"Da Rassegna Sindacale n.9 - 23 marzo '99"

Mostra la corda la via emiliana alla sicurezza

Gran parte delle aziende , stimate in un 40-45% del totale, ha puntato all'obiettivo minimo della regolarizzazione formale. A cinque anni dal varo del dispositivo in materia, il bilancio della Cgil regionale non induce all'ottimismo.

E’ tempo di bilanci in tema di sicurezza sul lavoro, a cinque anni dal varo del decreto 626. Come sono state applicate dalle aziende le nuove normative? Gli interventi realizzati hanno migliorato sostanzialmente le condizioni e l’ambiente di lavoro, oppure hanno fruttato solo cambiamenti superficiali? Le prime risposte della Cgil dell’Emilia Romagna a questi interrogativi non sono rassicuranti.

La via normativa alla sicurezza, quell’affannoso lavorio che nel ‘95-’96 ha impegnato aziende, tecnici interni e consulenti nella valutazione dei rischi e nella elaborazione dei relativi documenti, ha compiuto il suo ciclo e oggi mostra tutti i suoi limiti.
" Con questa affermazione Gino Rubini, responsabile dell’Ufficio salute e sicurezza del lavoro per la Cgil regionale, punta il dito sulla “gestione burocratica apparente” della 626 adottata da gran parte delle imprese e simbolicamente rappresentata dalla produzione di voluminosi faldoni che riposano in pace in qualche armadio.

Questa fascia di aziende, stimata in un buon 40-45% del totale, ha puntato all’obiettivo minimo della regolarizzazione formale, realizzando un abbellimento di facciata che ha mascherato il disinteresse di fondo per le innovazioni rilevanti, ma intriganti, proposte dalla nuova normativa.

Si tratta di un’ampia “area grigia”, che ha metabolizzato e riadattato gli obblighi di legge e si sente a posto con la coscienza e con il mondo, esorcizzando il concetto di partecipazione attiva dei lavoratori (che pure è fondamento del decreto 626), considerato elemento di contrasto rispetto all’efficienza aziendale.


“Ridotte a questioni puramente tecniche, le tematiche della salute e della sicurezza vengono così scorporate - sottolinea Rubini - dagli aspetti più complessivi delle condizioni di lavoro, avulse cioè dal contesto che le rende materia naturale di iniziativa sindacale, con il risultato di escluderle dalla vertenzialità e dalla contrattazione. Come se su questi aspetti non ci fosse conflitto di interessi e bastasse una relazione di tipo tecnico collaborativo, tra i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza da un lato e i responsabili dei servizi di prevenzione delle imprese, dall’altro, per gestire e risolvere tutti i problemi.”


Fortunatamente il panorama regionale offre anche un’altra faccia della medaglia, rappresentata da una fascia di imprese che hanno invece operato una svolta effettiva, approfittando della legge per investire in una vera modifica dell’organizzazione del lavoro, con percorsi di formazione-informazione dei lavoratori di buona qualità. La stima parla di una quota del 20-25%, costituito da grandi aziende sindacalizzate, da piccole e medie aziende con produzioni ad alto valore aggiunto, legate magari a grandi network internazionali, o ancora da medie realtà aziendali a rischio di incidenti rilevanti. Sono stime effettuate incrociando i risultati di alcune indagini condotte, o in corso, in Emilia Romagna (vedi in questa stessa pagina) ma anche altrove, ad esempio in Veneto.


Il quadro si completa con le attività che restano fuori dall’orizzonte della 626 e della direttiva europea, ovvero quella grande massa di lavoro offerto con modalità nuove, estremamente flessibili e precarie, per esempio nell’organizzazione di servizi tipo le pulizie, in attività di subappalto o subfornitura, negli aspetti “selvaggi” del telelavoro: sono forme fisiologicamente non configurabili per l’intervento della legge, che è stata pensata per un’organizzazione del lavoro più tradizionale.

“E’ un’area in forte espansione, nella quale i lavoratori sono a rischio e che
non possiamo permetterci di trascurare: qui l’intervento sulla sicurezza e sui diritti è tutto da inventare, è un campo aperto per il sindacato.”


