Fonte Saluteinternazionale che ringraziamo
di Gavino Maciocco e Letizia Fattorini
Il progressivo degrado del nostro Servizio Sanitario Nazionale è fortemente connesso con l’iniquità e l’inefficienza del nostro sistema fiscale. Il caso dei sistemi fiscali scandinavi che, oltre a rifornire i servizi universalistici – come sanità e istruzione – delle risorse necessarie a funzionare egregiamente, garantiscono un’equa distribuzione della ricchezza e, di conseguenza, un alto livello di coesione sociale.
“Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente”. Tommaso Padoa Schioppa, Ministro delle Finanze del Governo Prodi.
“Mi colpisce molto come ci sfugga completamente che c’è un rapporto tra le tasse che si pagano e i servizi che si ricevono. Ogni paese ha la sanità che riesce a finanziare, ogni paese ha la scuola che riesce a finanziare. Noi invece ci siamo illusi che questo rapporto non esista, che i denaro cada dall’alto. Per cui applaudiamo gli elusori, e piangiamo se l’esame urgente ci viene fissato tra un anno, senza essere minimamente sfiorati da dubbio che tra le due cose esista un nesso“. Aldo Cazzullo, Corriere della Sera del 24 ottobre 2025.
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” Art. 53 della Costituzione italiana.
E’noto che il nostro Servizio Sanitario Nazionale è da anni sotto-finanziato e impoverito di risorse, a tutto vantaggio del settore privato e di quello assicurativo. E non è bastata la lezione del COVID a far cambiare la rotta: dopo la fase acuta della pandemia – anni 2020-2021 – la tendenza al ribasso è continuata e sta continuando come dimostrano i dati del disegno di Legge di Bilancio 2026, reso noto in questi giorni. La Manovra infatti assegna alla sanità 7,7 miliardi per il triennio 2026-2028: tuttavia, in rapporto al PIL, la quota di ricchezza del Paese destinata alla sanità, dopo un lieve aumento nel 2026, scenderà sotto la soglia “psicologica” del 6% nel 2028. In rapporto al PIL, il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) passa dal 6,3 del 2024 al 6,04% del 2025 al 6,16% del 2026, per poi ridursi al 6,05% nel 2027 e al 5,93% nel 2028. Le differenze con altri paesi europei sono abissali (Figura 1).
Figura 1
Ma siamo anche molto lontani dalla media dei Paesi OCSE che è del 7,1% del PIL. Quindi per coprire questo gap bisognerebbe incrementare di un punto di PIL la dotazione finanziaria del FSN, si dovrebbero cioè aggiungere annualmente 20 miliardi di euro al bilancio della sanità (altro che gli striminziti 7 miliardi di euro in un triennio previsti dall’attuale manovra). Un sistema fiscale equo ed efficiente non avrebbe difficoltà a reperire quei 20 miliardi aggiuntivi di euro per rimettere in sesto il nostro SSN e garantire una sanità pubblica veramente accessibile a tutti. Ma il nostro fisco non è né equo, né efficiente, con un’evasione fiscale di 80 – 90 miliardi di euro l’anno e con il 43% della popolazione che non paga l’Irpef (“E’ davvero credibile che quasi la metà degli italiani viva con circa 10 mila euro lordi l’anno?», si chiede Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali “Una fotografia più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7“. La conseguenza è che su 42,6 milioni di dichiaranti, il 76,87% dell’intera Irpef è pagato da circa 11,6 milioni di milioni di contribuenti, in stragrande maggioranza dipendenti e pensionati.
Per contro va segnalato il caso dei sistemi fiscali scandinavi che, oltre a rifornire i servizi universalistici – come sanità e istruzione – delle risorse necessarie a funzionare egregiamente, garantiscono un’equa distribuzione della ricchezza e di conseguenza un alto livello di coesione sociale. E’ noto che il modello scandinavo si basa su una tassazione elevata: dai dati del 2021 la pressione fiscale (rapporto tasse/PIL) nei Paesi nordici (Danimarca 46,9%; Norvegia 42,2%; Svezia 42,6%) risulta molto più alta rispetto a quella del Regno Unito (33,5%) e, addirittura, degli Stati Uniti (24,5%) (Figura 1).
