FONTE AREAONLINE.CH
Autore : Claudio Carrer che ringraziamo
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Siamo a Cerdanyola del Vallès, cittadina di quasi 60.000 abitanti alla periferia della capitale catalana, nota per ospitare la sede principale della Uab (l’Università autonoma di Barcellona) con i suoi oltre 30.000 studenti, ma anche e soprattutto per la presenza del più grande stabilimento di tutta la Spagna della multinazionale del cemento-amianto Uralita, che qui ha operato tra il 1910 e il 1997 seminando dolore e morti e provocando un disastro ambientale di dimensioni incalcolabili. Non è un caso che inizi proprio in questa località, con un ricevimento istituzionale, il primo Incontro internazionale delle vittime dell’amianto che si è celebrato in Catalogna dal 4 al 6 ottobre e che ha visto la partecipazione di un centinaio di delegati di numerosi paesi.
Un incontro promosso dall’Associazione catalana delle vittime (Avaac) e dal Colectivo Ronda, una cooperativa di avvocate e avvocati fondata nel 1972 che da allora, con oltre 100 professionisti, porta avanti le cause giudiziarie per conto delle vittime dell’amianto in tutta la Spagna (ottenendo anche importanti risultati di cui diciamo a parte) e più in generale si batte “per convertire il diritto in uno strumento di trasformazione sociale e di risoluzione dei problemi che colpiscono le persone e la società”, per costruire “un mondo più solidale”. Di qui il «forte legame che dura da più di 40 anni» con Cerdanyola e con la vicina Ripollet, due comunità che «hanno sofferto e che soffrono come pochi a causa dell’amianto», afferma l’avvocata Raquel Lafuente denunciando come
siano state «le ambizioni economiche delle imprese che utilizzavano l’amianto a provocare tanti morti e tanto dolore». «Una tragedia – infatti – che si poteva evitare perché si sapeva già dagli anni 40 degli effetti negativi dell’amianto ma ciononostante si è continuato a utilizzarlo per decenni. E oggi a queste imprese che non domanderanno mai nemmeno perdono, bisogna chiedere conto del danno che hanno consapevolmente causato». «Con la nostra lotta – conclude l’avvocata del Colectivo – vogliamo fare in modo che non vi sia impunità, che non ci si dimentichi di quanto è capitato».
Una nuova ondata di morti
Dalle informazioni e dalle testimonianze che abbiamo potuto raccogliere, la situazione di Cerdanyola e Ripollet appare addirittura più drammatica di quella prodotta a Casale Monferrato (Alessandria) dalla svizzera Eternit. Considerata “Zona zero” dell’amianto di tutta la Spagna, qui i segni dell’attività industriale della Uralita (dove negli anni di massimo regime hanno lavorato più di 3.000 operai) sono tuttora ben presenti. La fabbrica di cemento-amianto più grande d’Europa, ormai in stato di abbandono, è ubicata lungo la ferrovia, a poche decine di metri dal centro di Cerdanyola. Ma con la dispersione diretta delle polveri ha prodotto danni ambientali in un raggio di almeno due chilometri, cioè nella maggior parte del territorio abitativo delle due città. Ma non solo: la prossimità ha favorito anche un uso indiscriminato dell’amianto per la costruzione di strade e edifici privati e pubblici (scuole e impianti sportivi in particolare). «Sotto i nostri piedi c’è amianto, perché gli scarti della lavorazione venivano utilizzati per realizzare il manto stradale, sentieri e vialetti, che successivamente sono stati semplicemente ricoperti con l’asfalto», racconta una funzionaria del Comune.