Infine resta il grande assente, ovvero il settore pubblico, che resta largamente inadempiente, sommerso da contraddizioni che sembrano insanabili tra ricerca di risorse e fuga dalle responsabilità (pensiamo alle scuole o agli ospedali). Di fronte a questa situazione è legittimo e diffuso il malessere degli Rls, caricati di troppa responsabilità, appesantiti dall’idea della propria inadeguatezza e dalla sensazione di abbandono.
“Tematiche importanti, delicate, che non parlano solo della salute dei lavoratori - sottolinea Rubini - ma anche della salute del sindacato, della sua capacità di rappresentare gli interessi concreti di chi lavora. Fino ad oggi le categorie hanno avuto in generale un atteggiamento di delega verso gli Rls; è indispensabile un ripensamento collettivo per produrre l’accelerazione necessaria ad uscire da questa fase di gestione di basso profilo dei temi della sicurezza e rilanciare l’iniziativa.”


Quale strategia del sindacato va messa in campo? Secondo Gianni Ballista, della segreteria regionale Cgil, la risposta riguarda i versanti della contrattazione e dell’intervento pubblico. ”Dobbiamo saldare la contrattazione articolata - sostiene Ballista - con l’iniziativa su sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, due campi in qualche modo distinti per procedure, strumenti e referenti, ma che non possono viaggiare separati, al contrario, devono trovare una forte connessione: il punto di questa convergenza, il focus della nostra attenzione, non può che essere l’organizzazione del lavoro, per aprire spazi reali all’attività degli Rls e incidere sulla condizione di lavoro.”
Tra le proposte operative indicate dalla Cgil regionale c’è la
costituzione di un gruppo di lavoro intercategoriale con il compito di far entrare nella contrattazione articolata interventi
di qualità sulle condizioni di lavoro e per la gestione delle tematiche di salute e sicurezza. Sul secondo versante si prende a riferimento il terzo piano sanitario regionale, che prevede un calo del 10% degli infortuni sul lavoro: come si realizza questo obiettivo? Il sindacato dirà la sua con una specifica piattaforma unitaria su ruolo e mission dei Servizi di prevenzione e sicurezza dell’ambiente di lavoro. Inoltre sarà avviata una vera e propria “istruttoria” per la definizione di un programma ’99 di rivitalizzazione della rete degli Rls e degli organismi paritetici.


Un capitolo a parte, e uno specifico coordinamento tra Cgil regionale e di Bologna, categorie comprese, meritano le priorità rappresentate dai cantieri dell’Alta velocità e del nodo ferroviario di Bologna. “Su questi punti - conclude Ballista - dobbiamo rilevare le inadempienze della Regione nel dar seguito al protocollo d’intesa siglato a fine ’96 con Cgil, Cisl Uil regionali per affrontare con interventi innovativi i problemi della sicurezza nel lavoro derivanti dalla realizzazione di grandi infrastrutture. Ci attiveremo per riprendere rapidamente il confronto su questi temi e procedere con le iniziative concrete.”
Si profila in Emilia Romagna una ripresa di impegno tanto più doveroso di fronte all’ennesima ricorrenza di questi giorni: i 12 anni dalla indimenticata strage della Mecnavi, 13 morti il 13 marzo 1987, bruciati mentre erano al lavoro nel ventre della nave ormeggiata nel porto di Ravenna.


Mayda Guerzoni




LE RICERCHE IRES E MODENA


L’analisi della Cgil dell’Emilia Romagna è supportata da alcune indagini, in particolare dalla ricerca di tipo qualititativo svolta dall’Ires regionale nel ’97 su un campione di tre aziende chimiche, sei agroalimentari e dieci metalmeccaniche, in ognuna delle quali sono stati visitati tutti i reparti e sono stati intervistati il responsabile del personale, il responsabile del servizio prevenzione e sicurezza, un Rls, un delegato Rsu e un lavoratore.

Ne è emerso, in sintesi, un buon livello di “cultura di base” dei problemi legati alla sicurezza e un aumento dell’impegno organizzativo per la sua gestione, come effetto del decreto.

