“Crisi”, “ripresa” e salute: elementi retrospettivi di Jean Olivier Mallet

Con questo articolo di Jean Olivier Mallet si apre su Diario Prevenzione una riflessione sugli effetti che la crisi economica ha prodotto sul patrimonio di salute della popolazione italiana ed europea. Invitiamo a commentare questo articolo e/o ad inviare alla redazione contributi ed articoli. Editor

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“Crisi”, “ripresa” e salute: elementi retrospettivi.
di Jean Olivier Mallet

L’impatto della crisi economica decennale 2007-2017 sulla salute pubblica (direttamente e attraverso la pressione sul sistema sanitario) a lungo non è stato un punto focale dell’attenzione mediatica ne della ricerca. E’ vero che il divario tra Nord e Sud in Europa non ha favorito l’omogeneità degli sguardi. In un Paese come la Francia, la tematica della crisi è stata forte negli anni 2008-2009, prima di essere rimossa a causa della resistenza del Welfare e delle politiche pubbliche effettive a lungo meno incisive in termini di “riforme strutturali”. Anzi medias e politici si sono spesso di nuovo interessati alle discriminazioni (genere, etnia, orientamento sessuale, disabilità) più che non alle disuguaglianze (sociali), che ovviamente interferiscono con loro. Solo a giugno 2017, il periodico trimestrale Actualité et Dossier en Santé publique (del Haut Comité de Santé publique, comitato consultivo presso il Ministero della Sanità) dedica un numero intero a “Crise économique et santé”. Il secondo biennio della presidenza Hollande e quella Macron con politiche thatcheriane d’urto stanno rilanciando solo ora il tema di una crisi forse più sociale che non economica. Nel numero di dicembre 2014 della Chronique internationale de l’IRES dedicata all’impatto della crisi sulla scuola e la sanità, colpisce l’opposizione tra le politiche di privatizzazione e precarizzazione “di ordinaria amministrazione” in Germania e la violenza delle stesse “riforme strutturali” smantellando velocemente servizi territoriali ed ospedali in Portogallo e in Grecia.

La stampa generalista italiana si è interessata occasionalmente alle conseguenze sulla sanità pubblica, per esempio attraverso i suicidi di padroncini del Nord-Est 2013. Il periodo acuto della crisi spagnola 2010-2013 ha visto addirittura una attenzione mediatica sui tagli dei governi in materia sanitaria e sulle reazioni di massa (Mareas Verdes) alle politiche governative di privatizzazione. In Portogallo, l’emigrazione di giovani medici verso il Nord Europa e l’esperimento di Uber a Lisbona nel campo della guardia medica sono stati anche recepiti come effetti della crisi. La ricerca specializzata si è mossa anche dopo qualche anno: in scienze politiche, con gli studi francesi di Noelle Burgi 2014 sulla Grecia e quelli spagnoli 2013 di Luis Moreno Fernandez dello CSIC di Madrid sulla corruzione regionale e locale nel settore; in salute pubblica con i convegni di Tessaloniki 2013 e di Istambul 2017 riassunti sul blog italiano Salute Internazionale, in sociologia delle professioni sanitarie con la sessione sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro medico ed infermieristico e sull’emergenza di un low cost sanitario nel convegno Espanet Italia 2013.
La ricerca si è impegnata sull’impatto positivo (pochissimo) e negativo (tantissimo) della “crisi” finanziario-economica e sociale.
In questi anni, almeno fino alla svolta dell’estate 2015, la Grecia è stata spesso descritta come una illustrazione esemplare delle conseguenze tragiche di una “crisi” acuta su un Paese, ovviamente rafforzate dalle politiche della troika, e allo stesso tempo come una eccezione esotica anche rispetto agli altri Paesi del Sud-Europa, colpiti con una violenza minore. In una visione catastrofista della “crisi”, ciclica e catartica, rivelatore trasparente e schermo opaco alla stesso momento? Quando l’interesse per la Grecia è diminuito dopo il 2015, è anche sfumata quasi tutta l’attenzione pubblica per la salute nel contesto economico e sociale in cambiamento. Al tema “crisi” si è allora progressivamente sostituito quello dell’industria 4.0 e in particolare della “sanità numerica” o “digitale” con i suoi miracoli futuristici e le sue minacce future. Anche l’attenzione attuale alle molestie e violenze contro le donne, addirittura al “femminicidio”, è interclassista nella sua denuncia della dominazione maschile e rinnova le critiche storiche al “patriarcato”: giustamente, per motivi scientifici e di “politicamente corretto”, indagare sulle differenziazioni sociali di un tale problema di salute pubblica diventa problematico, anche se qualcuno pretende di farlo con determinanti di “culture etniche” e di religione con altri obiettivi xenofobi.
Inoltre, diversi autori hanno insistito più che sull’impatto della “crisi” stessa su quella delle politiche di austerity. Almeno se ha gran senso scientifico dividere i meccanismi economici “naturalizzati” dalle politiche che interferiscono con essi? per Dardot e Laval 2013 infatti, l’economia liberista è una costruzione politica e non un’area “naturale” come invece lo suggerisce la doxa dominante. Per esempio, dopo 10 anni di “crisi” sociale, la maggior parte delle misure settoriali di contrapposizione hanno continuato come prima a favorire la selettività e la privatizzazione della sanità, a scapito dell’universalismo, in contrasto a molte politiche forti o deboli adottate all’indomani della grande crisi del Novecento, quella del 1929. Più che una autoproclamata “scienza economica”, ci serve oggi una nuova economia politica?
Infine, studi epidemiologici ipotizzano che le ricadute della “crisi” sulla salute fisica ma sopratutto mentale delle popolazioni saranno di lunga durata ben oltre la “ripresa” che chiude il ciclo secondo lo schema classico delle crisi. E a questo punto, sono i classici concetti stessi di “crisi” e di “ripresa” che vanno rivisitati: quello di crisi, perché il concetto suppone più o meno un periodo critico da superare per un ritorno alla “normalità” (sarebbe normale il periodo anteriore alla “crisi”, ma che l’ha generato e dunque non ne è estraneo) e quello di ripresa perché intende appunto la fase di ritorno al “normale”, mentre invece la società se ne esce trasformata, radicalmente diversa, in una nuova fase storica, come insistono le diverse analisi critiche in termini di disuguaglianze, che di più sottolineano il carattere instabile del nuovo precario equilibrio economico, sociale e politico: le condizioni di vita cosi come i mutamenti della sanità impattano sulla salute pubblica. L’interesse alle disuguaglianze di salute sotto le varie dimensioni connesse (sociali e territoriali) è aumentato in questi anni, ma non sempre nella ricerca viene collegata la dimensione storica e di economia politica ai fenomeni di differenziazione peraltro descritti: cosi per esempio, se le trasformazioni del lavoro e l’effetto sui redditi hanno davvero avuto un certo impatto sulle strategie abitative, potrebbero le differenze territoriali crescenti aver conseguenze anche sanitarie in termini di “disuguaglianze ambientali”?

Insomma: “crisi”-salute, un tema non molto affrontato in 10 anni, oggi trascurato dalla “ripresa” dal contenuto poco analizzato, ma che potrebbe avere un bel futuro per le conseguenze a medio termine del periodo acuto trascorso e soprattutto perché più che una crisi economica stiamo attraversando un cambio epocale. Con conseguenze complesse da decifrare sulla salute pubblica.

Jean-Olivier, Pisa, 9.1.2018