Figura 1. Confronto sistemi fiscali scandinavi e sistema fiscale USA, come % del Pil e per fonte di provenienza dei contributi.
Un gettito fiscale così elevato si accompagna a una più equa distribuzione della ricchezza. Infatti, il coefficiente di Gini – uno strumento statistico che misura le differenze tra i redditi, quantificando le disuguaglianze nella ricchezza tra i cittadini – è 22,7: veramente basso se paragonato al 32,6 del Regno Unito e al 39,8 degli Stati Uniti, dove la disparità nei redditi della popolazione si avvicina a quella di molti Paesi dell’America Latina e dell’Africa. Ma cosa rende questo modello così vincente, tanto da generare un circolo virtuoso di fiducia nelle istituzioni, tale da indurre i cittadini a pagare le tasse di buon grado e così ottenere servizi pubblici gratuiti (o dietro pagamento di piccole compartecipazioni), senza dover affrontare privatamente le spese per la salute? È difficile distinguere la causa dall’effetto.
L’aspetto più sorprendente della tassazione scandinava non è l’aliquota massima, ma il numero di persone che la pagano: in Norvegia, questa non è eccezionalmente alta (38%), ma il livello di reddito a partire dal quale si inizia a pagare l’aliquota più alta è pari ad appena 1,5 volte il reddito medio nazionale (rispetto, ad esempio, alle 8,5 volte degli Stati Uniti). Di fatto, mentre negli U.S.A. solo le persone molto facoltose pagano aliquote fiscali elevate, in Norvegia l’onere della generosa spesa pubblica è ampiamente condiviso, non gravando né sui ricchi, né sui poveri. Questo perché nella popolazione è ben radicato il concetto che la maggior parte degli individui, nel corso della vita, assumerà il ruolo sia di contribuente che di beneficiario. Le entrate statali sono inoltre favorite dalla tassazione relativamente alta sul consumo di alcol e tabacco, socialmente costosi perché noti fattori di rischio per la salute individuale e collettiva.
Il modello scandinavo – in cui le tasse sono considerate non tanto un’attività di beneficenza per estranei, quanto piuttosto un investimento condiviso con ritorni personali – raccoglie dunque entrate sostanziali in modo progressivo, favorendo l’uguaglianza sociale e promuovendo direttamente la salute pubblica.
Per capire meglio le dinamiche di una siffatta struttura fiscale, possiamo paragonare i lavoratori norvegesi a quelli britannici: un consulente in Norvegia, pagando un’aliquota più alta, guadagna circa il 25% in meno di un equivalente nel Regno Unito, mentre lo stipendio base dell’impiegato postale norvegese è circa il 25% più alto di quello in U.K. Ne consegue che in Norvegia ci sia una maggiore probabilità che individui appartenenti a due classi di lavoro diverse (consulente e impiegato postale) partecipino agli stessi concerti e partite di calcio o che mangino negli stessi ristoranti. Questo, a sua volta, aumenta la possibilità che consulenti e postini si trovino a conversare insieme e a socializzare. Le classi sociali in Norvegia sono infatti meno stratificate rispetto ad altri Paesi come il Regno Unito, e la società è meno divisa. Se a ciò si aggiungono le dimensioni della popolazione – 5,5 milioni di abitanti in Norvegia contro quasi 69 milioni nel Regno Unito – emerge un calcolo molto diverso della coesione sociale.