Ma resta diffusa la concezione arretrata, da parte delle aziende, che attribuisce le cause degli infortuni soprattutto alla tendenza dei lavoratori a commettere errori, mentre resta in ombra il nesso tra i soggetti e i contesti in cui agiscono, nel rapporto con le macchine e le attrezzature, i carichi e i ritmi di lavoro. Lo strumento della valutazione dei rischi, secondo l’indagine, ha rappresentato uno strumento per mettere in evidenza i punti critici e attuare gli interventi già previsti peraltro dalla precedente legislazione sulle misure antinfortunistiche.

Ma sono ancora rilevanti le carenze negli interventi di bonifica delle fonti inquinanti (rumore, polveri, fumi...) e scarsa l’attenzione agli aspetti della condizione lavorativa.

Deludente, con alcune eccezioni, l’aspetto del coinvolgimento dei lavoratori, che si esaurisce in generiche dichiarazioni di intenti, con scarso interesse verso la creazione del modello partecipativo indicato dal decreto; ne sono conferma sia la qualità scadente delle modalità di formazione e informazione dei lavoratori sia il basso livello di rapporto degli Rls nelle squadre della sicurezza.

Nella maggioranza delle aziende gli Rls sono considerati non come partner paritari per la gestione del sistema di sicurezza, come prevede la legge,
quanto piuttosto una sorta di “cinghia di trasmissione” per veicolare in maniera più efficace le disposizioni aziendali tra i lavoratori. Così l’identità degli Rls è tutta da costruire e per ora resta in bilico tra un approccio contrattuale-conflittuale puro ed uno di tipo tecnico-collaborativo.


Un’altra ricerca di grande interesse è stata realizzata a Modena su iniziativa unitaria di Cgil, Cisl e Uil, con il patrocinio della Provincia, con l’obiettivo di costruire una piattaforma di intervento sindacale più stringente sui temi della sicurezza. La ricerca ha utilizzato lo strumento del questionario diretto ai lavoratori di uno spaccato importante di piccole e grandi aziende della realtà produttiva modenese e finalizzato alla conoscenza dell’applicazione del decreto 626 nei luoghi di lavoro. Ben 3.100 i questionari raccolti, che sono in fase di elaborazione.

Dalle prime anticipazioni dei risultati, i principali rischi segnalati dai lavoratori sono il rumore, i tempi e ritmi di lavoro, fumi, olii e sostanze nocive. In gran parte le risposte affermano che dopo il decreto 626 vi è stato un cambiamento percebile, individuato nella disponibilità delle aziende, nella presenza degli Rls e nella maggiore sensibilità dei lavoratori.


Sul ruolo del sindacato, è massiccia la richiesta di una maggiore funzione di controllo, accanto a un giudizio solo parzialmente positivo sull’impegno espresso finora.
Infine anche la Fiom di Rimini sta portando a termine una sua indagine, per la quale ha raccolto circa 300 questionari compilati dai dipendenti di 12 aziende. Dalle prime valutazioni emerse si capisce che la maggior parte delle imprese, circa il 60%, ha adottato nuove procedure verso la protezione individuale e per le emergenze, ma nella stessa percentuale le risposte indicano che la sensibilità aziendale verso le tematiche della sicurezza non si è modificata.


M.G.



DATI INFORTUNI IN E-R


Ancora troppi i morti e gli infortuni sul lavoro in Emilia Romagna, troppe le malattie professionali. Secondo i dati dell’assessorato regionale alla sanità, nel 1997 gli infortuni denunciati dalle aziende sono stati 133.496, di cui 14.534 in agricoltura e 118.962 nell’industria.

Il tributo di vite pagato tocca quota 151 (17 in agricoltura). I settori più colpiti sono le costruzioni, la metalmeccanica, il legno, ma gli infortuni più gravi vedono al primo posto i trasporti e al secondo le costruzioni.


Il confronto con i dati del ’95 è desolante: si ebbero allora 120.000 infortuni e 82 morti, con un calo rispetto agli anni precedenti che tutti salutarono come tendenza positiva, ma che in realtà era stato strettamente legato alla fase economica e produttiva di crisi dei primi anni novanta. L’escalation purtroppo è ripresa di pari passo con l’andamento economico più favorevole.

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