste analisi i lavoratori sono stati spesso esclusi se non per una formale consultazione. La sfida da cogliere sta nel loro pieno coinvolgimento per ridisegnare nuovi processi decisionali.

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Coronavirus. L’emergenza Bergamo e Lodi e l’inefficienza del sistema sociosanitario lombardo

 

Pubblichiamo il Documento “Coronavirus. L’emergenza Bergamo e Lodi e l’inefficienza del sistema sociosanitario lombardo” nel quale vengono descritte con approfondimenti le incongruenze organizzative e le disfunzioni del modello ospedale-centrico che ha reso difficile e ostacolato una risposta adeguata all’emergenza sanitaria originata dall’infezione virale  Covid-19. Il documento vuole essere un contributo di conoscenza e di riflessione destinato ai decisori politici della Regione Lombardia e a tutti gli operatori del Servizio Sanitario. Hanno partecipato alla elaborazione del Documento:
per la Segreteria del Movimento per la Difesa e il miglioramento del SSN: Bruno Pesenti.

Hanno collaborato alla stesura del documento:
Eugenio Ariano
Lalla Bodini
Susanna Cantoni
Vittorio Carreri

IL DOCUMENTO (PDF)

 

Se la pandemia accentua le disuguaglianze di salute

FONTE DISEGUAGLIANZEDISALUTE

Questo articolo pubblicato da Giuseppe Costa e Antonio Schizzerotto su lavoce.info riflette sull’epidemia e le relative  conseguenze sulle disuguaglianze di salute.

Le differenze sono evidenti sia nell’esposizione al rischio sia nelle conseguenze della malattia.  Non tutti i gruppi sociali , a parità di età, sono  esposti nella stessa misura all’epidemia (così come ad altre analoghe infezioni) e le conseguenze della malattia sono più gravi per chi ha patologie croniche che colpiscono i più svantaggiati.

Proseguono con una riflessione sul sistema sanitario e le risorse progressivamente ridotte a seguito delle politiche di austerità su cui è sostengono è necessaria una riconsiderazione generale per affrontare nuove situazioni di crisi epidemiche.

“Ricalibrare su queste necessità la capacità di offerta sanitaria dei nostri territori saprà anche garantire meglio l’equità nello stato di salute, perché di essa sapranno avvantaggiarsi di più le classi sociali inferiori che sono più vulnerabili alle conseguenze della pandemia. Ma per raggiungere pienamente quel risultato sarà anche necessario che il SSN sappia prestare maggiori attenzioni, in epoche, diciamo così normali, ai differenziali di rischio di malattia, di limitazioni funzionali e di sofferenza esistenti tra i vari strati sociali della popolazione, perché questa maggiore vulnerabilità non è una regola genetica, è socialmente determinata e può essere modificata da una sanità di iniziativa più attenta alle disuguaglianze social” concludono gli autori.

 

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