Bisogna considerare che la disponibilità della popolazione a pagare le tasse riflette non solo la fiducia nei governi e nelle istituzioni elette, nella loro integrità, rappresentatività ed equità, nonché fattori individuali come l’istruzione, il reddito e l’ideologia. Gran parte di ciò che forma la tolleranza fiscale collettiva è invece radicata nella cultura e viene modellata dalla storia e dalla geografia, dalle esperienze vissute e dai concetti di lavoro, ricompensa e giustizia. La Storia ha un peso rilevante: storie diverse danno forma a narrazioni fiscali differenti. Mentre il Regno Unito si è arricchito in un contesto primariamente feudale, con commercio, esplorazione navale, sfruttamento coloniale, e infine come primo baluardo dell’industrializzazione, la Norvegia, fino a meno di due generazioni fa’, si è guadagnata da vivere con l’agricoltura e la pesca.
Quando nel 1914 la Norvegia divenne una nazione indipendente, non era presente un sistema feudale consolidato, con una nobiltà terriera o una borghesia potente ma, appena emancipata dal dominio di potenze straniere, nacque “egualitaria”. Così, quando negli anni Settanta del secolo scorso sono arrivate le ricchezze petrolifere, non c’era la tradizione culturale di mettere le risorse nazionali nelle mani di pochi ricchi o di venderle a potenze estranee. Al contrario, i rappresentanti eletti dal popolo hanno condotto una dura trattativa con gli investitori stranieri desiderosi di assicurarsi i diritti esclusivi sulle acque territoriali norvegesi, richiedendo la proprietà statale di almeno il 50% di tutte le licenze di produzione. Questo ha garantito la prosperità alla popolazione norvegese per le generazioni successive e, nonostante sia emersa un’élite benestante (che in certi casi ha cercato rifugio fiscale in Paesi come la Svizzera), possiamo definire la Norvegia come un Paese relativamente povero che si è arricchito collettivamente.
Oltre alla storia, anche la geografia e il clima influenzano il pensiero fiscale della popolazione. In un Paese grande e scarsamente popolato come la Norvegia, se si palesa l’emergenza di un infarto o l’urgenza di un parto pretermine lontano da un ospedale, una tempesta che blocca la viabilità diventa un grave problema. In caso di situazioni come queste, la presenza di infrastrutture stradali adeguate e mezzi di trasporto finanziati dalla collettività appaiono quindi di vitale importanza. Nelle situazioni più vulnerabili della vita, la ricchezza privata offre scarso aiuto ma, ciò che conta davvero – indipendentemente dal luogo o dal reddito – è un sistema fiscale che consenta, quando è necessario, di inviare un’ambulanza aerea o un elicottero di soccorso ad un ospedale altamente specializzato. I solidi investimenti in infrastrutture e servizi sanitari sono perciò qui visti come un bene comune e un mezzo per realizzare gli obiettivi economici, sociali e geopolitici nazionali.
Più ci si avvicina al clima artico, più ci si rende conto di quanto dipendiamo dagli altri, mentre la ricchezza privata, i mercati e le soluzioni personalizzate appaiono sempre meno delle vie attuabili. In una cultura non nota per la cortesia superficiale, ma che considera doveroso aiutare il vicino a liberare la propria auto da cumuli di neve, il lavoro volontario e condiviso è un valore etico nazionale, definito con la stessa parola che descrive l’etica della tassazione: “dugnad”, “dare una mano”.
Per cercare di migliorare i servizi pubblici, anche noi dovremmo riscoprire l’idea di comunità. Dovremmo iniziare a chiederci quanto ci fidiamo dei nostri vicini ma, soprattutto, quanto li conosciamo, e quanto sappiamo dei loro bisogni. Perché, come avverte il Fondo Monetario Internazionale: “l’eccessiva disuguaglianza può erodere la coesione sociale, portare alla polarizzazione politica e ridurre la crescita economica”.
Riferimento bibliografico
Sandy Goldbeck-Wood – BMJ, 18 December 2024. Weathering storms together: the stories behind Scandinavian support for high taxes. doi: https://doi.org/10.1136/bmj.q2700


